6.2 La nuova cattedrale del Magnifico

Questo itinerario è interamente dedicato al Duomo di Siena e alle trasformazioni cui è stato soggetto nel corso dei secoli, e, in modo particolare, durante il Quattrocento. La nostra cattedrale è uno dei più significativi esempi di Gotico in Italia, un tripudio di guglie e pinnacoli che rappresentano la ricchezza di una città davvero prestigiosa. Diversi sono i motivi per cui Siena fu una città strategica: non solo per la sua posizione centrale nella Penisola, ma, soprattutto, per la sua presenza sulla via Francigena. Difatti, tra XIII e XIV secolo, Siena era una delle tappe fondamentali della rinomata via dei pellegrini che collegava Canterbury, in Inghilterra, sino alla tomba di San Pietro a Roma.

Le origini di questa via di pellegrinaggio europea risalgono al X secolo, al tempo in cui Sigerico, vescovo della sopracitata Canterbury, di ritorno dal suo viaggio da Roma – dove si era recato per ricevere dal papa Giovanni XV il Pallium (paramento liturgico composto di lana bianca, indossato dai vescovi sulle spalle come richiamo alla pecorella portata dal pastore, rimando al compito pastorale di chi lo indossa) –, scrisse un diario delle sue 79 tappe di viaggio, che lo impegnarono per altrettanti giorni, con una media di 20 km al dì.

Ovviamente, il vescovo non si mise a solcare per primo i sentieri, ma si limitò a tenere testimonianza scritta di tutte le soste che fece lungo quelle strade che, dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente – dal 476 d.C. in poi – erano state create per evitare gli ormai paludosi tracciati romani, o per rimanere lontani dagli insediamenti nemici. Furono i Longobardi che diedero un impulso particolare alla nuova direttrice, soprattutto per ovviare alle continue scorrerie di pirati o barbari che si potevano incontrare percorrendo l’antica Cassia o l’Aurelia.

Il percorso che Sigerico scelse quando passò per l’attuale Toscana, nel suo ritorno al Nord, portava il nome di strada di Monte Bardone, dall’antico nome del Passo della Cisa, Mons Langobardorum, che attraversava la val d’Elsa, la val d’Arbia e la val d’Orcia, per poi continuare verso la città eterna.

Questa via di pellegrinaggio fu la fortuna di Siena, che si attrezzò per offrire ristoro e ospitalità ai pellegrini di ogni dove.
“La figlia della strada” – così la nostra città è stata definita amichevolmente dagli studiosi – divenne grande e potente proprio grazie ai viandanti che l’hanno percorsa per secoli; sono gli stessi anni in cui la Lupa con i gemelli, indiscusso simbolo di Roma, e la Balzana – lo scudo bianco e nero, stemma del Comune –, vennero adottati da Siena come emblemi.

 

Piazza Jacopo della Quercia 

Tornando ora alla nostra bella Cattedrale, è tradizione locale che l’edificio sarebbe stato consacrato il 18 novembre 1179 da papa Alessandro III, al secolo Rolando Bandinelli, proveniente dalla famiglia senese che, proprio grazie a questo illustre componente, prese poi il soprannome di Paparoni. La chiesa, dedicata a santa Maria Assunta, si erge sopra un antico tempio pagano probabilmente intitolato alla dea Minerva.

La documentazione certa circa le fasi costruttive risale al 1226, quando prese avvio la schedulazione della Biccherna, organo di registrazione delle tasse che prendeva nota delle spese per i marmi ed altri materiali costruttivi.

La facciata del Duomo, opera di Giovanni Pisano nel primo livello e di Camaino di Crescentino nel secondo, è davvero ricca di dettagli e di opere d’arte senza tempo: statue, bronzi, mosaici e marmi, tutti orgogliosamente provenienti dal territorio senese.

Il repertorio figurativo è anch’esso straordinario: vi è ad esempio il monogramma di San Bernardino, la Sibilla del Pisano, i mosaici di Alessandro Franchi e di molti personaggi relativi al Vecchio e al Nuovo Testamento. Per via inoltre delle diverse modifiche sia nella struttura che nelle decorazioni, perpetuate fino al XX secolo, si può dire che sia davvero impossibile definire in quanti e quali anni è stato portato a termine il Duomo. Tra le tante particolarità che caratterizzano l’attuale aspetto della Cattedrale senese abbiamo il tentativo di ampliamento – mai terminato – della prima metà del XIV secolo, quando, spinti dal profondo senso di orgoglio per la potenza qual era diventata, specialmente grazie alle fortune politiche ed economiche del secolo precedente, i senesi vollero costruire la più grande cattedrale d’Europa, rendendo l’attuale chiesa il transetto di una nuova grande basilica. C’era bisogno di un “Duomo nuovo”, di una struttura che potesse ospitare al proprio interno tutta la popolazione della città – al tempo attestata intorno ai 60.000 abitanti, pressoché come l’attuale. C’era quindi bisogno di un tempio che fosse rappresentativo dell’ideale di decoro emagnificenza a cui la città si stava così tanto abituando. I lavori cominciarono all’inizio del secolo e impegnarono notevoli risorse, sia umane che economiche, ma, purtroppo, un po’ per la decimazione provocata dalla peste nera del 1348, un po’ per colpa di qualche errore matematico, il Duomo nuovo non fu mai terminato.

Oggi, a ricordo di quell’impressionante ampliamento, abbiamo un facciatone che, con le sue linee incomplete, contribuisce a rendere lo skyline di Siena davvero unico. Oltre al progetto della nuova Cattedrale, particolarmente significativi furono gli interventi che interessarono l’edificio tra il Quattrocento e il Cinquecento, contribuendo a conferirgli quell’aspetto sontuoso ancora oggi apprezzabile. Alcuni rifacimenti vi sembreranno molto discutibili, altri invece delle mirabili rappresentazioni, del resto – si sa – ogni cambiamento porta inevitabilmente ad una perdita. Furono infatti alquanto significativi gli ideali e le premesse da cui presero le mosse le commissioni dei protagonisti della Siena dell’epoca.

Tarsia con Ermete Trismegisto

Uno dei più importanti promotori del rinnovamento della Cattedrale fu Alberto Aringhieri, Rettore dell’Opera del Duomo fra il 1481 e il 1488, personaggio di grande spessore culturale tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo; grazie alle sue commissioni, la Cattedrale arrivò ad allinearsi alle istanze stilistiche del Rinascimento, all’epoca già imperante a Firenze.

Nello specifico, le commissioni riguardarono la definizione di un programma iconografico che portasse a rivestire, con tarsie marmoree, il pavimento del Duomo. L’opera che fu realizzata si rivelò essere un mirabile tappeto marmoreo che persino Giorgio Vasari – amante dell’arte rinascimentale e convinto della superiorità accademica degli artisti fiorentini – non riuscì a non apprezzare, affermando che quello fosse il « […] più bello et al più grande e magnifico pavimento che mai fusse stato fatto».Nel complesso, il pavimento consta di cinquantasei tarsie che ricoprono interamente la superficie calpestabile della Cattedrale, in cui si possono vedere rappresentati episodi del Vecchio Testamento (molti dei quali dall’iconografia rara), alcuni episodi del Nuovo, la serie di immagini con le Sibille, dei simboli pagani e le Virtù, il tutto collegato come una sorta di percorso iniziatico che il fedele deve seguire, dall’ingresso del portale centrale, fino all’altare maggiore, passando dalle navate laterali e dal transetto. Le iscrizioni dei riquadri marmorei sono per la maggior parte in latino e riprendono i modelli letterari dei primi scrittori cristiani, come ad esempio quelli del retore Lattanzio, vissuto tra il III e IV secolo d.C. e convertito alla fede cristiana.

Percorrere l’interno della Cattedrale senese ammirando il pavimento significa vivere un viaggio affascinante tra arte e fede, dove, per contemplare appieno la bellezza delle immagini svelate sotto i propri piedi, bisogna scoprire il significato celato dietro ai gesti dei personaggi – oltre che ad ogni simbolo e iscrizione in latino – legati al messaggio di salvezza umana attuato con la venuta di Cristo, la sua esistenza e il suo sacrificio per la redenzione dei peccati. Per rendere l’idea della grande complessità di questo programma iconografico, basta ricordare che ognuna delle dieci sibille raffigurate vede la rappresentazione di due cartigli, uno che introduce la profetessa, e l’altro che anticipa un passo cristologico. La prima iscrizione che si incontra, entrando nella chiesa, invita ed entrare castamente nel castissimo tempio. È forse questo un richiamo all’antico sacrario dedicato a Minerva che sorgeva proprio su questo luogo? La tarsia che segue, è quella di Ermete Trismegisto, il tre volte grande, abilmente disegnato da Giovanni di Stefano – il figlio del più noto Stefano di Giovanni, conosciuto come il Sassetta. Secondo la tradizione, Ermete è colui che dona le lettere e i numeri al popolo Egizio, dando così il via alla conoscenza umana; egli qui fa da contraltare alla rappresentazione, di fronte all’altare, di Mosè sul monte Sinai, il principio della conoscenza divina.

 

Il monte della Sapienza

Proseguendo nell’osservazione delle tarsie, si incontra il Monte della Sapienza, impeccabile creazione di Bernardino di Betto Betti detto ilPinturicchio. La raffigurazione rappresenta dei filosofi che abbandonano la Barca della Fortuna e intraprendono un percorso tortuoso e irto al fine di raggiungere la Sapienza – figura posta in cima al monte, in posizione centrale. Il significato riprende lo stesso concetto della tarsia con Ermete Trismegisto: solo immergendosi nella conoscenza, e lasciandosi alle spalle la fortuna e i beni materiali/terreni, l’uomo può arrivare ad elevarsi fino alla comprensione del divino.

A servire da fonte di ispirazione per le tarsie non abbiamo solo gli scrittori della prima epoca cristiana, ma anche una tradizione letteraria che era praticamente coeva alla realizzazione delle tarsie, come quella dell’Accademia neoplatonica fiorentina, fondata da Marsilio Ficino nel 1462. Venendo quest’ultimo in possesso di una copia in greco del Corpus Ermeticum, testo attribuito proprio ad Ermete Trismegisto, egli diede vita, assieme a Pico della Mirandola e ad Agnolo Poliziano, ad un nuovo concetto di Cristianesimo e di Paganesimo, che troverà un suo riflesso anche nel nostro pavimento del Duomo. Saranno dei pittori – tutti senesi tranne il già citato Pinturicchio – a realizzare i disegni per le tarsie del pavimento, tradotti poi in opera da specialisti marmorai.

L’ altare maggiore

Ad ora abbiamo parlato di alcune delle migliorie rinascimentali apportate al Duomo di Siena, ma non tutti i mutamenti hanno le stesse sembianze. Addentrandoci ora nella questione delle trasformazioni attuate nella zona dell’altare maggiore, dobbiamo tornare a parlare di quell’abile politico che abbiamo già incontrato nel capitolo precedente di questa collana: il Magnifico Petrucci. Fu proprio lui, a partire dal 1506, a volere alcuni cambiamenti nella disposizione degli arredi della Cattedrale. Maestà DuccioÈ Pandolfo che, seguendo il progetto ideato qualche anno prima dal famoso architetto Francesco di Giorgio Martini, riorganizzò completamente lo spazio del Presbiterio, nel tentativo di trasformare la Cattedrale gotica in una moderna chiesa rinascimentale, anche se questo voleva dire rimuovere la meravigliosa Maestà di Duccio di Buoninsegna dall’altare. Ebbene sì, è in quel torno di anni che il patriarca Duccio, colui la cui Maestà era stata accompagnata nel 1311 da una processione di fedeli per il suo ingresso solenne in Duomo, passò di moda e fu relegata in una cappella laterale della chiesa. Forse proprio per il fatto che Duccio fosse emblema della scuola d’arte senese del suo tempo – raffinata, elegante, ma appartenente al passato storico della città – era necessario per Pandolfo dare un forte segnale di cambiamento. Al posto della pala di Duccio, oggi si può ammirare un raffinato ciborio bronzeo, opera di Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, eseguito fra il 1460 e il 1472 e arricchito da una serie di angeli reggicandelabro, realizzati da altri grandi artisti della scultura senese, come Francesco di Giorgio Martini, Giovanni di Stefano e, infine, Domenico di Pace detto il Beccafumi.page18image9437184

Il Pulpito di Nicola Pisano

Un altro intervento da rimandare al Magnifico fu il trasferimento del pulpito di Nicola Pisano, una sublime opera di marmo realizzata negli anni sessanta del Duecento, in collaborazione col figlio Giovanni e con il colligiano Arnolfo di Cambio. Il pergamo fu trasferito dall’altro lato del Presbiterio, come è ben visibile ancora oggi, ma lo spostamento provocò dei danni che ne modificarono per sempre l’aspetto complessivo. Nonostante i rimaneggiamenti e le cornici danneggiate, l’opera è un capolavoro assoluto di tutta la storia dell’arte medievale italiana, con i suoi pannelli raffiguranti la vita di Cristo – dalla nascita sino al Giudizio universale – assieme alla rappresentazione di leoni stilofori, delle Virtù e delle Arti Liberali.

Si tratta di un manufatto meraviglioso da cui si evince lo studio della statuaria classica a cui il maestro attinse anche per via della sua formazione presso la corte di Federico II. Di origine pugliese, Nicola prese il suo appellativo di Pisano lavorando come capomastro per il Duomo di Pisa; è a lui che si deve l’introduzione in scultura delle novità gotiche che arrivavano dall’Oltralpe. Le modifiche agli arredi della Cattedrale non si attuarono per decisione unanime, ma videro l’evolversi di una situazione alquanto tesa tra alcuni responsabili dell’edificio. Tramite i documenti, sappiamo oggi che un decreto emanato dalla Balia – organo decisionale della Repubblica di Siena – impose la destituzione del Rettore Aringhieri dal suo ruolo, eleggedo un Collegio per decidere sulle sorti dell’opera di Nicola Pisano, la quale, originariamente, era collocata nella parte opposta della cattedrale, ovvero alla fine della navata sinistra, come testimonia la copertina del registro di Gabella n° 41, intitolata a l’offerta delle chiavi della città alla Vergine del 1483. Nella rappresentazione sulla copertina del registro delle tasse, si vede sullo sfondo un volume nero dal quale spunta una timida balzana: quello è il pulpito in oggetto, coperto da un panno scuro durante le giornate comuni, e svelato per le grandi occasioni, in modo da suscitare un sentimento di stupore nei fedeli in occasione della scoperta.

Altare Piccolomini 

Ad opporsi alla rimozione del pulpito vi fu un illustre personaggio: il cardinale Francesco Piccolomini Todeschini; egli si batté in ogni modo per evitare questo ed una serie di altri interventi attuati ad opera del Petrucci. Purtroppo, non bastarono le sue minacce di scomunica. Persino quando il cardinale senese salì al soglio di Pietro, egli non ebbe modo di imporsi su alcunché, tenendo conto del fatto che il suo pontificato durò solo ventisei giorni. Al tempo in cui egli fu porporato però commissionò per il Duomo di Siena due delle opere più belle che si siano conservate: l’Altare Piccolomini e l’omonima Libreria. Entrambe dedicate al suo amato zio Pio II, illustre poeta e mecenate, il nuovo altare doveva essere un simbolo del prestigio della potente famiglia di cui facevano parte sia lui che lo zio, e al contempo un monumento funebre che ospitasse le sue spoglie mortali.

Inaspettatamente, il 22 settembre 1503, il cardinale Todeschini fu eletto papa, il che comportò che il suo corpo, una volta morto come pontefice, venisse inumato in san Pietro. Per la realizzazione di queste meravigliose opere senesi, il Piccolomini non badò a spese, tanto da assicurarsi l’opera di uno degli scultori più promettenti dell’inizio del Cinquecento: Michelangelo Buonarroti; l’allora giovane scultore fu chiamato a Siena per eseguire le figure dei santi che avrebbero occupato le nicchie dell’altare, ma, per una serie di particolari motivi, non portò a termine il progetto. Ovviamente, anche per la realizzazione della Libreria Piccolomini, il Todeschini scelse un illustre artista, il già citato Pinturicchio, artista che proprio in quegli anni vantava la collaborazione di un tale di nome Raffaello Sanzio, giovane artista urbinate che non rinunciò ad autoritrarsi sui muri della meravigliosa Libreria.

Il tema iconografico di questo spazio meravigliosamente affrescato è una biografia dipinta di Enea Silvio Piccolomini – papa con il nome di Pio II e, come si diceva, zio di Francesco Piccolomini Todeschini – impostata sul canone teorizzato dall’umanista Giovanni Antonio Campano (segretario prima dello zio e poi del nipote), e dei Commentari , autobiografia in latino composta da Enea stesso. Dalla sua partenza per Basilea, fino al suo tentativo di indire una nuova crociata, passando per l’elezione a poeta e la canonizzazione di santa Caterina, la serie di affreschi della Libreria riportano i momenti salienti della vita di questo grande rappresentante dell’Umanesimo.

Di tutto il programma iconografico, l’unica opera dedicata propriamente a Pio III è la rappresentazione della sua elezione a successore di Pietro, una scena che si può vedere sulla facciata della Libreria, commissionata dai suoi discendenti, dato che la prematura morte del pontefice avvenne quando il lavori agli affreschi del Pinturicchio non erano ancora stati ultimati.

Sarebbe impossibile citare in un solo capitolo tutte le opere e le innovazioni quattrocentesche all’interno della cattedrale. Infatti, quelle che qui ho riportato sono le più note ed illustri. Non dimenticate, prima di terminare la vostra visita in Cattedrale, di dedicare un momento alla solitaria e silente ammirazione della bellezza che vi circonda.

 

Testi a cura di Ambra Sargentoni (Ambra Tour Guide) Coordinamento editoriale: Elisa Boniello e
Laura Modafferi
Foto: Archivio Comune di Siena, Leonardo Castelli Grafica: Michela Bracciali

I Comuni di Terre di Siena