5.2 Panforte e ricciarelli, il cuore dolce di Siena

Monaci, suore e frati. A loro le Terre di Siena devono la creazione dei dolci che ancora oggi si degustano sulle tavole principalmente in occasione di feste come Natale e Pasqua, o nei ritrovi tra amici e al ristorante. A dirlo sono le numerose leggende che narrano la nascita di Panforte, Panpepato, Ricciarelli e Cavallucci, solo per citare alcuni dei dolci più celebri di Siena in Italia e all’estero. Dolci a volte molto ricchi di ingredienti (e di calorie!) a volte più semplici ma che racchiudono in sé la genuinità dei prodotti che nascono nelle Terre di Siena, forti della salubrità di questo territorio e della sapienza delle mani che li generano, antichi “speziali” e provetti pasticceri. Dolci che tradizionalmente sono prodotti ovunque nelle Terre di Siena, dove non esiste piccolo borgo o frazione con una bottega che non esponga in vendita colorati sacchetti di queste autentiche leccornie da mangiare mentre si passeggia o da assaporare una volta tornati a casa per far rivivere l’essenza di questa terra.

È il dolce senese che ha radici più lontane. Oggi è a forma circolare, può essere di colore bianco o nero a seconda che si cosparga di zucchero a velo o con copertura di spezie. La consistenza è gommosa ma il sapore è forte, con intensi aromi di spezie e frutta candita. Gli ingredienti obbligatori per la preparazione del Panforte di Siena IGP (Indicazione Geografica protetta) sono la farina del tipo 0, la frutta secca (mandorle dolci intere e non pelate), quella candita (cedro e scorze di arancia, per il Bianco; nel tipo Nero il cedro è sostituito dal melone), lo zucchero, il miele e le spezie (noce moscata e cannella), ostie di amido che vanno a costituire la base. Nella versione nera, il miele è facoltativo mentre alle spezie si aggiunge anche il pepe dolce e la miscela viene utilizzata anche per ricoprire la superficie; ilpanforte Bianco invece viene spolverizzato con zucchero a velo. Facoltativo è l’uso, nel tipo Bianco, di nocciole granulate, melone, vaniglia e una miscela di spezie quali macis, pepe, pimento, coriandolo, chiodi di garofano; nel tipo Nero possono essere usati, in aggiunta agli ingredienti obbligatori, anche noci, cedro, coriandolo, anice stellato, chiodi di garofano, zenzero, pepe garofanato e peperoncino. Sono assolutamente vietati additivi, coloranti o conservanti. Gli ingredienti vengono miscelati e l’impasto ottenuto viene porzionato e pesato; ogni porzione viene adagiata su un’ostia di amido e avvolta da una fascetta di contenimento. Il panforte è cotto in forno a 200-230°C per 13-45 minuti a seconda della pezzatura. Una volta raffreddato, si procede a spolverizzare la superficie (per il tipo Bianco l’operazione può essere effettuata anche al momento del consumo). Il Panforte di Siena IGP ha forma rotonda o rettangolare, con spessore di14-45mmepesovariabileda33gfinoa6kg. La consistenza è pastosa, al taglio si ottiene una resistenza moderata. Il tipo Bianco ha la superficie ricoperta di zucchero a velo bianco candido, quello Nero invece si presenta di colore marrone scuro. Al gusto risulta dolce, con retrogusto di frutta candita e mandorle e sentore di spezie, che è leggero nella versione bianca e molto intenso in quella nera.

La storia è ricca di documenti che testimoniano l’accresciuta fama del panforte nei secoli: nel 1772 le autorità senesi arrivarono a tutelarlo dalle imitazioni proibendone la produzione fuori dalle mura cittadine.  A decretare il successo del panforte, nel 1776, il terziario francescano Natale Pepi che, abbandonato il convento senese dell’Osservanza, impiantò nell’odierna via di Città una farmacia dove propose il pan pepato preparato con la ricetta appresa in convento, chiamandolo “Pepia ceres”. Ma fino a questo momento il panforte è nero e a calotta, prendendo solo in seguito la forma odierna.

La svolta arriva nel 1879 quando a Siena giunge la regina Margherita, moglie di Umberto I, per assistere al Palio. Per l’occasione lo speziale della ditta Parenti inventò un panforte senza le conce del melone e con una copertura di zucchero anziché di pepe nero: i senesi lo presentarono alla regina come Panforte Margherita, il successo fu immediato e tutt’oggi è commercializzato con questo nome. Numerose sono le leggende legate a questo dolce così antico. Quella più romantica racconta che l’aggiunta delle spezie alla base del dolce sia dovuta a Suor Ginevra chiusasi in convento per amore.

Un giorno mentre era intenta alla preparazione del panmelato, sentì giungere dalla strada la voce del fidanzato, messer Giannetto da Perugia, che credeva morto. Per l’emozione cominciò a buttare nell’impasto in modo incontrollato frutta secca, canditi, spezie e pepe creando un dolce dal gusto piccante e dall’intenso profumo. Il panforte ha anche ispirato un torneo che annualmente si svolge a Pienza, nel mese di dicembre: “Il gioco del Panforte”. I giocatori, suddivisi in squadre del borgo senese e dei comuni vicini, danno vita a un torneo veramente acceso e spettacolare, rievocazione di un gioco di origine contadina che consiste nel lanciare, su una lunga tavola, una forma di panforte. Vince chi si avvicina maggiormente al bordo del tavolo opposto, senza far cadere la forma di panforte.

Un sapiente mix di mandorle, albume, miele, zucchero, aromi e lievito sono, invece, i Ricciarelli di Siena, i biscotti di forma ovale, con un sapore e un odore molto dolci, tipico della pasta di mandorle, e dalla consistenza molto morbida e spugnosa. Anche i Ricciarelli, che nel 2010 hanno ottenuto la certificazione Igp, come il Panforte si possono assaggiare e acquistare in ogni bar, caffè, negozio di alimenti e ristoranti presenti a Siena e nei numerosi borghi, oltre che nelle pasticcerie dove, spesso, è anche possibile ammirarne la preparazione. Secondo la leggenda fu un senese, Ricciardetto della Gherardesca, ad introdurre questi dolci nel suo castello vicino Volterra al ritorno dalle Crociate ed il nome “ricciarello” sembra derivare dall’originaria forma arricciata delle babbucce dei sultani che Ricciardetto aveva visto in Terra Santa.

Secondo altri documenti le origini dei ricciarelli di Siena sono legate a quelle del marzapane, dolce a base di mandorle e zucchero, la cui diffusione a Siena risale al XV secolo. A partire dal 1400 le cronache locali segnalano la presenza dei Marzapani e Marzapanetti all’usanza senese sulle tavole dei più sontuosi banchetti d’Italia. Con il termine Marzapane si indicava, allora, la pasta di mandorle impiegata nella lavorazione di torte morbide; i Marzapanetti erano invece i biscottini di forma quadrata ricavati dal Marzapane. Destinati ad un “pubblico elitario”, data la presenza dello zucchero, ingrediente all’epoca costoso perché raro, erano venduti nelle botteghe degli speziali senesi, le farmacie di un tempo. Nel 1447 a Milano i Ricciarelli furono anche i protagonisti del matrimonio tra Caterina di Sforza e Giordano Rioro, allora erano chiamati “Marzapani secondo la moda di Siena”.

L’impasto si ottiene lavorando assieme mandorle dolci tritate, zucchero semolato e a velo, albume d’uovo di gallina e agenti lievitanti. Sono ammessi ingredienti facoltativi in parziale sostituzione o in aggiunta quali: mandorle amare, sciroppo di glucosio o zucchero invertito, miele millefiori, aromi, vaniglia in bacche o vanillina, oli essenziali di agrumi, aroma di mandorle, scorza di buccia d’arancia candita sminuzzata molto finemente, ostie di amido (come base), acido sorbico. Non sono ammessi altri ingredienti, additivi, coloranti o conservanti. La varietà delle mandorle utilizzate per l’impasto viene individuata tramite determinazione del loro DNA. Segue la porzionatura effettuata meccanicamente o manualmente, in modo da conferire al prodotto la classica forma a losanga ovalizzata. Vengono quindi abbondantemente coperti con lo zucchero a velo. La cottura avviene in forni preriscaldati ad una temperatura compresa tra 150 e 200°C per 12-20 minuti. Dopodiché il prodotto viene lasciato raffreddare e avviato al confezionamento. I Ricciarelli di Siena IGP hanno un peso per singolo pezzo compreso tra 10 e 30 g, lo spessore tra 13 e 20 mm. La superficie è di colore bianco per la copertura di zucchero a velo, con eventuale presenza di crepature. Il bordo è leggermente dorato. La pasta interna è di colore beige, con una lieve sfumatura dorata.

  

Di aspetto più rustico e bitorzoluto sono i Cavallucci, biscotti tondeggianti, dal colore biancastro, consistenza spugnosa e compatta. Sono fatti di farina, lievito, miele, frutta candita, noci e semi d’anice. Il nome deriva dal fatto che questi dolci erano offerti, soprattutto nelle osterie di campagna dove si fermavano diligenze e barrocci, ai cavallai (gli addetti al cambio dei cavalli alle stazioni di posta dei viaggiatori), che ne facevano un grande uso. La servitù, invece, li usava per il pasto giornaliero inzuppati nel vino. La ricetta che si prepara ancora oggi sembra diversa da quella originaria che risulta più austera e priva di ingredienti costosi come noci e canditi. Altra origine del nome è, invece, indicata dalla Treccani, come legata all’antica forma dei Cavallucci: un’impronta di cavallo. Perché poi nel corso della storia, questi deliziosi dolcetti abbiano cambiato forma diventando i biscotti di oggi non è dato sapere. Il celebre gastronomo toscano Pellegrino Artusi ne La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene scrisse a proposito dei Cavallucci: «Perché siano così chiamati credo non si sappia neanche a Siena».

Tra i dolci meno conosciuti di Siena ci sono la Copata, due dischi di miele caramellato, zucchero e vino dolce, addizionato di mandorle finemente tritate, racchiusi tra due ostie. Tradizione vuole che siano state le monache di Montecelso ad inventarle dopo aver preso ispirazione dalle “colleghe” del convento di Lamporecchio che aggiungevano miele alle ostie per renderle più morbide. A Montecelso si sperimentò l’accoppiamento delle ostie che venivano tenute insieme da un sottile strato di miele. Da qui il termine “copata” cioè “accoppiata”.

Immancabili, come in ogni parte d’Italia, sono i dolci per celebrare San Giuseppe che nelle Terre di Siena diventano Frittelle di San Giuseppe. «San Giuseppe non si fa senza frittelle» recita un vecchio detto popolare toscano. E a Siena ogni anno da Carnevale al giorno di San Giuseppe (19 marzo) si ripete l’antica tradizione delle frittelle di riso. Preparate con ingredienti semplici quali il riso, l’acqua, la farina, l’arancia e la scorza di limone, ma con un’esecuzione che richiede un perfetto equilibrio di ingredienti, senza il quale non si raggiunge il prodotto finale: una pallina di riso rotonda, croccante e molto gustosa. Anticamente le massaie preparavano il riso la sera prima di andare a letto, in quanto per la buona riuscita del dolce, il riso deve riposare molte ore. La mattina veniva rimescolato di tanto in tanto e per pranzo si preparavano le frittelle. Oggi viene usato il latte per la cottura del riso e si aggiungono alla ricetta originaria le uova e un po’ di zucchero. A Siena, questa tradizione continua ancora oggi in Piazza del Campo dove vengono allestiti baracchini in legno per la vendita delle frittelle.

Da Carnevale al Giorno dei Santi. Anche le Terre di Siena hanno un loro dolce tipico per questa ricorrenza: il Pan co’ Santi, una pagnottella bruna morbida, fatta di pasta di pane lievitata, strutto, zucchero, uvetta e gherigli di noce. È un prodotto tipico della tradizione e della cucina povera di un tempo. Si consuma non solo a fine pasto ma anche per fare degli spuntini o delle merende. Tradizionalmente, in provincia di Siena, il Pan dei Santi è il dolce tipico della festa d’Ognissanti e della Commemorazione dei defunti, ma oggi viene prodotto e consumato da settembre a tutto novembre, arrivando fin quasi a Natale. Inizialmente il Pan co’ Santi non era considerato un dolce ma un vero e proprio pane da gustare insieme al vino novello, esaltandone il sapore. Oggi il Pan co’ Santi è considerato un dolce e sfizioso da gustare a fine pasto.

Dolce povero tipico della cucina contadina toscana è la Schiacciata di Pasqua che, anticamente, veniva preparato nel periodo della Quaresima e fino alla Pasqua di Rose (Pentecoste), quando non c’era molto altro da mangiare. Oggi è un dolce immancabile sulle tavole dei senesi in occasione della Pasqua e il suo inconfondibile profumo di anice invade i vicoli e le piazze nei giorni che precedono questa ricorrenza. Ottenuta dalla pasta di pane arricchita di uova, zucchero e anice è ottima accompagnata con la cioccolata delle uova di Pasqua e con il Vin Santo.

La schiacciata di Pasqua ha origine nella seconda metà dell’Ottocento come prodotto della campagna fucecchiese e pisana, nata dall’ingegno delle donne delle famiglie contadine che pensarono di impiegare l’abbondante produzione di uova del periodo quaresimale nella preparazione di un dolce da destinare alle festività pasquali. La tradizione voleva che durante la Quaresima, non solo non si mangiasse carne, ma nemmeno le uova. Visto che in ogni casa c’erano le galline, le massaie mettevano da parte tutte le uova, così nella settimana di Pasqua si “schiacciavano” e si preparavano numerose focacce di Pasqua, dolce che si manteneva ed era buono anche diversi giorni dopo, inzuppato nel latte. Il nome è piuttosto curioso se si pensa alla sua forma, in quanto è un dolce abbastanza alto e assomiglia molto ad un panettone.

Brochure a cura di di Primamedia, Siena

Testi di Susanna Danisi

Coordinamento editoriale: Elisa Boniello e Laura Modafferi

Foto: Archivio Comune di Siena e Leonardo Castelli 

Grafica: Michela Bracciali

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