Certosa di Pontignano

7.2 Una bellezza eclettica

Il fascino del Chianti, tra panorami e antiche pievi

«Da Pispini a Romana Siena è vista ad angolo con gli orti che si ficcano fino in fondo, salendo giù dalle mura; mentre il rettangolo alto della Porta Pispini regge il gran tabernacolo dipinto sopra all’antiporto. L’angolo dove sono gli orti è incavato; mentre le case sono rettilinee e i due lati che fanno alla stessa altezza». 

(Federigo Tozzi, Taccuini)

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Usciti da Porta Pispini, possiamo ammirare la possenza della cinta muraria trecentesca che conduce a Porta Ovile e l’imponente bastione fortificato del XVI secolo, opera di Baldassarre Peruzzi, ingegnere militare e architetto senese che lasciò a Siena e in altre città italiane le testimonianze del suo lavoro.

La costruzione della Porta dei Pispini, in antico detta di San Viene, (sbagliando, peraltro, perché, in realtà, porta San Viene, la più antica, è l’arco che la precede e consente l’accesso alla piazzetta Mario Cioni), viene realizzata dal 1326 al 1328, probabilmente su progetto del perugino Minuccio, o Muccio, di Rinaldo, che in quegli anni era impegnato a Siena, insieme al fratello Francesco, nel cantiere della Torre del Mangia. Costituita da un enorme torrione con davanti un antemurale, forse aggiunto nella seconda metà del XV secolo, il fornice presenta un arco a tutto sesto sormontato da un’edicola che, tra il 1528 e il 1531, venne affrescata da Giovanni Antonio Bazzi detto Il Sodoma con una rappresentazione della “Natività con una gloria di Angeli”. Della pittura, rovinata dagli agenti atmosferici, rimangono pochi frammenti che furono staccati negli anni Settanta del Novecento e posti sulla controfacciata della Basilica di San Francesco. La porta e la merlatura furono restaurati intorno alla metà dell’Ottocento anche se i merli originari, «che tanto le arrecavano di maestoso», vennero distrutti nel 1784, come testimonia Pietro Pecci nel “Giornale Sanese” (un Diario vero e proprio delle cose avvenute a Siena nel XVIII secolo), che così commentò: «essendo questi tempi barbari per la città di Siena non si possono descrivere altro che barbare risoluzioni».

Passiamo Porta Ovile, la Stazione ferroviaria e poi prendiamo la ciclabile che corre parallela a Viale Giovanni Paolo II, altresì conosciuto come Strada Fiume, e che ci porta sulla SR 222 Chiantigiana.

La “nuova” stazione

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Il 25 novembre 1935 viene inaugurata la nuova stazione ferroviaria di Siena, e si apre così un nuovo capitolo di fondamentale importanza per la storia delle vie di comunicazione del territorio. Già ai primi del Novecento la “vecchia” stazione (il cui edificio principale e la retrostante officina meccanica esistono ancora all’inizio di Viale Mazzini) viene ritenuta insufficiente per soddisfare le esigenze di rapidi collegamenti ed angusta, dato che era impossibile ampliare la struttura. Nel 1914 le Ferrovie dello Stato approvano il progetto di spostamento nella valle sottostante, già percorsa dalla linea per Chiusi, ormai bocciate le opzioni alternative di Porta Ovile e Porta Romana. Prima di iniziare i lavori veri e propri, il sito individuato necessitava di interventi di bonifica e consolidamento del terreno, ma vengono fermati dallo scoppio della guerra. Terminata la guerra mancano i finanziamenti e il cantiere rimane a lungo inoperoso: lo stesso progetto iniziale viene rimesso in discussione, divenuto inadeguato alle mutate esigenze della città. Nel 1931, finalmente, l’architetto Angiolo Mazzoni, che in quel periodo aveva progettato varie altre stazioni in Italia, ottiene l’incarico per portare a conclusione quella di Siena. Dopo alcune modifiche (e rallentamenti), il 29 dicembre 1933, il progetto viene approvato dal Comune e dalla Soprintendenza con gli ultimi ritocchi come la torre rettangolare con l’orologio che era una sorta di firma d’autore dell’architetto. I lavori sono quasi conclusi nel mese di luglio e in corso d’opera erano state introdotte varianti con le quali si vuole semplificare i fabbricati laterali per valorizzare il corpo centrale dell’edificio. La nuova stazione ferroviaria viene aperta al pubblico già il 18 ottobre, anche se l’inaugurazione avviene solo in questo 25 novembre, alla presenza del ministro Antonio Stefano Benni, delle autorità locali e dei vertici delle Ferrovie. La città è imbandierata, i senesi plaudono all’opera e vengono coniate perfino monete celebrative dell’evento. Nell’intento di chi l’ha progettata questa opera architettonica ha l’obiettivo di richiamare, in forme nuove e moderne, le caratteristiche di Palazzo Pubblico. Purtroppo, l’elegante complesso ferroviario viene snaturato in gran parte con la ricostruzione post-bellica (la stazione viene bombardata il 23 gennaio 1944, come la basilica dell’Osservanza).

Dopo appena un chilometro, in località Colombaio prendiamo, sulla destra, la meno trafficata SP 102 di Vagliagli. Il tratto iniziale scivola in discesa fino ad arrivare al fondovalle; il panorama si apre, vasto, verso il Chianti in un contesto in cui la campagna coltivata domina incontrastata. Siena è solo a qualche chilometro, la si intravede ancora all’orizzonte dietro a qualche curva, ma la città è comunque “lontana”: pedaliamo come immersi in un territorio fatto di campagna e basta. Arrivati al termine della discesa, ci attendono sette chilometri di salita che procede a strappi, alcuni anche impegnativi, che ci portano fin oltre i 500 m.s.l.m. di Vagliagli, in pieno territorio chiantigiano. Chi volesse ammorbidire il percorso senza arrivare al paese, dopo un paio di chilometri di salita può prendere sulla destra la strada che indica Pontignano. Altrimenti continuiamo fino al piccolo centro del Chianti senese da cui si può ammirare uno straordinario panorama sulle colline di questa rinomata “terra del vino”, conosciuta in tutto il mondo. Per godere di una veduta ancor più grandiosa, poco prima di arrivare nel cuore del paese, dovremo letteralmente arrampicarci per un paio di centinaia di metri fino al cippo che ricorda il sacrificio del partigiano Bruno Bonci. Da qui possiamo spaziare su gran parte del territorio della provincia di Siena: ad ovest il dolce profilo della Montagnola Senese, più lontani il Poggio di Montieri e le Cornate di Gerfalco, a sud l’Amiata, il poggio di Radicofani e il Monte Cetona, ad ovest la vicina catena del Chianti e più lontano il Pratomagno.

Vagliagli è un borgo che risale al XIII secolo e ha in sé una curiosità circa l’etimologia del suo nome: Vagliagli sembra rimandare “valle degli agli”, tanto che nello stemma del paese appare una mano che stringe un mazzo di agli selvatici. In realtà il toponimo si riferisce a Vallialli, Valle di Allii ovvero valle di Allius, probabilmente il signore del territorio. Il paese è stato per secoli un castello, un avamposto a difesa della città di Siena.

“Caravaggio”, il pittore partigiano

Tra il maggio e il giugno 1944 i tedeschi si preparano a ritirarsi verso il nord Italia. Il potere della Repubblica Sociale Italiana, per altro sempre molto fragile e operativo solo grazie al sostegno dell’alleato nazista, collassa, le formazioni partigiane assumono il controllo di gran parte della provincia di Siena. Bruno Bonci, giovane pittore senese, benché non più in età da essere arruolato nella milizia della RSI, decide di unirsi col nome di battaglia “Caravaggio” nella formazione partigiana “Monte Amiata”, che opera anche nel territorio chiantigiano. A Vagliagli, il 12 giugno 1944, le truppe tedesche, dopo un’ennesima razzia di olio in casa di alcune famiglie contadine, si scontrano con tre partigiani, uno dei quali Bruno Bonci, che li stavano attendendo vicino al cimitero del paese per tendere loro un agguato. Nello scontro a fuoco Caravaggio viene colpito a morte. In sua memoria a Vagliagli è stato eretto un cippo, inaugurato nel 1981 e opera dell’artista Maurizio Masini, mentre a Siena una strada porta il suo nome.

Da Vagliagli torniamo indietro, in leggera discesa per quasi cinque chilometri fino al bivio che sulla sinistra indica Pontignano e la sua splendida Certosa. Un complesso, questo, dalla “bellezza eclettica”, come si può leggere sul Sito Ufficiale di Ambito Turistico Chianti, in virtù delle sue diverse rilevanze: la chiesa, la canonica, i chiostri, il giardino. La città di Siena si delinea ad ovest, dietro un continuo alternarsi di colline che più lontano chiudono l’orizzonte.

Certosa di San Pietro in Pontignano

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La Certosa, una delle tre poste nel territorio senese con Maggiano e quella, oggi scomparsa, di Belriguardo, fu fondata nel 1343 da Bindo di Falcone Petroni dopo che il suo progetto venne approvato dall’allora vescovo di Siena Donosdeo Malavolti. Petroni affidò a frate Amerigo, un certosino dell’Aquitania, l’incarico di costruire un monastero che potesse ospitare dodici monaci e tre conversi. Nel 1353 Petroni fece testamento e lasciò tutti i suoi beni ai certosini di Pontignano che dopo l’incendio del 1478 e i danni subiti durante la Guerra di Siena del 1554-1555, quando il complesso venne saccheggiato e semidistrutto, dovettero farlo riedificare. Riconsacrato nel 1607 dall’arcivescovo Camillo Borghesi, si fanno risalire a quest’epoca importanti interventi artistici come il San Romualdo genuflesso, opera del pittore forlivese Antonio Fanzaresi, che possiamo ammirare nella piccola chiesa, oppure i lavori dei fratelli Nasini, di Francesco Vanni e altri grandi artisti dell’epoca. Pontignano rimase camaldolese fino al 1810 quando venne definitivamente abolita da Napoleone. L’attività ecclesiastica non si interruppe solo grazie al trasferimento a Pontignano della parrocchia di San Martino a Cellole. Dopo vari passaggi di proprietà, nel 1959, divenne del senese Mario Bracci, giudice costituzionale e Rettore dell’Università di Siena, che dette nuovamente importanza al cenobio trasformato in collegio universitario. Oggi Pontignano è una struttura ricettiva per conferenze e soggiorni e tra gli alloggi per gli ospiti troviamo ancora le antiche celle dei frati dalle quali sono stati ricavati gli appartamenti.

Dopo Pontignano, la strada prende a scendere prima dolcemente poi con pendenze ben oltre il 10%. Arriviamo così a Ponte a Bozzone dove seguiamo le indicazioni per Siena; pedaliamo di nuovo in salita per circa un chilometro e poi prendiamo la strada che porta al borgo fortificato di Monteliscai.

Monteliscai

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Un tempo castello della Repubblica Senese, Monteliscai è già citato nei documenti fin dal 1101 quando il prete della chiesa di San Pietro (che esiste ancora oggi e reca un bel monogramma di San Bernardino sulla porta d’ingresso) ne offrì il patronato all’Abbazia camaldolese di San Pietro a Ruoti (siamo in Val d’Ambra, nella diocesi di Arezzo). Nel 1203, 39 capifamiglia (e da questo numero deduciamo l’entità dell’abitato dentro le mura), insieme a quelli che abitavano nelle altre fortificazioni poste verso i limiti settentrionali del contado di Siena, parteciparono al giuramento con cui Senesi e Fiorentini cercavano, già allora, di dirimere una vertenza sui confini dei propri territori.

Monteliscai si trovò spesso in mezzo alle “schermaglie” belligeranti tra Siena e Firenze, tant’è che nel 1229 venne occupato proprio dai fiorentini, anche se per breve tempo e con qualche sorpresa dei cittadini senesi se i cronisti scrivono: «Nonostante la sua forte, halta posizione quasi inaccessibile al nemico, perché piantato nel più alto culmine del monte, e da ogni parte coronato da precipizi e balze, dovette soccombere, seppur temporaneamente, nel giorno 19 settembre 1229, alla forza dei soldati della Repubblica di Firenze».

Monteliscai fu danneggiato, sempre dai fiorentini, nel 1479, durante la guerra contro Senesi e Aragonesi, allora alleati.

Se andate a Monteliscai (perché ci andate, vero?), potrete constatare come le costruzioni attuali siano in parte sorte sulle rovine delle antiche mura nel cui perimetro resta ancora in ottimo stato di conservazione la porta d’accesso, originaria, danneggiata nella parte bassa intorno alla metà del XX secolo per favorire il passaggio dei carri agricoli.

Insomma, alla fortezza di Monteliscai fecero quasi più danni i contadini che le guerre.

La strada che percorriamo verso San Giorgio a Lapi è ormai quasi priva di traffico in un alternarsi di brevi salite e tratti pianeggianti; nei pressi della chiesa di San Giorgio a Lapi, che si erge in alto, su di una collinetta che domina i primi contrafforti chiantigiani, inizia un tratto di sterrato, il penultimo che i ciclisti professionisti percorrono, in senso opposto, nell’ormai famosa gara world tour “Strade Bianche” che parte e arriva a Siena. La discesa sterrata di Colle Pinzuto, con tratti alquanto impegnativi, ci chiama ad una particolare attenzione.

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La chiesa di San Giorgio a Lapi, detta anche di San Giorgino, risale al 1109. Edificata da un certo Ranuccio, fu donata all’Abate del monastero di San Pietro a Roti e poi ai monaci dell’ordine Camaldolese di Montegrimaldi che estesero il loro dominio ai terreni situati fra il Colle Pinzuto, la Villa del Serraglio e il torrente Bozzone. Nel Comunello di San Giorgio a Lapi (oppure “all’Api”, come si trova scritto talvolta), della quale la chiesa era parte, si producevano eccellenti vini fin dal XVIII secolo ed era presente un monastero femminile.

La chiesa continuò ad essere parrocchia legata ai camaldolesi fino a metà del Seicento quando, ormai in rovina, la sua cura fu affidata al parroco di San Pietro a Monteliscai. Come per ogni altra parrocchia, col regolamento Leopoldino del 2 giugno 1777, venne soppressa.

E’ proprio lungo questi ultimi chilometri di strada bianca che si può ammirare il paesaggio agricolo del contado prossimo alla città di Siena, così ricco di filari alberati, di ciò che rimane dei vecchi terrazzamenti e

dei muretti a secco, che un tempo delimitavano proprietà e strade, di appezzamenti a vigneto e oliveto che ancora si alternano a porzioni boschive più o meno ampie.

Giunti al fondovalle segnato dal torrente Bozzone, di nuovo sull’asfalto, prendiamo a destra, in salita, per poi discendere fino alla prima periferia di Siena. Porta Pispini dista poco più di un chilometro.

I Comuni di Terre di Siena