7.8 L’Arbia colorata di rosso
«Nei rialzi sembra che ci sia un parapiglia a mulinello, negli abbassamenti le case precipitano l’una addosso all’altra; come frane. Oppure si possono contare fino a dieci file di tetti, lunghe lunghe, sempre più alte: di fianco altre file che vanno in senso perpendicolare alle prime. La Torre del Mangia esce fuori placida da tutto quell’arruffio. E attorno alla città, gli olivi e i cipressi si fanno posto tra le case; come se, venuti dalla campagna, non volessero più tornare a dietro».
(FederigoTozzi, Con gli occhi chiusi)
Iniziamo a pedalare dalla Barriera di San Lorenzo, in discesa, per poi risalire la collina che sovrasta l’attuale Stazione ferroviaria e la linea ferrata e percorrere la strada che attraversa tutto il quartiere di Scacciapensieri.
Barriera di San Lorenzo
La Barriera di San Lorenzo, a Siena meglio conosciuta come “Le Lupe”, è un varco risultato del taglio della cinta muraria, operato alla metà dell’Ottocento per collegare il centro storico con la prima stazione ferroviaria. Il riferimento a San Lorenzo lo si deve ad una chiesa, non più esistente, che nel Mille accoglieva i pellegrini, mentre “barriera” al cancello posto come punto nel quale un tempo si pagava il dazio per entrare in città, con ai lati due lupe che si possono ammirare sui resti delle mura.
La “strada ferrata centrale”, provvisoriamente realizzata a Mazzafonda, fu inaugurata il 14 ottobre 1849 alla presenza del granduca, della sua famiglia e di tutte le autorità cittadine e si trovava, dunque, più a nord rispetto all’attuale stazione ferroviaria. Copriva la tratta Siena-Poggibonsi, e poi anche la Siena-Empoli, tratta che fu completata solo con la realizzazione della galleria di Montarioso, detta anche del Granduca, e che con i suoi 1.516 metri fu, al tempo, la più lunga d’Italia.
Progettata e realizzata da un famoso architetto dell’epoca, Giuseppe Pianigiani, la stazione venne accolta con tale favore che la domenica successiva, per celebrare l’evento, venne effettuato un Palio straordinario, alla presenza della famiglia granducale. Tutto era stato “predisposto” perché la vittoria andasse alla Tartuca o all’Aquila, Contrade che avevano colori e stemmi graditi agli aristocratici filo-lorenesi che assistevano alla corsa; vinse invece l’Oca, esaltando così i liberali che vedevano nei suoi colori – verde, rosso e bianco – il simbolo dell’unità e dell’indipendenza italiana.
Con la nuova linea Siena-Empoli era possibile andare a Firenze in treno in due ore e mezza tramite la coincidenza a Empoli, risparmiando più di tre ore rispetto a quanto impiegava la diligenza.
Una sosta è d’obbligo alla Basilica dell’Osservanza da cui si può godere dello spettacolo grandioso sulla città che si distende davanti a noi. Siamo sul colle della Capriola, e qui, affiancata al convento, sorge quella che è, forse, la chiesa più importante e densa di storia tra quelle che troviamo fuori dalle mura cittadine.
Basilica dell’Osservanza
Fu San Bernardino, frate minore francescano, predicatore istrionico e provocatore, a volere la costruzione di un convento su questo colle dominato dalla quiete e dal silenzio, secondo lo spirito “osservante”. Il Santo si adoperò affinché l’oratorio, eretto nel Trecento dal patrizio senese Stricoccio Marescotti e poi dedicato a Sant’Onofrio eremita, venisse ceduto agli Osservanti e poi dette avvio alla fondazione del convento, la cui chiesa, dopo la canonizzazione del Santo (1451), fu a lui consacrata. All’interno del convento è stata ricostruita la sua cella, mentre nel museo allestito nelle sale della sacrestia sono conservate alcune sue preziose reliquie, come le vesti e la tavoletta con il nome di Gesù che Bernardino usava durante le prediche pubbliche.
Nel 1474 Pier Paolo d’Ugolino Ugurgieri promosse i lavori alla chiesa sotto la direzione dei frati “architectori” e la collaborazione di due insigni architetti, Francesco di Giorgio Martini e Giacomo Cozzarelli, a cui si devono le aggiunte cinquecentesche.
La Basilica, di impianto semplice e quasi spoglia all’esterno, all’interno è elegante ed armonica, di gusto tipicamente rinascimentale, un vero e proprio scrigno d’arte con opere dei Della Robbia e il gruppo scultoreo in terracotta policroma, la “Tomba di Pandolfo Petrucci”, il grande protagonista della storia senese degli anni a cavallo tra Quattro e Cinquecento, che rappresenta la principale creazione scultorea proprio del Cozzarelli.
Quasi completamente distrutta dai bombardamenti del 1944, appena cinque anni dopo la Basilica venne ricostruita seguendo fedelmente il disegno iniziale e reimpiegando per quanto possibile i materiali originali. Il suo aspetto esterno, come detto, è caratterizzato da forme semplici ed armoniose: la facciata in mattoni è preceduta da un porticato, mentre la parte superiore termina con un timpano che racchiude al centro il sole con il trigramma bernardiniano; il campanile è un rifacimento del tardo Seicento. L’interno risponde ai canoni rinascimentali di ordine, armonia e proporzione, con impianto ad una navata, arricchita da quattro cappelle per lato; il presbiterio, di altezza superiore a quella della navata, è coperto da una cupola.
BOMBE SU SIENA
«Alle 12,38 le bombe vennero sganciate. La visibilità era scarsa, a causa delle nubi, e il bersaglio fu in larga parte mancato. Numerosi ordigni caddero sulla Basilica dell’Osservanza, distruggendola, e in una zona compresa fra Le Scotte, S. Eugenia, i Due Ponti. Le vittime furono 25, i feriti una quarantina». Così scrive lo storico Alessandro Orlandini a proposito del primo bombardamento su Siena del 23 gennaio 1944. Sull’evento, il giornale “La Nazione”, riporta un articolo indignato e sarcastico, ma davvero curioso a leggerlo oggi, in cui si attribuisce la distruzione dell’Osservanza non ad un tragico errore di mira, bensì ad un atto volontario dettato dalla «guerra spietata della chiesa anglicana contro la Chiesa di Roma».
Dopo il bombardamento del 23 gennaio, seguirono quello del 29 gennaio, che colpì la stazione, e quelli dell’8 e 16 febbraio, dell’11 e 22 aprile che provocarono morti e feriti; numerosi gli spezzoni di bombe, parte dei quali per fortuna inesplosi, che caddero in Piazza Duomo, in via Diacceto, nel cortile della Pinacoteca, a Porta Ovile e a Porta Pispini. Nel bombardamento dell’11 aprile, nel tentativo di colpire la linea ferroviaria, furono centrati alcuni edifici a nord della città, tra cui uno appena dentro Porta Camollia.
Come si vede, Siena non fu al riparo dalle bombe, perché, diversamente da ciò che una vulgata cittadina ha a lungo diffuso, gli Alleati, non essendo Siena città smilitarizzata, condizione indispensabile, prevista dalle norme internazionali, affinché un centro urbano potesse essere riconosciuto bilateralmente come aperto non le riconobbero mai lo status di “città ospedaliera”.
Raggiunta la Provinciale Chiantigiana, si prosegue a sinistra pedalando sempre lungo un tracciato che non conosce pianura e che dopo aver superato le località di Ponte a Bozzone e San Giovanni arriva a Pianella. Qui, subito dopo il ponte sul fiume Arbia, dobbiamo seguire le indicazioni per Monteaperti, lungo la SP 62 che prende a salire per circa un chilometro. Stiamo pedalando lungo il territorio di crinale che separa il Chianti dalle Crete, una sorta di “terra di mezzo” pronta a esaltare il dna chiantigiano, fatto dall’alternanza di zone boschive e moderne coltivazioni, di borghi aggrappati alle colline, di rocche e castelli, e quello delle Crete, terra di vuoti infiniti, balze, sparute lingue di verde, isolate abitazioni che sembrano immerse in un nulla che agita l’anima per la sua aspra bellezza.
Superata la località San Piero in Barca e le deviazioni che sulla nostra sinistra portano a Castelnuovo Berardenga, continuiamo a pedalare sempre lungo un tracciato mosso, ma mai particolarmente impegnativo. Giungiamo così alla frazione di di Monteaperti, che ha conosciuto un recente processo di urbanizzazione; il borgo non è comunque da confondere col sito omonimo, più conosciuto e famoso, dove il 4 settembre 1260 si consumò quello «scempio / che fece l’Arbia colorata in rosso», come ricorda il Sommo Poeta nel canto X dell’Inferno. Sì, ci troviamo nel luogo della celebre battaglia tra l’esercito ghibellino di Siena e quello guelfo di Firenze così tanto nominata, esaltata e celebrata a Siena per la vittoria riportata sugli storici nemici fiorentini.
Il sito è ricordato da un cippo commemorativo a forma di piramide che sorge, circondato da cipressi, alto sull’omonimo poggio e lo si può raggiungere seguendo una deviazione in macadam di poche centinaia di metri che si diparte dall’asfalto.
Colle di Montaperti
Sulla sommità del colle si narra che esistesse, all’epoca, l’antico castello dell’XI secolo di proprietà della famiglia Berardenghi presso il quale la tradizione celebra la famosa battaglia (ma ormai gli studi, come abbiamo scritto in altro percorso, ipotizzano un luogo diverso per lo scontro epico che la cui memoria fa parte integrante dell’“eredità mentale” di Siena e ogni volta che in città si evoca la giornata del 4 settembre 1260 non “si riesuma” un cadavere, ma si fa ricorso a qualche cosa che è elemento “vivo” del proprio essere senesi. Tra l’altro la battaglia di Montaperti non fu solo il culmine della rivalità tra le due storiche città nemiche di Siena e Firenze, ma rappresentò una grande pagina di storia d’Italia).
Sempre nella zona della famosa battaglia di Montaperti sono da visitare la Chiesa di Sant’Ansano nella località di Santa Maria a Dofana e la fonte termominerale dell’Acqua Borra.
La chiesa di Sant’Ansano
La chiesa romanica di Sant’Ansano sembra risalire al VII secolo e fin dal 1107 custodiva in un prezioso reliquiario il braccio sinistro di Ansano, patrono di Siena, che la tradizione vuole essere stato martirizzato poco lontano. Probabilmente annesso alla chiesa c’era un convento di gesuiti: molti stemmi presenti all’interno sono riconducibili a questo Ordine, mentre nella piazza prospiciente c’è un pozzo monastico cinquecentesco. Più volte trasformata nei secoli assume l’aspetto attuale nel 1930 dopo l’intervento di Egidio Bellini, cui si deve anche la facciata con al centro il campanile a vela. All’interno si trovano la settecentesca Madonna col Bambino e Santi riferibile al pittore senese Galgano Perpignani e una Madonna col Bambino attribuita a Lorenzo Rustici.
Sul luogo in cui la tradizione indica come il luogo del martirio (siamo nel 304 d.C.) del Santo conosciuto come «il battezzatore dei senesi», è stato innalzato l’Oratorio di Sant’Ansano, a pianta ottagonale, più volte restaurato (gli ultimi restauri sono del 1931 e del 1980).
La fonte termominerale dell’Acqua Borra, già conosciuta dagli Etruschi e dai Romani, fu esaltata in vari trattati di medici e filosofi come acqua dagli effetti prodigiosi; a tal proposito, il senese Leonardo Terucci, nel 1647, scrisse nel suo Trattato dell’Acqua Borra che «pare che quest’Acqua sia data dal Cielo come preziosa medicina, per sanare quasi tutti i mali del corpo».
Il luogo, assolutamente suggestivo, si trova appena discosto dal corso del torrente Malena ed è individuabile grazie a una casa colonica isolata e addossata ad una parete di travertino, a fianco della quale sgorgano le acque termali che alimentano una vasca quadrata. Nel progetto del 2014 del Comune di Castelnuovo Berardenga l’Acqua Borra sarebbe dovuta diventare (diventerà?) il cuore di un parco ludico-termale che prevede un punto di sosta per camper, un’area destinata a giochi per bambini, un ristorante e altre strutture che incentivino il turismo.
Gli ultimi chilometri dell’itinerario toccano in rapida successione i centri di Arbia dove fa bella mostra di sé una colonna segnaletica leopoldina del 1840, detta anche lorenese da Leopoldo II di Lorena, Taverne d’Arbia e Ruffolo.