6.9 Le Donne, la Repubblica e l’orgoglio

La Lizza

Questo itinerario vi condurrà nella gloriosa Repubblica di Siena del Quattrocento, una Siena che si batté contro l’oppressione del potere imperiale spagnolo.

L’operato di Pandolfo Petrucci, in particolare il suo destreggiarsi fra gli altalenanti poteri politici del tempo, fece sì che Siena non venisse sottomessa tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo; purtroppo, la dimensione militare e diplomatica delle superpotenze nel Cinquecento non è di certo equiparabile a quella in cui la Repubblica di Siena si era trovata ad operare fino a quel momento, impegnata com’era a resistere alle pressioni di Firenze. Pur di non essere conquistata da quest’ultima – sorte già toccata a Pistoia, Pisa ed Arezzo –, la nostra Repubblica chiese aiuto militare dapprima all’imperatore Carlo V, poi, come vedremo, alla Francia di Enrico II. Vediamo allora meglio quali furono le dinamiche delle potenze europee che, indirettamente, condizionarono anche l’evolversi della situazione politica nostrana: da una parte abbiamo il re di Francia Francesco I – padre di Enrico II sopra menzionato – e dall’altra abbiamo Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero. Quest’ultimo aveva ereditato un territorio davvero vastissimo su cui regnare: dalla madre Giovanna ‘la pazza’ ebbe i territori della Spagna, le Indie Occidentali castigliane e i regni aragonesi di Sardegna, Napoli e Sicilia, mentre dal padre, Filippo il Bello, il titolo di imperatore del Sacro Romano Impero, che comprendeva le Fiandre e i territori tedeschi.

Poiché anche la Francia rivendicava il possesso dell’Italia meridionale, le tensioni furono continue e sfociarono in diversi scontri diretti, fra cui il più noto fu la Battaglia di Pavia del 1525.

In quell’occasione, Carlo V – che poté avvalersi perfino dell’alleanza con l’Inghilterra e con il papato –, vantava una consistente superiorità numerica rispetto al monarca francese, fattore che lo portò alla vittoria. Francesco I fu catturato dalle forze imperiali e il suo riscatto – come stabilito nella Pace di Madrid del 1526 – lo costrinse a rinunciare sia alle pretese sui territori del Sud Italia, sia al controllo di quelli che aveva già conquistato, come il Ducato di Milano. Una volta tornato in patria, Francesco dichiarò nulla la pace firmata con l’imperatore e stipulò un’alleanza con la Repubblica di Venezia, lo Stato pontificio, il Ducato di Milano, la Repubblica di Genova e lo Stato fiorentino – quei territori insomma che si sentivano minacciati dall’egemonia crescente del potere imperiale – nota come la Lega di Cognac.

L’imperatore non gradì questo repentino cambio di alleanze da parte degli stati italiani e, nel 1527, mise l’Urbe a ferro e fuoco – fatto storicamente noto come il Sacco di Roma – con un esercito che, formato in gran parte da mercenari lanzichenecchi di fede luterana – rimasti senza paga, fra l’altro –, ebbe praticamente un ufficioso via libera a saccheggiare la città del papa.

Di fronte a tale situazione di pericolo, il pontefice Clemente VII fuggì a Orvieto; sentendosi direttamente responsabile di quanto era accaduto nell’Urbe, e mortificato per i numerosi innocenti che avevano perso la vita in conseguenza alle sue scelte, egli decise di non radersi più la barba come atto di cordoglio. Per questo fatto particolare è possibile quindi, guardando i ritratti raffiguranti il pontefice, capire a quale fase del pontificato risalgano, proprio in base a se ha o meno la barba. Vi ricordo che Clemente VII era un membro della famiglia Medici; nipote di Lorenzo il Magnifico, egli stette sul soglio di Pietro dal 1523 al 1534, anno in cui morì. Desideroso di riprendere il controllo di Roma e rimettere Firenze in mano ai membri della sua famiglia, il pontefice intavolò trattative con Carlo V che, da parte sua, aveva interesse a ricevere la corona del Sacro Romano Impero – oltre che a sfruttare il sostegno pontificio per scacciare l’avanzata ottomana. La nuova alleanza fu anche suggellata da un matrimonio: quello di Margherita d’Austria, figlia di Carlo V, e Alessandro il Moro, figlio illegittimo del papa. Dopo un lungo assedio mosso a Firenze dalle truppe imperiali, i Medici riuscirono a rientrare nella città del Giglio, riottenendone il governo e instaurando, per la prima volta, un vero e proprio ducato. Questa contestualizzazione era fondamentale per comprendere il modo in cui si mosse la Repubblica di Siena all’interno del meccanismo delle alleanze: nella fase in cui Francesco I e Clemente VII erano alleati nella Lega di Cognac, Siena si appellò a Carlo V in funzione antimedicea. Come supporto alla città, l’imperatore inviò parte delle sue truppe guidate dal comandante Diego Hurtado de Mendoza; inizialmente, l’alleanza con gli spagnoli sembra offrire solo dei risvolti positivi, come sembrò evidente nel supporto delle truppe spagnole nella Battaglia di Camollia del 1526, battaglia che portò alla sconfitta dell’esercito fiorentino-papale. Come si è detto in precedenza però, la rivalità fra il pontefice e l’imperatore era una realtà multiforme che cambiava velocemente sembianze; ecco che nel momento in cui, dopo la riconciliazione, Clemente VII e Carlo V stipulano la loro nuova alleanza, la posizione politico-diplomatica di Siena cambia radicalmente. Il cambio di rotta la città lo aveva visto anche dall’interno: inizialmente Diego de Mendoza si era presentato come ‘difensore’ della città, ma, poco dopo il suo arrivo a Siena, egli impose un deciso aumento delle tasse – adducendo la scusa di dover investire nel potenziamento delle difese cittadine –, ed esigette il disarmo della città; simili richieste misero bene in evidenza l’ambiguità del progetto di protezione spagnola ed alimentarono i sospetti sulla buona fede del contingente di Carlo V. Accadde di più. Il Mendoza chiese anche lo “scapitozzamento” (termine specifico per indicare l’abbassamento) delle torri medievali, al fine di riutilizzare le pietre ed i mattoni nella costruzione di una nuova fortezza. Questa nuova struttura difensiva fu iniziata qui alla Lizza, ma non corrispondeva a quella attuale, poiché si trattava di una fortezza a forma di L costruita, di fatto, per difendere i reggenti spagnoli rifugiati al suo interno dai cittadini senesi all’esterno.

Il vicolo dello Sportello

Oramai era chiaro che la fazione spagnola non ci stava preparando ad affrontare uno scontro con la nemica Firenze, ma piuttosto a subire una dominazione militare. Questi motivi portarono i senesi, nel 1552, a organizzare la presa d’assalto della fortezza. Lasciamoci la centrale statua di Garibaldi alle spalle e attraversiamo la strada in direzione del vicolo dello Sportello.

La struttura difensiva era stata unita alla vecchia cerchia cittadina tramite un muraglione. La via dove ci troviamo con questo emblematico nome di vicolo dello Sportello corrisponde al punto dove era stata costruita una piccola porta che fungeva da accesso secondario alla fortezza in oggetto. Fu proprio tramite questa porticina che i senesi passarono per andare alla conquista del fortilizio, riuscendo nel loro intento di espugnarlo. Sebbene a quel punto la volontà del popolo fosse quella di scacciare i gendarmi imperiali in malo modo, Siena non aveva ancora abbandonato la speranza di un possibile aiuto di Carlo V in caso di necessità contro le minacce fiorentine, motivo per cui fu concessa loro l’uscita con l’onore delle armi.

Piazza Provenzano

Scendendo per via di Montanini fino a piazza Tolomei, svoltando poi a sinistra dietro la chiesa, si raggiunge piazza Provenzano Salvani. Questo è il luogo in cui, nella parentesi storica dell’alleanza spagnola, si verificò un evento destinato a lasciare il segno nella devozione religiosa senese. Si racconta che nelle ultime fasi della dominazione, una sera, un gendarme spagnolo probabilmente ubriaco, per motivi mai chiariti fino in fondo, impugnò la sua arma e sparò ad una piccola statua della madonna che si trovava in una nicchia di questa piazza. Il colpo centrò in pieno la statua, che cadde a terra rompendosi in mille pezzi ma, per miracolo, l’effige non venne completamente distrutta; il busto, infatti, si conservò intonso dalle spalle alla testa.

Il miracolo della Madonna di Provenzano, così è noto questo fatto, è all’origine del culto del simulacro a cui si lega anche la ricorrenza del Palio del 2 luglio. All’interno della chiesa, sull’altare, è ancora oggi conservato il busto della Madonna che, da quel lontano 1500, non ha mai smesso di operare miracoli per i suoi fedeli.

Piazza del Campo

Lasciando piazza Provenzano Salvani, ritorniamo su via Banchi di Sopra attraverso piazza Tolomei, per raggiungere infine Piazza del Campo. Una volta che impero e papato si riappacificarono dopo il Sacco di Roma, negli anni cinquanta del secolo la Francia stringe un’alleanza con Siena, ritenuta un ottimo osservatorio per tenere sotto controllo lo stato pontificio e quello di Firenze.

Non tutta la popolazione senese è lieta della nuova alleanza: i due rappresentanti inviati dalla Francia – Ippolito d’Este (cardinale di Ferrara) e Piero Strozzi (fuoriuscito fiorentino) – non sono sufficientemente allineati, e questo non fa altro che accrescere un sentimento antifrancese nella cittadinanza.

Sono anni molto difficili e delicati, in cui Siena viene messa sotto assedio dalle truppe imperiali guidate da Gian Giacomo de’ Medici, marchese di Marignano. Trovandosi ben presto escluso dai giochi, il cardinale Ippolito fu sostituito dal comandante Blaise de Montluc. Nato intorno al 1500 in un piccolo villaggio della Guascogna – non lontano da Condom –, Blaise mostrò sin da giovanissimo una particolare inclinazione alle armi e ai campi di battaglia, cosa che lo portò a lasciare presto il paese natio per raggiungere la corte dei Lorena, dove ebbe l’opportunità di frequentare la scuola di cavalleria e dove ricevette l’incarico di paggio di corte. Combattente nato, si distinse in diverse battaglie fra la Francia, la Spagna e l’Italia, nonostante che, fin da piccolo, soffrisse di febbri malariche e di dissenteria cronica. Quando Enrico II – erede di Francesco I – gli affida l’incarico di comandante nella guerra di Siena, è un periodo in cui Blaise soffre anche di forti mal di denti; nonostante gli fosse stato sconsigliato dal medico di partire, la sua passione per l’Italia e per i racconti che gli avevano fatto su Siena – unita al suo senso del dovere –, lo spinsero a salpare per raggiungere la Penisola.

Quando si stava per decidere la persona che avrebbe sostituito il cardinale d’Este, il consiglio reale lo aveva inizialmente scartato per via del suo caratteraccio: Montluc era troppo collerico e bizzoso, e di sicuro non sarebbe mai andato d’accordo col temperamento dei senesi. Anzi. Egli avrebbe sicuramente compromesso gli interessi della Francia. Alla fine però fu scelto lui; del resto, non esiste uomo che sia una autorità, che sappia assumersi delle grosse responsabilità, che sia in grado di mettere ordine e fare giustizia, che sia un uomo di azione e un grande realizzatore quando deve far combattere dei soldati, senza che questo stesso uomo sia anche collerico, bizzoso e con un brutto carattere.

La grande avventura di Blaise a Siena ebbe inizio; il tempo in cui egli stette alla guida del contingente franco-senese – dal 1553 al 1555 – fu caratterizzato dalla sofferenza più totale per quest’ultimo. Complice l’esasperazione a cui erano ormai giunte le truppe, costrette a difendersi su più linee, tenute aperte mentre il contingente filo imperiale restringeva il fronte senese con una strategia ‘a tenaglia’, si consumarono alcuni degli episodi più bui e drammatici della storia della città, come la ‘strage delle bocche inutili’. Quando ormai le scorte di cibo non erano più sufficienti per tutta la popolazione di Siena, si decise nello scartare le donne, gli anziani e i bambini – dette appunto ‘bocche inutili’, per il fatto che non potevano combattere – fuori dalla città, accompagnati da un robusto contingente armato.

L’esercito nemico, che assediava la cinta muraria, non ebbe pietà nemmeno per loro. Uccise la scorta, gli anziani e non si commosse nemmeno davanti ai bambini o alle donne, che dopo essere state stuprate, subirono la stessa sorte degli altri.

Questi orrori furono riportati da Blaise in una sorta di diario – i Commentari –, testo dove però egli annotò anche i momenti straordinari che visse, come quelli legati all’incredibile coraggio delle donne di Siena.

Il fortino delle donne 

Da Piazza del Campo, seguendo per via di Banchi di Sopra e poi per via di Montanini, si raggiunge porta Camollia; subito fuori dall’arco d’ingresso, sulla sinistra, è presente ciò che oggi si conserva del Fortino delle Donne.

Si tratta di una fortificazione militare, probabilmente progettata da Baldassarre Peruzzi. Ideata per disporre sia dei cannoni e sia degli archibugi, con un angolo di tiro di circa 180 gradi, il fortino era un’enorme arma da fuoco pronta a difendere la città nel suo lato più debole, quello a Nord.

Probabilmente fu proprio Blaise a intitolare il fortino alle donne di Siena, e questo perché rimase sinceramente colpito di come queste si rimboccarono le mani per aiutare gli uomini in tutto, perfino a distruggere le proprie abitazioni al fine di ricavarne dei mattoni, necessari per rinforzare le mura cittadine.

Grazie alla forza e alla preziosa collaborazione di tre nobildonne senesi – Laudomia Forteguerri, Fausta Piccolomini e Livia Fausti – che capitanarono l’esercito di donne, queste ebbero un ruolo da protagonista nelle memorie del comandante francese; egli scrisse: «non sarà mai, o donne senesi, che non immortali il vostro nome finché il libro di Montluc vivrà, infatti voi siete veramente degne di lode immortale, se mai donne lo furono». Poi ancora: «avevano composto una canzone in onore della Francia che cantavano mentre andavano al loro forte; io darei il mio miglior cavallo per averla e per trascriverla qui». Alla fine di quella strenua e valorosa resistenza, Siena fu costretta a capitolare; nel 1555 i fiorentini, alleati con l’esercito imperiale, ebbero la meglio. La conquista della città non fu però medicea, ma imperiale; Firenze chiese astutamente un’ingente somma di denaro all’imperatore come risarcimento per l’aiuto militare durante la guerra. A seguito della pace di Cateau Cambresis del 1559 tra Francia e Spagna, in cui si firmò l’accordo che definiva la ripartizione dei territori italiani conquistati, come ricompensa, a Firenze venne donata la Repubblica di Siena, che divenne così il ducato nuovo di proprietà della città del giglio.

L’arco di porta Camollia 

Al comandante Blaise, che guidò Siena verso una nobile e combattiva fine, è dedicata questa trafficata via che costeggia le mura a Nord della città. Alzando lo sguardo sopra l’arco centrale della porta dal lato esterno, su questa porta, teatro dell’ultima coraggiosa resistenza senese, oggi si legge l’iscrizione «Cor magis tibi Sena pandit», ovvero «Siena, più largo di questa porta, ti apre il cuore».

Ovviamente, si tratta di un motto ipocrita fatto incidere nel 1601 dal granduca di Toscana Ferdinando I – figlio di quel Cosimo I che alcuni anniprima si era vantato di aver conquistato la città per suo merito – nel tentativo di farsi rispettare dal popolo di Siena.

Testi a cura di Ambra Sargentoni (Ambra Tour Guide) Coordinamento editoriale: Elisa Boniello e Laura Modafferi
Foto: Archivio Comune di Siena, Leonardo Castelli, Sabrina Lauriston
Grafica: Michela Bracciali

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