1.6 Monteroni d’Arbia: terra di grancia, pievi e chiese

A circa 15 km da Siena, là dove le Crete Senesi si adagiano sul fiume Arbia, sorge Monteroni d’Arbia attraversato per tutto il suo territorio dalla Via Francigena. L’antico borgo si è sviluppato nei primi anni del XIII secolo grazie all’operato dell’Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena. Ma è stato durante il secolo successivo che il piccolo centro è cresciuto attorno alla struttura del Mulino Fortificato. Si tratta di un mulino ad acqua, risalente con ogni probabilità al I secolo a.C. e perciò considerato una delle prime installazioni per la trasformazione industriale di materie prime della storia. La struttura venne fortificata tra il 1322 ed il 1324, sempre per volontà dell’Ospedale senese, fortemente interessato proprio alla vicinanza con la via Francigena attraversata da migliaia di viandanti. Oggi, Monteroni è un comune noto anche per l’abbondanza di architetture medievali presenti all’interno dei suoi confini. Oltre al mulino si può osservare la Grancia, fattoria fortificata nel Duecentodall’Ospedale e dal comune di Siena. Ma sono le chiese e le pievi a fare da padrone su tutto il territorio. Poco fuori del centro è situata la trecentesca chiesa dei Santi Iacopo e Cristoforo. Fuori città sono collocate la pieve di Corsano, dell’XI secolo, della quale fa parte la chiesa di San Giovanni Battista, e le due portetorri di Lucignano, originarie del XIV secolo.

 

La Grancia di Cuna
Monteroni d’Arbia

La Grancia di Cuna è la fattoria fortificata eretta nel 1224 dal comune di Siena e dallo Spedale di Santa Maria della Scala sulla preesistente struttura dello spedale già insediato dal XII secolo. Molto ampio e ancora perfettamente conservato, il complesso è composto da un piccolo borgo cintato e dalla fattoria-fortezza affacciata sulla piazza triangolare cui si accede oltrepassando la torre d’ingresso. La possente mole, ben identificabile grazie al caratteristico colore dei mattoni rossi con i quali è stata interamente costruita, della Grancia di Cuna è la testimonianza meglio conservata di fattoria fortificata medievale, oltre che uno dei più particolari ed interessanti complessi architettonici della campagna senese e dell’intera Toscana. Sul luogo già nel XII secolo sorgeva uno spedale dedicato ad accogliere e dare assistenza a pellegrini e mercanti che passavano lungo la Via Francigena che scavalcava l’Arbia. Da un documento di Papa Eugenio III, risulta che questo edificio era possedimento dell’abbazia di Torri. L’intero contado divenne proprietà di Siena già nel corso del XIII secolo ma il podere posto sul Poggiarelle di Cuna e Castelluccio fu donato all’Ospedale di Santa Maria della Scala, una delle istituzioni più potenti del tempo. Il rettore dello Spedale Ristoro Menghi di Giusto decise subito di ampliare l’edificio esistente. Daallora la grancia si sviluppò in un piccolo borgo autonomo cinto da mura, con porte e torri, case e al centro la fattoria-fortezza. Il suo successore, probabilmente Giovanni de’ Tolomei, iniziò la costruzione del nuovo granaio e la ristrutturazione della chiesa dedicata ai santi Giacomo e Cristoforo nel 1314. Nel XIV secolo, a causa della forte instabilità politica e militare, lo Spedale, per salvaguardare le riserve di cereali e grano, fu costretto a fortificare il granaio. I granai fortificati della campagna erano chiamati grancia. Il complesso di Cuna è un grande blocco quadrato con mura a scarpa, due torri d’angolo dotate di apparato difensivo a sporgere sul fronte meridionale. L’ingresso principale immette in un cortile a forma di ‘L’ dal quale si accede ai locali e magazzini interni grazie ad una rampa [la quale permette di salire con bestie da soma fino ai piani più elevati] coperta nel primo tratto da belle volte a crociera. Questa era la vera e propria fattoria-fortezza circondata dal primo anello di mura del XIV secolo con gran parte del camminamento di ronda ancora visibile, feritoie e ballatoio. Un secondo anello circonda la fattoria e il villaggio sorto attorno ad essa. Di questa cerchia permane ancora integra la porta principale. Cuna fu saccheggiata solo nel 1554, durante l’ultima Guerra di Siena, dalle truppe Austro Ispaniche. Durante la seconda metà del XVI secolo fu aggiunto un tetto alla fattoria e alle torri che ha coperto la preesistente merlatura. La casa padronale, fra le due cerchie murarie, è del XVII secolo. Cuna dette asilo a re e papi: nel 1386 a Urbano VI, nel 1420 a Martino V, nel 1451 a Paolo III. Nel 1640 qui morì Carlo di Guisa della famiglia dei Lorena.

 

Chiesa dei Santi Jacopo e Cristoforo
Monteroni d’Arbia

Esterna al nucleo fortificato sorge la piccola chiesa dei Santi Jacopo e Cristoforo. La dedica a San Giacomo sembrerebbe confermare la presenza di un ospedale, annesso alla chiesa. Nel 1314 la chiesa venne totalmente ricostruita. L’edificio, interamente in cotto, è a unica navata, coronata esternamente da una cornice che poggia su delle mensole. L’aula prende luce dall’occhio della facciata e da due finestre di proporzioni ormai gotiche, anche se con arco ancora a tutto sesto di ricordo romanico. L’interno conserva resti di affreschi trecenteschi, tra cui una Madonna col Bambino e santi, una Presentazione al Tempio e una Adorazione dei Magi.

 

Pieve di Corsano
Ville di Corsano

Poco più lontana la pieve di Corsano, fondata nell’XI secolo e dedicata a san Giovanni Battista. Tipico stile romanico con facciata a due ordini sovrapposti di arcate cieche. La chiesa è conosciuta dal 1031. La facciata, organizzata su due ordini, con archetti e semicolonne nella parte superiore e con ampie archeggiature cieche nella parte del basamento, si ispira a modelli pisani interpretati in chiave lombarda. Nell’interno, a tre navate, gli elementi romanici sono evidenti nei semipilastri della controfacciata e nei pilastri compositi della prima campata. Da segnalare due tele di Alessandro Casolani, l’Annunciazione e l’Adorazione dei pastori, e una scultura in terracotta policromata raffigurante sant’Agata, attribuita a Carlo di Andrea Galletti.

 

Pieve di San Giovanni Battista
Lucignano d’Arbia

Tornando sulla via Cassia, poco oltre Monteroni anche il piccolo centro di Lucignano d’Arbia rivela la sua origine di fortezza nelle due porte-torri trecentesche e nella massiccia torre medievale trasformata in campanile della pieve romanica. Qui si trova anche la pieve di San Giovanni Battista. Ricordata fin dall’inizio del X secolo si presenta, dopo il ripristino del 1933, restituita agli originali caratteri romanici, con impianto a unica navata conclusa da un’abside semicircolare. I tre grandi archi trasversali della navata sono impostati su semipilastri e sorreggono la copertura lignea della navata. Sul lato destro si appoggia la torre, le cui possenti dimensioni tradiscono una fattura più antica rispetto sia alla chiesa stessa che al leggero campaniletto a vela di stile gotico. La facciata è ravvivata dalla bicromia dell’arco del portale, sormontato da unpiccolo occhio. All’interno, una Crocifissione e santi di Bartolomeo Neroni detto il Riccio (1554-1555 circa).

Chiesa di San Fabiano
Via di San Martino – San Fabiano

Pievi e chiese sono il fiore all’occhiello di Monteroni d’Arbia che, lungo tutto il tratto della via Francigena, ne vanta molteplici sparse. La chiesa di San Fabiano si trova ad esempio nell’omonimo villaggio. La chiesa è ricordata già nell’ 867; agli inizi del Trecento era suffraganea dellapieve di Lucignano, quindi, data la scarsità delle rendite, venne unita alla parrocchia di Monteroni nel corso del Cinquecento. A navata unica, con abside semicircolare, la chiesa presenta il motivo di maggior interesse nell’antico parato esterno a mattoni; corredata da un campanile a vela,conserva alcuni elementi decorativi sulla facciata, come l’architrave del portale con lo stemma dei Forteguerri datato 1657.

 

Chiesa di San Pietro Apostolo
Radi

A Radi si trova la chiesa di San Pietro Apostolo. Le prime menzioni della chiesa risalgono al XIII-XIV secolo. Oggi è costituita da un piccoloedificio a navata unica con abside semicircolare, con facciata in mattoni ricostruita in stile neoromanico nel XIX secolo; è invece originale il campanile a vela. La testimonianza più antica, all’interno, è l’altare laterale settecentesco in stucco. Dalla chiesa provengono una tavolatrecentesca, ora nel Museo di Buonconvento, raffigurante il Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria e i Santi Giacomo e Antonio Abate, attribuita al Maestro di Sant’Ivo; e la Madonna della Stella, dipinta da Amos Cassioli nel 1868 su commissione del marchese Alessandro Bichi Ruspoli, proprietario della fattoria di Radi, ora al Museo Cassioli di Asciano. Se l’interno, ad aula unica, fu rinnovato con la costruzione di tre altari barocchi, l’esterno mantenne il profilo medievale, col coronamento a tre fasce di dentelli in cotto che racchiudono mattoni posti per spigolo; il campanile a vela, con le due monofore a sesto acuto, è un probabile rifacimento in stile neogotico.

 

Pieve dei Santi Giusto e Donato
Monteroni d’Arbia

Infine nel capoluogo, l’antica chiesa di San Donato, risalente al 1244 e interamente distrutta nel corso dei secoli, è stata recentemente sostituita da una nuova costruzione, pieve dei Santi Giusto e Donato, in cui sono, tuttavia, custodite opere risalente al Quattrocento e al Seicento. La vecchia chiesa, oggi sostituita da una costruzione degli anni Settanta del XX secolo, rivela la sua antica origine nella romanica facciata a capanna; trasformata in sala per conferenze, all’interno non serba tracce della precedente destinazione. Sono state spostate nella nuova chiesa una Madonna col Bambino, oggetto di grande devozione da parte dei fedeli, inserita in un’elegante cornice neogotica a forma di tempietto, opera di Dionisio Burbarini, pittore senese attivo tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento; il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria, opera coeva della precedente; e un Crocifisso di alta qualità artistica, collegato all’elegante tradizione plastica senese del Quattrocento.

 

Brochure a cura di Toscanalibri.it
Testi di Cristian Lamorte Coordinamento editoriale:
Elisa Boniello e Laura Modafferi
Foto: Primamedia, Sabrina Lauriston e Leonardo Castelli
Grafica: Michela Bracciali

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