5.8 Lo zafferano, l’oro giallo delle terre di Siena

Un tempo si diceva di un uomo felice e gioviale “ha dormito in un sacco di zafferano”. Oggi, il Crocus Sativus L., è diventata una delle produzioni di nicchia di eccellenza della Toscana e di poche altre parti d’Italia, Abruzzo e Sardegna. Nel Granducato ne spiccano due su tutte: quella di San Gimignano, a denominazione di origine protetta dal 2005 e quella della Val d’Orcia. La storia di questa spezia nelle Terre di Siena è affascinante, ricca di significati e racconti. Ma quella dello zafferano è una storia che sopravvive addirittura alle leggende come quella che narra dell’amore ardente, ma casto, tra Croco, la ninfa Smilace, amore che gli Dei punirono trasformando il malcapitato Croco in una pianta dal fiore leggiadro e prezioso. In alcuni casi le origini dello zafferano sono state attribuite addirittura a Mercurio che, avendo colpito con un lancio sbagliato del suo disco Croco e per ricordare la memoria dell’amico aveva tinto con il suo sangue questa prodigiosa pianta.

In terra di Siena si hanno sue notizie fin dal XIII secolo. A San Gimignano, in particolare, la coltivazione dello zafferano è storicamente accertata fin dal 1200 tanto che è stato possibile ricostruire persino l’esatta collocazione dei terreni utilizzati per la coltivazione. I documenti più antichi indicano anche i nomi delle famiglie coinvolte nella produzione e nella commercializzazione. Non c’è così da rimanere stupiti se i guadagni che derivavano da queste attività erano talmente elevati da fare la fortuna di non poche casate, alcune delle quali decisero di impiegarli anche nella costruzione delle torri, ancora oggi motivo di orgoglio della città. Originario della Persia, i produttori locali lo vendevano in diversi mercati italiani e lo esportavano fino in Egitto, in Tunisia, in Siria, in Terrasanta con l’appoggio delle navi e delle strutture commerciali pisane e genovesi. E tutto questo accadeva mentre le altre spezie facevano il percorso inverso. Un singolare capovolgimento delle figure del venditore e dell’acquirente che, oltre a suggerire la grande abilità commerciale dei mercanti sangimignanesi, testimonia l’altissimo livello di qualità raggiunto dal prodotto.

Un prodotto usato principalmente come pianta officinale o come pianta per le tinture ma fin dal Duecento, il suo utilizzo arriva in cucina come ottimo condimento per le carni. Considerato il suo alto pregio, ancora una volta non c’è da meravigliarsi di come lo zafferano compaia nei documenti di archivio come oggetto di omaggi e doni a imperatori quali Federico II e re quali Carlo e Roberto d’Angiò; ma anche come denaro per pagare soldati e onorare le rate dei prestiti contratti dal comune. Spezia pregiata e per questo spesso a quell’epoca, esposta a truffe e sofisticazioni. Ecco quindi a più riprese l’emanazione da parte del comune di regole rigidissime nello statuto per garantirne il peso e la qualità.

Lo zafferano diventò nel tempo un prodotto di assoluto pregio per questo motivo a comprarlo venivano i tintori da numerose località, e peraccaparrarselo si muovevano perfino “quelli di Firenze”. Che lo zafferano avesse un alto valore ce lo ricorda anche la più famosa fra le pratiche di mercatura fiorentine, quella del mercante Francesco Balducci Pegolotti, riconducibile alla prima metà del Trecento. Parlando delle equivalenze tra i pesi e le misure di Acri e i pesi e le misure di Firnze ci dice che 10 libbre di zafferano di Firenze equivalevano in Acri a libbre 10 e 3 once. Per la piazza commerciale di Pisa si ricorda invece, più ampiamente, lo zafferano toscano e la definizione ritorna in uno specifico e lungo elenco di spezierie steso dal Pegolotti nella sua opera, che altrove, da esperto uomo di commercio, valuta quello toscano come lo zafferano migliore, al pari di quello abruzzese, marchigiano e catalano. A metà del ‘200, San Gimignano detiene il monopolio delle vendite di questa spezia nella Toscana centrale.

La crisi dello zafferano arriverà all’inizio del Seicento e sarebbe ancora in atto se qualche anno fa produttori e istituzioni non si fossero prodigati in un paziente lavoro di recupero nel segno della tradizione. La Dop di cui si fregia oggi il prodotto, costituisce il miglior riconoscimento di una eccellenza produttiva e insieme l’omaggio dovuto a una storia straordinaria. Per parecchi secoli la possibilità di utilizzi molteplici ha rappresentato la caratteristica più apprezzata dello zafferano. Fino a tutto il ‘500 il croco veniva impiegato nella tintura della lana e dei tessuti grezzi. Le operazioni erano rigidamente regolamentate e i “pannaiuoli” o “lanaioli” dovevano sottostare a precise disposizioni e il Comune ne sorvegliava strettamente l’attività. Un’altra forma di impiego diffusa era nella medicina. I documenti della splendida Spezieria di S. Fina illustrano come lo zafferano fosse un componente importante nella farmacopea del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Particolare curiosità potrebbe suscitare l’antica ricetta di un elisir, rinvenuta in una scatola del 1631, che era stata sigillata proprio per sottolineare la preziosità del suo contenuto. Né va dimenticato l’utilizzo dello zafferano anche nella pittura. I dipinti della scuola senese e fiorentina, ma non solo questi, ne sono una straordinaria testimonianza.

Lo zafferano, però, era molto ricercato come condimento, non solo per il suo aroma e sapore ma anche per il suo colore, che contribuiva a rendere appetibili i cibi. Il documento più antico di San Gimignano sull’uso dello zafferano in cucina è una delibera del Consiglio della Comunità del 1228 con la quale si autorizza il rimborso delle spese di missione sostenute dal Podestà Gregorio. Lui e i suoi soldati avevano pranzato «cum uno chapone, una ghallina et quatuor fercolis carnium porchi et in ovis et pipere et croco».

Lo zafferano di San Gimignano Dop è ottenuto dall’essiccazione degli stimmi del fiore Crocus sativus L., esclusivamente nel territorio del comune di San Gimignano. Si presenta in filamenti integri di colore rosso aranciato e ha un sapore molto intenso. La composizione del terreno è generalmente sabbiosa e questo conferisce allo zafferano quelle sue straordinarie caratteristiche. La sua qualità è riconducibile principalmente a tre componenti chimiche: la crocina, alla quale si deve l’attività colorante gialla; la picrocrocina, che gli conferisce il sapore; il safranale, che è responsabile dell’aroma. Sulla base di una analisi di queste tre componenti, il prodotto viene classificato a livello internazionale secondo quattro categorie merceologiche che ne certificano la qualità. Gli esiti dei test effettuati sui campioni di zafferano di San Gimignano hanno determinato che appartiene esclusivamente alla prima categoria.

Il Crocus è un piccolo fiore a sei petali, di colore rosa-violaceo. All’interno della sua corolla uno stilo si divide in tre fili (stimmi) di colore rossoscarlatto, che vanno a costituire lo zafferano propriamente detto. Il terreno di coltura viene accuratamente lavorato, per poi essere lasciato a riposo durante il periodo che va da novembre ad agosto. La riproduzione del bulbo che ha germogliato l’anno prima avviene in primavera, generando due nuovi bulbi. Durante il mese di agosto, i bulbi migliori vengono impiantati vicinissimi tra loro, a fila unica o doppia. La raccolta viene effettuata manualmente, durante il periodo di fioritura, tutte le mattine all’alba, per evitare che il sole faccia aprire i fiori. Questo periodo va dalla metà di ottobre fino alla prima settimana di novembre. La sfioritura viene svolta la sera e consiste nel separare, a mano, gli stimmi dagli stami.

Nell’arco della stessa giornata viene effettuata la mondatura, cioè il prelievo dei tre stigmi rossi di ogni fiore che vengono essiccati ad una temperatura controllata inferiore a 50°. Lo zafferano di San Gimignano viene posto in commercio lasciando gli stimmi in fili. La scelta di presentare il prodotto non in polvere, ma allo stato naturale, ha lo scopo di impedire eventuali sofisticazioni. Se il prodotto fosse macinato, risulterebbe infatti difficile per il consumatore distinguere lo zafferano autentico da quello ottenuto attraverso la sostituzione o l’aggiunta di componenti estranee. Del resto, Pellegrino Artusi, il padre della nostra gastronomia dava suggerimenti in tal senso: «Lo zafferano, se in casa avete un mortaio di bronzo, compratelo in natura, pestatelo fine e scioglietelo in un gocciolo di brodo caldo prima di gettarlo nel riso, che servirete con parmigiano». Il consiglio è ancora attuale. Per produrre un chilogrammo di zafferano sono necessari circa 200.000 fiori e ben 500 ore di lavoro. Proprio questa arte di raccolta elavorazione manuale giustifica il costo elevato di questa spezia.

Lo zafferano si conserva facilmente se collocato in contenitori di vetro, avendo cura di evitarne l’esposizione a fonti di luce e di umidità. Se ne consiglia il consumo entro un anno dall’acquisto. Si usa in gastronomia, nell’industria dolciaria e in farmacia. Lo zafferano, infatti, arricchisce col suo gusto unico numerose preparazioni, dai primi piatti a base di riso o di pasta fresca, ai secondi di carne o di pesce, in ricette sfiziose quali ad esempio i bocconcini di coniglio allo zafferano, la trippa allo zafferano o le cozze allo zafferano. Inoltre, viene impiegato anche per aromatizzare e dare colore a dolci e gelati. Va usato con parsimonia per evitare odori troppo accentuati. Il prodotto è commercializzato tutto l’anno nella tipologia Zafferano di San Gimignano DOP in stimmi, in bustine o in contenitori di peso variabile da circa 0,1 a 1 g.

 

Brochure a cura di di Primamedia, Siena Testi di Cristiano Pellegrini
Coordinamento editoriale: Elisa Boniello e Laura Modafferi
Foto: Archivio Comune di Siena Grafica: Michela Bracciali

 

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