6.3 La sfida senese al Rinascimento fiorentino

Pinacoteca Nazionale

Questo itinerario è dedicato al Quattrocento senese, un secolo contraddittorio che, seppur relativamente poco considerato nella tradizione della pubblicizzazione turistica, è stato in realtà importante nella storia della città. Prima della visita in Pinacoteca Nazionale di Siena facciamo un breve excursus artistico sulle principali dinamiche storico-artistiche che ci porteranno a comprendere meglio le opere che troveremo all’interno della galleria. É per convenzione definita “età moderna” la fase storica che parte dal 1492, anno della scoperta dell’America, fino alla Rivoluzione francese del 1789.

Artisticamente parlando però, l’inizio dell’’epoca nuova – condensata per convenzione nel termine Rinascimento – viene fatta iniziare nel 1401, anno in cui fu indetto il concorso per la realizzazione della porta Nord del Battistero di Firenze. Fu quello un evento di particolare importanza poiché vi parteciparono alcuni dei più importanti artisti dell’epoca, tra cui anche, Lorenzo Ghiberti, i senesi Jacopo della Quercia e Francesco di Valdambrino, e infine Filippo Brunelleschi. La prova per tutti consisteva nella realizzazione di una formella bronzea che raffigurasse il Sacrificio d’Isacco; la competizione fu vinta da Ghiberti, il cui rilievo presentava ancora quei caratteri tradizionali, con personaggi e ambientazione di un’eleganza gotica che rifletteva quello che era ancora il gusto imperante dell’epoca, al contrario di quanto fece il Brunelleschi, che invece presentò una scena fortemente innovativa, impressa da un vibrante dinamismo che richiamava molto più da vicino la drammaticità dell’arte classica. Seppur da sempre distante culturalmente, Siena non rimase impermeabile a quel grande rinnovamento artistico e letterario, come dimostrò sia la partecipazione al concorso fiorentino dei due artisti sopra citati e sia la pioniera volontà di aggiornamento da parte di un artista come Stefano di Giovanni, detto il Sassetta, di cui si dirà meglio più avanti.

 

Via San Pietro: ingresso

La Pinacoteca Nazionale di Siena raccoglie la più importante collezione di dipinti a fondo oro del Trecento e del Quattrocento senese. Il primo nucleo della raccolta nacque alla fine del Settecento e inizialmente comprendeva tavole e polittici – molti dei quali di grande livello artistico –, provenienti da conventi soppressi, compagnie laicali e chiese in rovina. A questo primo nucleo, si aggiunsero nel corso del tempo molte altre opere d’arte provenienti da donazioni e lasciti, come per esempio quelle dell’antico ospedale del Santa Maria della Scala e della famiglia Spannocchi-Piccolomini; questi ultimi donarono molti dipinti alla pinacoteca, risalenti, in particolare, al periodo barocco.

Il museo fu ricavato dai palazzi Buonsignori e Brigidi e venne inaugurato nel 1932, presentando all’epoca uno dei primi ordinamenti a carattere scientifico della storia dell’arte – ordinamento fatto da Cesare Brandi, che nel 1933 ne pubblicò anche il catalogo. Quel primo allestimento è in gran parte rispecchiato ancora nella sistemazione attuale: la disposizione è infatti cronologica ed è disposta su tre piani, al primo dei quali abbiamo conservati i dipinti dal Quattrocento fino al Seicento, al secondo le opere dal Duecento e al Quattrocento; l’ultimo piano ospita la Collezione Spannocchi.

L’ingresso del museo, che affaccia su via di san Pietro – proprio a due passi dal Duomo –, non risulta particolarmente visibile, motivo per cui risulta difficile immaginare che, dietro la facciata neogotica del palazzo Bonsignori, si celi un grande patrimonio artistico. Un percorso alla Pinacoteca permette di seguire le tracce dell’arte senese dagli esordi, con il Maestro di Tressa, fino al Seicento inoltrato, potendo vedere le opere dei protagonisti del “secolo d’oro” della città – il Trecento –, come Duccio di Boninsegna, Simone Martini, Ambrogio e Pietro Lorenzetti.Tuttavia, anche se l’arte senese è prevalentemente apprezzata grazie alle personalità del XIV secolo, vedremo nel nostro percorso come anche il Quattrocento sia in realtà costellato da grandi personalità che hanno lasciato il segno nella storia cittadina.

 

Il secondo piano: Paliotto del Salvatore, Maestro di Tressa

Prima di parlare del periodo oggetto del nostro percorso, volgiamo lo sguardo all’opera più antica della collezione, la prima cui ci si trova davanti appena arrivati al secondo piano: Il paliotto del Salvatore del Maestro di Tressa, tra le prime testimonianze pittoriche conservatasi dell’arte senese.

Il dipinto è un’opera su tavola che decorava l’altare della chiesa dei Santi Salvatore e Alessandro a Castelnuovo Berardenga; vi vediamo la rappresentazione del Cristo Redentore come Maiestas Domini (Maestà del Signore) inserito in una ‘mandorla di luce’ che è sintesi della forza universale di Dio. La figura, ieratica e solenne, è circondata dal tetramorfo, una raffigurazione iconografica composta dai quattro simboli deglievangelisti – Marco, Matteo, Luca, e Giovanni – sotto forma di animali alati.

A sinistra di Cristo-Dio sono rappresentate le storie della passione e del Nuovo Testamento: vediamo infatti l’Ultima Cena e la Crocifissione; sulla destra invece abbiamo le Storie della Vera Croce tratte dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, opera composta nel XIII secolo.

Il maestro di Tressa, nome convenzionale dato dalla critica a questo pittore per via di una primitiva tavola proveniente dall’omonima località, è noto a Siena soprattutto per un altro dipinto, conservato presso il Museo dell’Opera del Duomo di Siena: la Madonna dagli Occhi Grossi, effige di fronte alla quale la cittadinanza di Siena invocò aiuto e protezione alla vigilia della Battaglia di Montaperti, nel 1260.

Dopo le sale in cui sono esposte le opere del Maestro di Tressa e degli artisti suoi contemporanei, si attraversano le stanze ricolme di opere d’arte appartenenti a Duccio di Buoninsegna e alla sua bottega; seguono i dipinti risalenti al tardo Trecento, tra cui spicca l’Adorazione dei Magi, capolavoro di Bartolo di Fredi.

 

Il secondo piano: Adorazione dei Magi, Bartolo di Fredi

Studiando la storia dell’arte ci si rende conto che l’evoluzione delle mode e dei gusti non è fatta a compartimenti stagni, il che vuol dire che non si può pensare di avere un cambio stilistico da un anno all’altro in maniera omogenea dappertutto, arrivando ad escludere la possibilità di contaminazioni e prese di spunti dalle epoche precedenti. La scuola d’arte senese si è sempre contraddistinta per eleganza e raffinatezza, due elementi mutuati dallo stile gotico francese che la nostra città ha avuto modo di conoscere e fare propri grazie agli scambi culturali che furono senz’altro favoriti dalla Via Francigena. I pellegrini e i viandanti che durante i secoli sono passati per Siena, nonché la circolazione di manufatti e le maestranze provenienti da Oltralpe, hanno fatto sì che gli artisti locali assimilassero nuovi stilemi. Essi immaginarono un modo nuovo di creare le forme che andava ad innestarsi sulla tradizione autoctona caratterizzata ancora da uno schematismo e una ieraticità bizantina: tale sincretismo è ben evidente negli artisti del Due-Trecento, come Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti.

Della compresenza di gusti e maniere diverse si è già detto all’inizio di questo itinerario, quando, parlando del concorso per la porta del Battistero di Firenze, abbiamo narrato del conflitto estetico che portò Brunelleschi a perdere la competizione contro il ‘tradizionale’ Ghiberti. L’arte di Lorenzo era piuttosto ancorata a una maniera gotica sofisticatamente raffinata, uno stile conosciuto con il termine convenzionale di “Gotico internazionale”. Gli echi di tale stile avranno vita lunga, tanto che nel 1423, ben 22 anni dopo il famigerato concorso, il famoso pittore Gentile da Fabriano dipinse per il potente mercante fiorentino Palla Strozzi una Adorazione dei Magi per la sua cappella in Santa Trinita. Lo stile di quel trittico è ‘cortese’ e i personaggi rappresentati mostrano una foggia opulenta nel vestiario, così come si addiceva ai membri delle casate principesche, di cui i Magi, appunto, facevano parte. Prima del dipinto fiorentino, Gentile aveva viaggiato in altre città toscane; poiché è nota la sua tappa a Siena, è suggestivo pensare che il pittore abbia preso spunto, per la sua futura opera, proprio da questo dipinto della pinacoteca di omonimo soggetto realizzato da Bartolo di Fredi, ultimato già nel 1385.

In effetti, nel dipinto del pittore senese emergono pienamente quei caratteri narrativi e naturalistici propri del tardo Gotico; lo sfondo è una narrazione divisa fra il momento prima dell’Adorazione stessa, ovvero l’arrivo dei Magi a Gerusalemme, e la fase successiva, quella in cui i tre re ripartono per la loro terra natia seguendo nuovamente la luce della stella. La città rappresentata sullo sfondo, che sembra avere tutte le sembianze di Siena – e che ci riporta immediatamente alle immagini di vedute che Ambrogio Lorenzetti dipingeva nella sala della Pace del Palazzo Pubblico alla metà del secolo precedente –, ci offre una documentazione accurata di come dovesse apparire la città tre il XIV e il XV secolo: turrita ed intonacata.

Altra deliziosa nota dell’opera è la simbologia delle rappresentazioni; una fra tutte, i tre Magi in primo piano, raffigurati seguendo le tre età dell’uomo. Abbiamo infatti una prima figura dai capelli biondi e dalla pelle giovane, un uomo – con la cappa gialla – di mezza età e bruno, ed infine un uomo anziano, brizzolato e dalla lunga barba; non a caso, è proprio quest’ultimo a prostrarsi di fronte Gesù, in quanto la sua saggezza lo fa essere certo di avere di fronte l’incarnazione di Dio.

L’opulenza dei dettagli che si ritrova nella pittura tardo gotica – dalle ricche vesti ai gioielli, fino alle acconciature – trovava un riscontro anche in scultura e in architettura: basti pensare alle grandi cattedrali nordiche o, rimanendo in territorio italiano, alle decorazioni floreali presenti sul Duomo di Milano.

 

La Madonna dell’Umiltà di Giovanni di Paolo

Fatta questa larga premessa, è tempo di parlare delle opere del Quattrocento. Come prima opera su cui soffermarsi vi propongo la Madonna dell’Umiltà di Giovanni di Paolo. Sebbene quest’opera sia degli anni trenta del Quattrocento, epoca in cui Masaccio ha già lasciato nell’ambiente fiorentino la sua indelebile impronta rivoluzionaria, in essa vi è la dimostrazione di come Siena rimanga comunque fieramente ancorata al gusto gotico. L’opera prende la denominazione di Madonna dell’umiltà poiché vediamo la Vergine Maria con il Bambino, in un intimo momento tra madre e figlio, seduti sull’erba di un campo anziché sul tradizionale trono che li tiene separati da terra come si confà a dei soggetti divini. La linea piuttosto sinuosa dei corpi slanciati ci rimanda alle figure della scuola duccesca; sullo sfondo, con veduta a volo d’uccello, sono raffigurate montagne e città turrite, mentre tutt’intorno alla Vergine è raffigurato un giardino – forse richiamo all’hortus conclusus – finemente dettagliato nella varietà di piante che evince un attento studio della botanica. Sempre di Giovanni di Paolo, databile agli anni quaranta del Quattrocento, abbiamo una replica del quadro senese che è oggi conservata al Museum of Fine Arts di Boston.

 

Polittico dell’Arte della Lana, F Sassetta

Se in generale la scuola senese del Quattrocento rimarrà legata per molto tempo alla tradizione pittorica del secolo precedente, un artista che invece non sarà estraneo alle novità provenienti dalla Firenze di Donatello e di Masaccio è Stefano di Giovanni, detto il Sassetta. La sua prima opera documentata, datata al 1423 e visibile in Pinacoteca in alcuni scomparti, è il Polittico dell’Arte della Lana.

Purtroppo, molti dei pannelli dell’opera sono dispersi, altri conservati nei vari musei del mondo; di quelli presenti in Pinacoteca, l’Ultima cena è senz’altro uno dei più belli. Nella scena con Sant’Antonio colpito dai demoni si evince in modo chiaro come il Sassetta avesse assimilato le ricerche sulle novità rinascimentali fiorentine: lo studio prospettico della scena è un termine di novità rispetto alle opere dei pittori a lui contemporanei e allo stesso tempo è degna di nota la sua attenzione alla componente naturalistica, evidenziata ad esempio dai cieli resi con striature bianche. Un altro dato che porterà l’artista a distinguersi dagli altri è l’attenzione allo studio anatomico e fisionomico dei personaggi, come si evince nella rappresentazione del cranio del santo scaraventato a terra dai diavoli che, ruotandogli intorno, lo percuotono con delle mazze. Il Sassetta fu maestro di Giovanni di Paolo, del Vecchietta, di Sano di Pietro e del figlio Giovanni di Stefano.
La sua produzione della fase matura non risulta essere innovativa come quella iniziale, un cambio di rotta forse dovuto alla necessità di andare incontro ai gusti dei committenti, purtroppo sempre legati agli stilemi del secolo precedente.

page20image35830096La sua esistenza venne bruscamente interrotta nel 1450, probabilmente a causa di una polmonite contratta mentre lavorava all’affresco dell’Incoronazione della Vergine sulla Porta Romana – una delle porte della cinta muraria –, un’opera che venne infatti terminata solo dall’allievo Sano di Pietro.

 

Annunciazione, Jacopo della Quercia

Ecco ora un’ opera di scultura: lAnnunciazione di Jacopo della Quercia.
La composizione è formata da due statue, la Vergine annunciata e l’Angelo annunciante, opere realizzate in legno e in seguito dipinte. É comune trovare, nelle chiese senesi, le due statue poste ai lati dell’altare, allestimento che permette di evidenziare il frutto del loro incontro, ovvero Cristo che viene celebrato sull’altare. É piuttosto evidente come le sculture di Jacopo della Quercia siano ancora legate al gusto del secolo precedente, sia per la forma slanciata adhachemant, sia per il ricco groviglio di panneggi. Quest’ultimo, un elemento costante nell’arte dello scultore senese, si rifà all’arte gotica del Trecento.

 

Madonna in trono con Santi, Vecchietta

Dipinta negli ultimi anni di vita per la propria cappella mortuaria che il Santa Maria della Scala gli aveva accordato all’interno della chiesa della Santissima Annunziata, l’opera doveva essere accompagnata anche dal bronzeo Cristo Risorto che infine fu collocato sopra l’altare maggiore della stessa chiesa. Della sepoltura dell’artista non si sa più nulla, dal momento che non ve n’è traccia nella chiesa.
Il dipinto vede rappresentati Pietro e Paolo, i santi istituzionali, assieme a san Francesco e san Lorenzo. Sebbene risulti molto rovinata, la pala riesce ancora a farsi apprezzare per presentare la disposizione delle figure come in una scatola semicircolare perfettamente prospettica, in cui i cassettoni lignei del soffitto, assieme agli angeli che spuntano come da due finestrelle dietro il trono, enfatizzano il senso di profondità dell’insieme. I personaggi sono resi in maniera scultorea, anche se non possenti; le vesti sono lucide, quasi cangianti, con effetto di tessuti bagnati, come nella statuaria classica.

 

La Natività di Francesco di I Giorgio Martini

Assieme a Giovanni di Paolo, Sano di Pietro e Matteo di Giovanni, il Vecchietta è tra gli autori delle pale d’altare della cattedrale di Pienza, uniche testimonianze della scuola senese nel ‘tempio dell’umanesimo’ voluto da Pio II. Erede di quella straordinaria esperienza umanistica, codificata in trattato da un grande erudito come Leon Battista Alberti, fu, in terra di Siena, un artista del calibro di Francesco di Giorgio Martini.

Allievo del Vecchietta, egli ha lasciato un contributo importantissimo nell’ambito dell’architettura, sia come progettista che come trattatista; fu tanto apprezzato come architetto che, così come fece Firenze a suo tempo con il suo Giotto, la Repubblica di Siena tentò di tenerselo stretto quando le corti italiane lo reclamarono per la sua fama di architetto civile e militare (lavorò a lungo ad Urbino, per il duca Federico da Monte- feltro, oltreché a Jesi e ad Ancona). Questo artista fu anche un attivo pittore, come dimostra la serie di opere da lui realizzate presenti in Pinacoteca. Sebbene la qualità dei dipinti non è dello stesso livello delle sue sculture o dei disegni – un fatto la cui causa va probabilmente cercata nel fatto che il maestro lasciava gran parte del lavoro pratico agli aiuti di bottega –, si sono comunque conservate opere sue di ottima fattura, molte delle quali proprio in questo museo, come ad esempio la Natività con San Bernardino e San Tommaso d’Aquino, una Madonna con Bambino e Angelo e la bellissima Incoronazione della Vergine. Nella Natività è possibile apprezzare dettagli che denotano lo studio e l’interesse mostrato da Francesco verso la tradizione plastica fiorentina, dove artisti come i fratelli Pollaiolo e Andrea del Verrocchio avevano totalmente rivisitato le reminiscenze gotiche di Luca della Robbia in un linguaggio completamente rinnovato; nella pala di Siena si possono notare raffinati dettagli quali l’elegante testa della Vergine, o le vibranti pieghe del manto si possono notare raffinati dettagli quali l’elegante testa della Vergine, o le vibranti pieghe del manto.

 

La Natività di Francesco di I Giorgio Martini

Assieme a Giovanni di Paolo, Sano di Pietro e Matteo di Giovanni, il Vecchietta è tra gli autori delle pale d’altare della cattedrale di Pienza, uniche testimonianze della scuola senese nel ‘tempio dell’umanesimo’ voluto da Pio II. Erede di quella straordinaria esperienza umanistica, codificata in trattato da un grande erudito come Leon Battista Alberti, fu, in terra di Siena, un artista del calibro di Francesco di Giorgio Martini.

Allievo del Vecchietta, egli ha lasciato un contributo importantissimo nell’ambito dell’architettura, sia come progettista che come trattatista; fu tanto apprezzato come architetto che, così come fece Firenze a suo tempo con il suo Giotto, la Repubblica di Siena tentò di tenerselo stretto quando le corti italiane lo reclamarono per la sua fama di architetto civile e militare (lavorò a lungo ad Urbino, per il duca Federico da Montefeltro, oltreché a Jesi e ad Ancona). Questo artista fu anche un attivo pittore, come dimostra la serie di opere da lui realizzate presenti in Pinacoteca. Sebbene la qualità dei dipinti non è dello stesso livello delle sue sculture o dei disegni – un fatto la cui causa va probabilmente cercata nel fatto che il maestro lasciava gran parte del lavoro pratico agli aiuti di bottega –, si sono comunque conservate opere sue di ottima fattura, molte delle quali proprio in questo museo, come ad esempio la Natività con San Bernardino e San Tommaso d’Aquino, una Madonna con Bambino e Angelo e la bellissima Incoronazione della Vergine.

Nella Natività è possibile apprezzare dettagli che denotano lo studio e l’interesse mostrato da Francesco verso la tradizione plastica fiorentina, dove artisti come i fratelli Pollaiolo e Andrea del Verrocchio avevano totalmente rivisitato le reminiscenze gotiche di Luca della Robbia in un linguaggio completamente rinnovato; nella pala di Siena si possono notare raffinati dettagli quali l’elegante testa della Vergine, o le vibranti pieghe del manto.

L’Incoronazione della Vergine, L Francesco di Giorgio Martini

Nell’Incoronazione della Vergine l’artista sintetizza nel modo più felice possibile la maniera delle due scuole artistiche sempre rivali: quella senese e quella fiorentina, coniugando la plasticità e il senso dello spazio fiorentini con l’attenzione al decoratissimo e alla sinuosità tipici della tradizione senese. I santi e gli angeli che assistono all’evento sono simmetricamente disposti da una parte e dall’altra, arrivando quasi a diventare strutture portanti del disco su cui poggiano il Cristo e la Vergine.

Insomma, Francesco di Giorgio è davvero un artista straordinario, a torto poco considerato nelle opere divulgative della storia dell’arte italiana. Altro artista qui presente è Neroccio di Bartolomeo de’ Landi, anche lui personalità poliedrica come Francesco di Giorgio – di cui fu allievo e collaboratore – ma ancora legato al gusto di ricercata eleganza della generazione precedente. Di sua mano sono qui presenti diverse Madonne con bambino e santi, le cui fattezze ricordano quelle già disegnate dal suo maestro. Neroccio si distinse soprattutto come scultore: il suo capolavoro rimane la statua lignea di Santa Caterina da Siena, eseguita per l’Oratorio della Contrada dell’Oca. Le ultime sale della Pinacoteca dedicate all’arte del Quattrocento ospitano numerosi polittici rappresentanti quasi sempre la Vergine tra santi, opere di Sano di Pietro. Artista allievo del Sassetta, dopo una fase giovanile caratterizzata da un certo brio creativo come forse confermerebbe la sua omonimia con il Maestro dell’Osservanza, Sano di Pietro cambiò decisamente il suo modo di dipingere nel periodo della maturità, quando diventò meccanico e seriale, senza più quasi spunti di novità se non nelle opere di piccolo formato. Qui termina il nostro viaggio nella Pinacoteca Nazionale di Siena; non lasciate il museo senza aver ammirato le opere appartenenti al cinquecento e al seicento senese esposte al primo piano.

Testi a cura di Ambra Sargentoni (Ambra Tour Guide) Coordinamento editoriale: Elisa Boniello e Laura Modafferi
Foto: Archivio Comune di Siena, Leonardo Castelli, Archivio Pinacoteca Nazionale di siena, su concessione del Ministero della cultura, Direzione Regionale Musei della Toscana
Grafica: Michela Bracciali

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