8.4 San Bernardino e la mistica francescana

Serafica stirpe
San Francesco e san Bernardino, così come san Domenico e santa Caterina da Siena, sono i personaggi più eminenti di una vera e propria rivoluzione spirituale che attraversò il mondo medievale, segnandolo profondamente. Sorti tra il XII e il XIII secolo, gli Ordini mendicanti rappresentano una risposta alla crisi spirituale che affliggeva la cristianità: la vita religiosa, prima caratterizzata dal lavoro dentro e intorno al monastero, si riversa per le strade delle città; in netta contrapposizione con la ricchezza del clero secolare e dei monaci, i frati fanno voto di povertà, traendo sostentamento unicamente dalla raccolta delle elemosine. L’intento che li anima è realizzare l’ideale evangelico dell’imitazione di Cristo attraverso una vita fatta di penitenza, opere di carità e predicazione del Vangelo. Essi fondano le proprie chiese appena al di fuori delle mura delle città, in quelli che erano spesso i quartieri più indigenti, con lo scopo di avvicinare alla fede cristiana anche le fasce più povere della popolazione; la stessa struttura architettonica di questi edifici, di solito costituiti da un’unica grande aula, è pensata per accogliere il maggior numero di fedeli, così come l’assenza di elementi decorativi risponde all’ideale di povertà di cui i frati sono portavoce.
Il grande carisma di san Francesco, il fascino della sua scelta di nullatenenza dalla quale discendeva una letizia superiore a qualsiasi ricchezza, gli assicurò da subito un seguito eccezionale. Tuttavia, differenti posizioni in merito alla Regola francescana, particolarmente riguardo all’idea di povertà, erano già sorte durante la vita del santo. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1226, tali differenze dettero immediatamente impulso allo svilupparsi di un ramo cosiddetto “conventuale”, custode delle memorie francescane conservate nei conventi e nelle grandi basiliche, e un ramo detto “spirituale”, più radicale nell’interpretazione del principio della povertà.

Circa due secoli dopo, nel corso del Quattrocento, san Bernardino dette grande impulso al movimento detto “dell’Osservanza” come risposta alla decadenza che l’Ordine francescano stava conoscendo in quel periodo. Fu un moto di restaurazione e riforma con lo scopo di riportare tutti i religiosi alla primitiva e più rigorosa osservanza della Regola, un ritorno all’ideale primigenio di san Francesco: «Regulam simpliciter in primaeva puritate observare» (osservare la regola semplicemente nella sua purezza originaria). Nato nel 1380 a Massa Marittima dalla nobile famiglia senese degli Albizzeschi, a sei anni rimase orfano e fu educato a Siena dalla zia e dalla cugina, terziaria francescana. Studiò presso i migliori insegnanti, dedicandosi soprattutto alla filosofia e al diritto.

Seguendo il desiderio di vita religiosa, nel 1402 vestì l’abito francescano nella chiesa di San Francesco a Siena e nel 1404 vi celebrò la prima Messa. A quaranta anni iniziò la fase più intensa della sua attività di predicatore, che lo rese famoso e lo portò in visita anche in molte città del Nord Italia. I suoi sermoni erano molto apprezzati, perché chiari e facilmente comprensibili a tutti. Nel 1427 predicò per quarantacinque giorni consecutivi nella Piazza del Campo a Siena, ascoltato da una gran folla di concittadini, che lo aveva per ben tre volte acclamato come proprio Vescovo. Egli rifiutò tuttavia gli incarichi di prestigio che gli furono offerti (i vescovati di Siena e Urbino e il vicariato generale degli Osservanti) per continuare a muoversi in mezzo ai poveri e a diffondere l’insegnamento della Chiesa cattolica con la predicazione.

Consapevole di non poter imporre ai fedeli l’ideale austero dell’Osservanza francescana che animava i suoi passi, egli proponeva loro il rispetto degli ideali di equilibrio, ordine e armonia, gli stessi valori tradotti in pittura circa un secolo prima da Ambrogio Lorenzetti nei mirabili affreschi del Palazzo Comunale di Siena, raffiguranti l’Allegoria e gli Effetti del Buono e del Cattivo Governo.

Durante uno dei suoi sermoni, facendo esplicito riferimento a quel capolavoro, Bernardino confessò di averne tratto ispirazione per predicare l’idea della pace come base del benessere sociale. Il santo ebbe un ruolo determinante nel rinnovamento stesso della predicazione attraverso l’introduzione della tecnica dell’exemplum, ossia di «essempli grossi e palpabili» ispirati alla storia passata, ma soprattutto alla vita quotidiana, agli episodi di cronaca e ai costumi diffusi tra i suoi contemporanei. Attraverso questi esempi egli riuscì a coniugare la solidità dottrinale dei suoi sermones alla limpidezza ed efficacia della forma, traducendo con un linguaggio personalissimo le grandi verità di Fede. Ad ogni predica esponeva alla vista di tutti una tavoletta con il monogramma del nome di Gesù (JHS Jesus Hominum Salvator, Gesù Salvatore degli uomini) all’interno di un sole raggiato, esortazione all’amore per Cristo che divenne poi il suo simbolo iconografico.

Fondamentale fu il suo ruolo anche nel campo del pensiero economico; nel Trattato sui Contratti e sull’Usura, egli affrontò il tema della proprietà privata, del commercio, dei problemi sociali legati al prestito, all’interesse e, appunto, all’usura che condannava in maniera apertissima. Creò così le condizioni per la nascita dei Monti di Pietà, istituti finanziari a fini solidaristici e senza scopo di lucro, fra cui quello senese che sarà istituito nel 1472.

Nel maggio del 1444 Bernardino morì nel convento di San Francesco a L’Aquila dove si trovava per predicare, e appena sei anni dopo, nel 1450, fu proclamato santo da papa Niccolò V.

Convento e basilica dell’Osservanza

Il percorso che si snoda attraverso i luoghi legati alla figura di san Bernardino non può che prendere le mosse dal convento e dalla basilica dell’Osservanza, la più importante chiesa posta al di fuori delle mura cittadine. Allontanandosi dal centro storico di Siena in direzione nordest, attraverso una strada fiancheggiata da platani secolari, si giunge al cosiddetto Colle della Capriola, un luogo dominato dalla quiete e dal silenzio, dove Bernardino dimorò per diversi anni promuovendo la trasformazione del primitivo eremo in convento, anche a seguito del grande numero di conversioni seguite alla sua vigorosa azione evangelica. Nel 1474, trenta anni dopo la morte di san Bernardino, iniziarono i lavori di costruzione della chiesa, con la collaborazione di due insigni architetti: Francesco di Giorgio Martini (che poi trascorrerà alla Capriola gli ultimi anni della sua vita e che qui verrà sepolto, nella cripta) e Giacomo Cozzarelli, a cui si devono le aggiunte cinquecentesche. Nei secoli l’edificio fu oggetto di vari ampliamenti e trasformazioni, fino a che nel 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale, venne quasi totalmente distrutto dai bombardamenti; appena cinque anni dopo, la basilica fu ricostruita seguendo fedelmente il disegno iniziale e reimpiegando il più possibile i materiali originali.

L’aspetto esterno è caratterizzato da forme semplici e armoniose: la facciata in mattoni è preceduta da un porticato coperto da una tettoia spiovente, mentre la parte superiore termina con un timpano che racchiude al centro il sole con il trigrammma bernardiniano; il campanile è un rifacimento tardo-seicentesco.

L’interno colpisce per la misurata eleganza, rispondendo ai canoni rinascimentali di ordine, armonia, e proporzione. L’impianto presenta una navata unica, arricchita da quattro cappelle per lato; il presbiterio, di altezza superiore a quella della navata, è coperto da una cupola.

In questa sobria cornice, ispirata al rispetto della spiritualità francescana, si inseriscono magnifiche opere d’arte di scuola senese e fiorentina, tutte realizzate in un periodo compreso tra il XIV e il XVI secolo. Il filo conduttore che lega molte di esse è la devozione a san Bernardino e ai santi francescani.

Nella terza cappella a destra è conservata una tavola di Pietro di Giovanni d’Ambrogio raffigurante il grande santo senese, opera che assume una rilevanza del tutto particolare in quanto eseguita nel 1444, anno della sua morte. L’immagine, una delle primissime rappresentazioni in pittura di Bernardino, può essere infatti considerata il suo vero e proprio ‘ritratto’ eseguito dal pittore sulla base di una personale conoscenza e memoria, divenendo in tal modo l’archetipo per tutte le raffigurazioni successive.

La figura emaciata, vestita di un umile saio stretto in vita, il volto scarno per il digiuno e la bocca priva di denti, saranno i tratti distintivi della sua iconografia, oltre naturalmente al Nome di Gesù entro il sole raggiato. Nell’epoca in cui l’Umanesimo metteva l’uomo al centro del mondo, Bernardino ribadiva il primato assoluto di Cristo, la subordinazione di tutte le cose a Lui e in vista di Lui. Emblematica a questo proposito è l’iscrizione riportata sul libro che egli tiene in mano, tratta dalla lettera di san Paolo ai Colossesi: «Rivolgete la mente alle cose che sono in alto, non a quelle che stanno sulla terra» (Que sursum sunt sapite, non que super terram).

La fama di santità che si diffuse mentre Bernardino era ancora in vita e la straordinaria venerazione di cui egli era oggetto spiegano infine nel dipinto la presenza dell’aureola, attributo distintivo dei santi, ancor prima della canonizzazione, avvenuta nel 1450. Nella stessa cappella si trova una tavola del XV secolo attribuita a Girolamo di Benvenuto raffigurante santa Elisabetta di Ungheria, patrona dell’Ordine francescano vissuta nel XIII secolo. Figlia del re Andrea II d’Ungheria, si sposò giovanissima e fu una moglie devota; rimasta vedova all’età di vent’anni e con tre figli, entrò nel Terz’Ordine francescano, praticando opere di misericordia e offrendo tutta la sua vita ai poveri e agli ammalati. Nella tavola è raffigurata con l’abito da terziaria francescana e un fascio di rose in grembo, allusione al miracolo del pane: mentre un giorno ella andava per strada con il suo grembiule pieno di pani per i poveri, incontrò il marito che le chiese cosa stesse portando, Elisabetta aprì il grembiule e comparvero magnifiche rose. Ai piedi della santa è inginocchiata una devota in abiti da pellegrina, mentre poco distante è deposta una corona, simbolo del suo sangue regale.

Il fondatore dell’Ordine, san Francesco d’Assisi, è raffigurato nella cappella adiacente, la seconda da destra, tra i personaggi che compongono il gruppo scultoreo in terracotta policroma del Compianto su Cristo morto, opera del XVI secolo attribuita a Giovanni di Paolo Neri.

Due importanti santi francescani sono poi presentati nei magnifici tondi quattrocenteschi in terracotta invetriata realizzati da Andrea della Robbia, appesi ai lati del portale di ingresso: si tratta di san Bonaventura da Bagnoregio e san Ludovico di Tolosa. Il primo, raffigurato in atteggiamento benedicente e con un libro in mano, fu generale dell’Ordine francescano e grandissimo teologo, autore della cosiddetta Legenda Major, la biografia ufficiale di san Francesco da lui scritta per dare un’interpretazione autentica della vita del santo. Ludovico, figlio del re di Napoli Carlo d’Angiò, da ragazzo fu condotto prigioniero presso il re d’Aragona, dove ebbe modo di conoscere i francescani; una volta riacquistata la libertà, egli decise di vivere la propria vita secondo le regole della povertà francescana, dedicandosi ai bisognosi e agli emarginati; rinunciò così al trono per essere ordinato sacerdote e, di lì a poco, vescovo di Tolosa, come indica il pastorale con cui egli è raffigurato. I due tondi sono gli unici superstiti del ciclo di santi che si trovava in origine nelle calotte di copertura la navata, andato distrutto durante il bombardamento del 1944 e sostituito da riproduzioni realizzate dagli scultori senesi Giulio Corsini e Bruno Buracchini.

Nell’attiguo convento, oltre alla ricostruzione della cella di san Bernardino, sono custodite importanti reliquie del santo tra cui le principali sono senza dubbio gli abiti a lui appartenuti: la tonaca di lana leggera usata durante i viaggi; l’abito di lana spessa color grigio; il mantello a forma di ampio piviale; i calzettoni lunghi di panno. Il prezioso reliquiario che li contiene venne realizzato tra il 1454 e il 1462 su commissione del concistoro senese, mentre sono frutto di due interventi successivi (1682 e 1725) l’angelo che regge il pastorale e l’angelo con le due mitrie, simbolo dei due vescovati di Ferrara e di Urbino offerti a Bernardino e da lui rifiutati. Alla sommità dell’urna è posto il reliquiario delle polveri dei precordi, realizzato in forma di ciborio e sovrastato da un’altra piccola teca che custodisce il dente, culminante con il simbolo dei francescani: il braccio di Cristo incrociato con il braccio di san Francesco, entrambi con le mani mostranti le stimmate, e la croce sullo sfondo.

Oratorio di San Bernardino

Altro luogo bernardiniano, questa volta all’interno delle mura cittadine, è l’Oratorio della Compagnia di san Bernardino, oggi sede del Museo diocesano d’arte sacra. Affacciato su piazza San Francesco, accanto all’omonima basilica, questo edificio in mattoni con profilo a capanna era nato per ospitare la duecentesca Confraternita di Santa Maria e San Francesco, una delle numerosissime associazioni di fedeli laici sorte nel medioevo per scopi benefici e caritativi. L’impatto di san Bernardino, che sovente predicava nella piazza antistante, fu tale da far sì che la sua figura diventasse il nuovo punto di riferimento della confraternita e l’edificio gli fosse intitolato nel XV secolo, in seguito alla canonizzazione. A rendere evidente già dall’esterno il legame con il santo è il grande disco raggiato con all’interno il monogramma di Gesù Cristo che campeggia nella parte superiore della facciata e che costituisce il principale attributo iconografico bernardiniano.

Appena varcata la soglia d’ingresso, si accede al cosiddetto Oratorio inferiore, un ambiente che ruota interamente attorno alla figura del santo: il soffitto presenta infatti lungo tutto il perimetro lunette affrescate nella prima metà del Seicento da vari artisti senesi tra i quali Rutilio e Domenico Manetti, Ventura Salimbeni e Bernardino Mei. Le scene riproducono episodi salienti della sua vita, come ad esempio la Cura degli appestati nello Spedale di Santa Maria della Scala, l’antica istituzione senese in cui venivano ospitati i pellegrini di passaggio lungo la Via Francigena, accolti i bambini abbandonati e curati i malati. Nel 1400, prima di vestire l’abito francescano, Bernardino era entrato infatti nella Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria, impegnati nelle opere di pietà e nell’assistenza ai più deboli. In quell’anno una grave epidemia di peste colpì la città e Bernardino si prodigò nella cura dei malati e nel conforto delle anime dei moribondi, per i quali compose una preghiera da recitare in onore della Vergine Maria.

La sala conserva anche un oggetto particolarmente prezioso perché direttamente appartenuto al santo: una delle celebri tavolette con il nome di Gesù che egli era solito mostrare durante le sue prediche ai fedeli.

All’Oratorio inferiore corrisponde, al primo piano, quello superiore, un ambiente di eccezionale magnificenza dedicato a Santa Maria degli Angeli. Qui grandi pittori e abili artigiani del legno dettero vita ad un complesso omogeneo che si dispiega lungo le pareti, in cui eleganti lesene a candelabra e un fregio in legno e cartapesta incorniciano ampie scene raffiguranti episodi della vita della Vergine. Gli affreschi, realizzati nel primo quarto del Cinquecento da Beccafumi, Sodoma e Girolamo del Pacchia, prendono le mosse dalla nascita di Maria per terminare con la sua Assunzione e Incoronazione in Cielo.

Nelle sale adiacenti a questo ambiente trova posto la vera e propria raccolta di dipinti e sculture del Museo, qui collocata dalla Chiesa senese nel 1999. Attraverso questa collezione, che comprende capolavori celeberrimi come la Madonna del Latte di Ambrogio Lorenzetti, è possibile ripercorrere lo sviluppo dell’arte e della fede senese dal medioevo fino all’Ottocento.

Basilica di San Francesco

A pochi passi dall’Oratorio si trova l’imponente basilica di San Francesco, sorta nel luogo dove si trovava una precedente e più piccola chiesa francescana.

Nel 1212 san Francesco fece il suo primo ingresso a Siena, in un momento in cui la città era scossa da furiose lotte interne e per questo fortemente bisognosa dell’aiuto del santo che, attraverso le sue prediche riportò la pace, con grande gioia del vescovo. Quando, nel 1228, Francesco venne proclamato santo, il Comune di Siena espresse la volontà di erigere una chiesa in suo onore, che poté dirsi terminata nel 1255 e che dovette prevedere un edificio di dimensioni piuttosto ridotte, probabilmente con una pianta di forma rettangolare, richiamo alla semplicità del francescanesimo delle origini. Nel frattempo, alla morte del santo, una comunità di Frati minori si era insediata in città e nel corso dei decenni successivi ebbe un seguito di fedeli così numeroso che ad un certo punto la chiesta sembrò troppo piccola per accoglierli tutti e nel 1326 si iniziarono i lavori per crearne una nuova e più grande.

Dopo poco più di vent’anni dall’apertura del cantiere, l’arrivo della terribile peste nera del 1348 colpì così profondamente la città da costringere all’interruzione dei lavori; a quell’epoca probabilmente erano già state completate l’abside e le cappelle della crociera, che, come in ogni chiesa, erano i primi elementi ad essere realizzati, insieme all’altare. Nel 1407 il cantiere fu nuovamente attivo, soprattutto per i lavori di restauro necessari dopo il lungo tempo di noncuranza; è facile pensare che questo nuovo fervore costruttivo sia stato suscitato dalla presenza di san Bernardino, che lì viveva e sicuramente sognava di vedere conclusa la grande chiesa dedicata a san Francesco, dove aveva celebrato la sua prima messa nel 1404.

Nel 1475 l’edificio era terminato, anche se pochi anni dopo, nel 1482, il grande architetto, pittore e scultore senese Francesco di Giorgio Martini fu incaricato di sopraelevare le pareti laterali per dare una maggiore proporzionalità al complesso; in quell’occasione l’artista realizzò anche lo splendido portale centrale, che attualmente si trova all’interno della chiesa, a sinistra dell’ingresso.

L’edificio attuale, seppure molto modificato nel corso dei secoli, presenta ancora l’impianto tradizionale delle tipiche chiese degli Ordini mendicanti: un’enorme e semplice aula unica, priva di colonne che, ponendosi tra il predicatore e i fedeli, avrebbero potuto distrarre questi ultimi dall’ascolto. La pianta è a croce egizia, più semplicemente chiamata croce a T, caratterizzata da un transetto suddiviso in cappelle che taglia la chiesa all’altezza dell’abside. Questa particolare forma richiama il Tau scelto da san Francesco come simbolo della croce di Gesù e divenuto in seguito segno identificativo dell’Ordine. Varcare la soglia di ingresso della basilica significa pertanto trovarsi ai piedi della croce ed entrare a far parte del corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa. Completamente costruito in mattoni, l’edificio è inoltre la traduzione architettonica del messaggio degli Ordini mendicanti: non stupire con lo sfarzo, ma muovere gli animi con la parola e l’esempio.

Lungo le pareti della navata, una serie di strutture metalliche rievoca gli altari barocchi che, realizzati dopo un terribile incendio che colpì la chiesa nel 1655, ospitavano i dipinti commissionati dalle più importanti famiglie senesi. Alla fine dell’Ottocento, l’architetto senese Giuseppe Partini restaurò la basilica riportandola integralmente all’aspetto gotico e distrusse gli altari. Le opere pittoriche del XVII e XVIII secolo, non più rispondenti al gusto del tempo, erano state trasferite nella Galleria di Belle arti e, in seguito, nei depositi della Soprintendenza, dove rimasero fino al 1996, anno in cui alcune di esse vennero ricollocate nella chiesa. Le tele in questione furono realizzate all’epoca della Riforma cattolica, momento in cui la Chiesa propose, con maggiore forza rispetto al passato, la presenza delle immagini dei santi nei luoghi di culto, per contrastare le critiche mosse dalla Riforma protestante alla loro venerazione. Tra i numerosi raffigurati vi sono naturalmente san Bernardino e san Francesco, ma anche san Girolamo, san Pietro martire e santi locali, come san Galgano. Veri e propri capolavori conservati nella basilica sono i dipinti murali realizzati dai fratelli Pietro e Ambrogio Lorenzetti intorno agli anni Trenta del Trecento. Si tratta di frammenti che fanno parte di un ciclo di affreschi concepito per la sala capitolare e per il chiostro dell’attiguo convento, staccati dal luogo d’origine e spostati all’interno della chiesa nel 1857, nelle cappelle del transetto. Rappresentano una Crocifissione, realizzata da Pietro, e due scene aventi come soggetto San Ludovico di Tolosa che si congeda da Bonifacio VIII e l’episodio del Martirio dei frati francescani, opere del fratello Ambrogio.

L’importanza della basilica di San Francesco è legata anche al Miracolo Eucaristico delle Sacre Particole, collocate in una cappella del transetto, che si conservano incorrotte da quasi tre secoli. Nel 1730, il giorno prima della festa dell’Assunta, le ostie consacrate, poste dai frati in una pissi- de, vennero rubate dalla chiesa. Ritrovate alcuni giorni dopo, non potendo essere più utilizzate, si decise di lasciar fare il corso alla natura e aspet- tare che si deteriorassero da sole. Da allora sono miracolosamente inalterate. Negli anni sono stati eseguiti esami scientifici, l’ultimo dei qua- li nel 2014, e tutti hanno confermato che esse sono integre, inspiegabilmente prive di crescita microbica. Nel 1980 il beato Giovanni Paolo II, in visita a Siena, contemplò le ostie e davanti ad esse disse: «È la presenza», affermando così che in quei piccoli dischi di pane non lievitato si manifesta il miracolo eucaristico della presenza del corpo di Cristo.

Chiesa di San Francesco all’Alberino

Quello che fu il primo nucleo dell’insediamento francescano in città si trova fuori dalla cinta muraria, nel quartiere di Ravacciano. La tradizione narra che nel 1212, al termine della sua prima permanenza a Siena, san Francesco si mise in viaggio ma, avvicinandosi l’oscurità, preferì sostare all’eremo che si trovava in quella zona. Prima di entrare, egli piantò per terra il suo bastone e questo durante la notte germogliò: la mattina seguente era diventato un leccio. La notizia del miracolo si sparse subito e il sacro albero divenne oggetto di grande devozione, tanto che nelle sue vicinanze fu innalzata una cappella detta ancora oggi dell’Alberino. Trascorsero i secoli e, nonostante la pianta fosse protetta da recinzione, essa veniva continuamente depredata dai fedeli che ne tagliavano rami e foglie per tenerli in casa come reliquie. Ridotta ormai ad un moncone, all’inizio del Seicento il Padre provinciale dell’Ordine francescano la fece tagliare e collocare sotto l’altare maggiore della chiesa di San Francesco. Pochi anni dopo, il principe Leopoldo de’ Medici, allora governatore di Siena, ordinò allo scultore Domenico Arrighetti di ricavare dal tronco una statua raffigurante il santo assisiate e, nel 1639, questa venne portata con una solenne processione alla chiesa dell’Alberino, dove si trova ancora oggi. All’edificio si accede tramite una lunga scalinata che porta al piccolo sagrato. In facciata si notano i rifacimenti ottocenteschi: il paramento è in laterizio, mentre lesene, portale e timpano sono in travertino. L’interno è costituito da una semplice aula rettangolare scandita dalla presenza di pilastri che sorreggono arconi a sesto ribassato e volte a vela.

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