Paesaggio delle Crete Senesi, comune di Asciano

7.9 La terra senza dolcezza d’alberi

Da Porta pispini verso il cuore delle Crete Senesi

«Soltanto allora cominciavano ad amarsi da vero; e sapevano indovinare i loro pensieri. La sera, sentivano cantare da dentro le osterie; e pareva che tutte quelle casupole di Via dei Pispini, con i muri sottili, tremassero alle voci di briachi; come se anch’esse avessero bevuto con tutti i loro pigionali».

(Federigo Tozzi, Il podere)

La partenza di questo tracciato, dal profilo altimetrico abbastanza impegnativo, è Porta Pispini e da qui prendiamo a pedalare lungo la strada che conduce in località Due Ponti, laddove ci immettiamo sulla ciclabile che inizia proprio all’altezza della grande rotonda posta al termine dell’iniziale tratto in discesa. Percorriamo la ciclopedonale lunga poco più di un chilometro e in zona Fango Nero, dove il tratto protetto termina, proseguiamo (attenzione all’attraversamento) lungo Strada del Ruffolo, Taverne d’Arbia e poi Arbia, dove inizia il territorio delle Crete Senesi.

«La terra senza dolcezza d’alberi, la terra arida che rompe sotto Siena il suo mareggiare morto». E ancora: «Questa terra eccita e alimenta la condizione enigmatica dell’uomo: la rappresenta e la asseconda. Ciascuno di noi ha dentro di sé queste perplessità dense di mistero e qui trovano un luogo». Così scrive il poeta Mario Luzi a proposito delle Crete Senesi, il territorio su cui si svilupperà gran parte di questo tracciato, dal profilo altimetrico ondulato.

Subito dopo Arbia, il paesaggio cambia repentinamente e ci troviamo catapultati in una “terra altra” fatta di calanchi, biancane, mammelloni, le collinette tondeggianti a forma, appunto, di mammelle. E poi colline calve, dilavate, grigie, astrali, rigate dall’acqua, erose dal vento, in estate pieghe di territorio tormentate dal sole. Un oceano di terra lunare, punteggiata da pochi casolari aggrappati sui colli, come a  dominare il territorio.

Pedaliamo lungo la Strada Lauretana in direzione di Asciano, una lingua d’asfalto che taglia un territorio mosso, che dopo un paio di chilometri prende a salire con decisione.

Il percorso in asfalto che da Arbia porta al bivio per San Martino in Grania risulta abbastanza impegnativo con tratti in salita di una certa pendenza. Arrivati in quota, incontriamo un punto panoramico (segnalato) in cui viene spontaneo fermarsi per riprendere fiato, ma, soprattutto, per ammirare il vasto panorama che si apre verso la Val d’Arbia e oltre.

Lasciamo San Martino e la sua leggenda e iniziamo a pedalare verso Monteroni; ci attende un tratto di 10 chilometri di strada bianca di rara bellezza che tendono a scendere a gradoni (attenzione ad alcuni passaggi di un certo impegno) verso la pianura alluvionale dell’Arbia. Una volta arrivati in valle e superata località San Fabiano, siamo alle porte di Monteroni d’Arbia, il paese più importante di tutta la Val d’Arbia.  

Tra i castelli citati, merita una visita quello di San Fabiano che dista solo un paio di chilometri dal centro del paese. Particolare è la torre del castello che faceva parte di un sistema di torri di segnalazione poste lungo la via Francigena, come quella di Radicofani a sud e la stessa Torre del Mangia a Siena. Degna di nota è anche la piccola chiesa, dedicata appunto a San Fabiano, papa dal 236 al 250, dedicazione non rara anche alle nostre latitudini e spesso associata al culto di San Sebastiano di cui nella chiesa è conservata una falange come reliquia. A proposito di San Fabiano, Eusebio narra che i cristiani, riuniti a Roma per eleggere il nuovo vescovo, mentre prendevano in esame nomi di vari e illustri candidati, videro una colomba posarsi sulla testa di Fabiano. I religiosi lessero il fatto come un ripetersi della scena evangelica della discesa dello Spirito Santo sul Salvatore, e così, divinamente ispirati, scelsero all’unanimità Fabiano come successore di Pietro.

La chiesa del castello, edificio a navata unica, oltre alla straordinaria abside semicircolare con basi originali del IX secolo, conserva in parte l’antico parato esterno a mattoni. Da segnalare il campanile a vela e la facciata con elementi decorativi come l’architrave del portale con lo stemma della famiglia dei Forteguerri, proprietaria della tenuta fino all’inizio del Novecento. L’interno sorprende per la sua semplicità, ma anche perché, oltre alla reliquia di San Sebastiano, conserva un dipinto a olio su tavola di notevoli dimensioni, di scuola piemontese, “La Madonna del Rosario”, che si dice dipinto da tale “Bianchetus”, che alcuni studi francesi rimandano a un “Jaquet Blanchet”, pittore del XV secolo originario della diocesi di Torino. Il castello è oggi proprietà dei conti Fiorentini.

La seconda parte di questo itinerario, 20 km circa, prende avvio dal centro di Monteroni lungo la Provinciale di Grotti. La strada, asfaltata, lasciate alle spalle le ultime case del paese, inizia a salire con una certa pendenza per poi discendere verso la breve pianura attraversata dal torrente Sorra che scorre ai piedi del borgo di Radi. Anche questi chilometri si caratterizzano per la magnificenza dei panorami da mozzafiato che verso sud allungano la visuale fino all’austero profilo del Monte Amiata. Pedaliamo in sicurezza per la scarsità di traffico motorizzato, caratteristica che ha positivamente segnato quasi tutto questo itinerario. Per raggiungere il borgo di Radi, bisogna “scalare” la collina da dove si spazia sulla pianura sottostante; Radi è dominato dalla possente mole di un castello, oggi trasformato in villa, di cui rimane una bella torre scarpata, e dalla chiesa di San Pietro, di struttura romanica.

A Radi prendiamo la direzione per Siena lungo una strada bianca che prosegue per circa 7 km in un continuo alternarsi di dolci salite (bellissime vedute sulla Città del Palio) e altrettante dolci discese; l’ultimo tratto sterrato prima dei chilometri finali lungo la Cassia (fare attenzione al traffico) risulta abbastanza impegnativo.

Nel cuore delle Crete

Paesaggio delle Crete Senesi, comune di Asciano

ⒸAntonio Cinotti

Chi volesse pedalare fin “nel cuore” delle Crete e vivere un’esperienza di forte impatto emotivo, oltreché fisico (il tracciato che qui proponiamo, in gran parte su creta, è percorribile con mountain bike e solo in periodi asciutti) deve seguire l’indicazione per Leonina e l’omonimo castello, complesso fortificato risalente ad epoca medievale, oggi conosciuto relais. Laddove la strada bianca termina per dare luogo ad un sentiero su creta, siamo al Site Transitoire, luogo magico capace di coniugare perfettamente arte e natura, costituito da una duplice scultura (una seduta e un’ampia finestra in pietra) realizzata nel 1993 dall’artista francese Jean Paul Philippe. Lasciato questo luogo, riprendiamo a pedalare sempre su di un tracciato in creta che procede a strappi, fino a raggiungere Mucigliani, una frazione lontana da tutto, aggrappata in cima ad una collina da cui si apre una veduta unica sulle Crete, sui primi contrafforti del Chianti e più lontano su Siena.

San Martino in Grania

La pieve di San Martino in Grania è già attestata in età longobarda conosciuta anche come “Ligrania”. Nell’801, nelle Masse di Siena, infatti, il figlio di Carlo Magno, Pipino, fonda il monastero femminile dei SS. Abundio e Abundanzio e in un atto scrive che «la Pieve di Grania sarebbe stata aiutata e sostenuta in cambio di cibo e alloggi per le 12 suore dell’Ordine Benedettino» (del monastero sotto la sua protezione e tali informazioni ci vengono confermate anche da suor Giuditta Luti che, alla fine del XVI secolo, redige le cronache del monastero stesso). 

Nel corso dei secoli la pieve acquista sempre più importanza, si ingrandisce e arricchisce tanto che, nel 1287, Siena nomina un podestà, Leoncino Squarcialupi, per amministrarla. Andando avanti nel tempo, segnaliamo che nel 1777, con decreto granducale, il comunello di Grania e quello di San Martino (da qui il nome della pieve) vengono uniti alla comunità di Asciano. Oggi la pieve è in stato di decadenza, ma si riconoscono l’attacco del tetto a navata, i resti delle colonne, sormontate da pregiati capitelli di squisita fattura, che altro non erano che i portali d’ingresso delle pareti laterali: quello a sinistra entrando portava alla Canonica, mentre quello a destra era un secondo ingresso.

ⒸAntonio Cinotti

San Martino in Grania è un luogo ricco di storia e di fascino al quale è legata anche una leggenda. Un contadino molto povero lungo la strada sotto la pieve incontrò un giorno un viandante che, vedendo il bisogno del pover’uomo, gli regalò cento monete d’oro che il contadino nascose sotto il letame; la moglie, il giorno dopo, vendette tutto. L’uomo, disperato, si rimise in cammino e incontrò di nuovo il viandante che gli regalò ancora cento monete d’oro che il contadino nascose nella cenere del camino che la moglie il giorno dopo vendette. Il contadino, sempre più disperato, ritrovò l’uomo che gli regalò del pesce. Il contadino, allora, lo scambiò con un agnello e prima di andare a dormire lo attaccò fuori della porta per farlo sgocciolare. Quella notte si scatenò una tempesta incredibile e al mattino il contadino vide arrivare a casa moltissimi cacciatori con altrettanti doni. Nella tempesta l’agnello si era illuminato ed aveva indicato loro la strada per la salvezza.

Monteroni d’Arbia

Lo sviluppo economico di Monteroni è legato in gran parte all’espansione dell’Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena che vi acquisì numerosi terreni già agli inizi del 1200. Nel 1322, la costruzione di un grandioso mulino, operata proprio dall’ente senese di fronte alla già esistente chiesa di San Donato, diede il via all’accrescimento del borgo di Monteroni (taluni hanno ipotizzato che il mulino di Monteroni sia quello raffigurato da Ambrogio Lorenzetti nell’affresco del “Buon Governo” in Palazzo Pubblico). Nel XIV secolo tutto l’abitato si stringeva intorno al mulino e alle due chiese di San Donato e San Giusto, poste proprio lungo la strada Francigena. E se il borgo era quasi completamente di proprietà del Santa Maria della Scala (mulino, palazzo adibito a magazzino del grano, due osterie, diversi fabbricati), i terreni circostanti rimasero a lungo di proprietà delle grandi famiglie magnatizie di Siena quali  i Tolomei, i Piccolomini, i Mignanelli.

La Grancia di Cuna svolse un ruolo fondamentale per questo territorio, non solo perché lo amministrava per conto dell’Ospedale di Siena, ma anche perché promosse molti miglioramenti tecnici dal punto di vista agricolo, come le bonifiche dei terreni vicini al fiume Arbia, ed edile, con la fortificazione di strutture difensive, la costruzione di ponti e la regimazione delle acque. Tuttavia l’area di Monteroni è stata soggetta nei secoli a vari, tragici eventi che ne impedirono l’incremento demografico e che causarono danni enormi alle strutture e alla popolazione. Tra questi ci sono le diverse ondate pestilenziali, a partire dalla tristemente famosa “Peste Nera” del 1348 che fu la più devastante. Poi il territorio subì a metà del XIV secolo ripetute  incursioni delle Compagnie di Ventura e durante la “Guerra di Siena” (1553-1555) pesanti danneggiamenti da parte delle truppe imperiali come quelli che colpirono il mulino, le chiese di Monteroni, Lucignano e Ponte d’Arbia, e i castelli più importanti e strategici come San Fabiano, Sant’Ansano Gherardi, Radi e Ville di Corsano.

Radi

Sorto in epoca alto-medievale, Radi era noto come Radi di Creta, per distinguerlo dal non lontano Radi di Montagna, vicino a Sovicille. Attestato fin dal
1080, nel XIII secolo è sede di un castello e di un comune di una certa importanza, residenza di un podestà e di un notaio civile. Nel 1271 diviene della famiglia Placidi, ma nel 1365 il castello venne assediato ed espugnato dalle truppe mercenarie di John Hawkwood, Giovanni Acuto, che provocarono così tante distruzioni nel territorio di Siena tanto che la stessa Santa Caterina indirizzò una lettera al condottiero per convincerlo a lasciar vivere in pace gli abitanti della zona. L’Acuto fu sordo anche alle parole della Santa e continuò nel suo operato, come d’altra parte erano solite fare le milizie mercenarie. Il castello di Radi fu ricostruito, ma dovette subire le distruzioni dell’esercito fiorentino che, come narra Sigismondo Tizio nelle sue “Cronache” lo incendiarono e lo ridussero ad un cumulo di macerie. Nel 1666 Radi viene acquistato dal marchese Metello Bichi i cui eredi sono ancora oggi i proprietari.

I Comuni di Terre di Siena