8.8 I tesori nascosti delle Confraternite laicali
Fratelli nella fede
Se è vero che risulta molto difficile risalire alle esatte origini delle Confraternite o Compagnie laicali, di sicuro è corretto affermare che la loro storia è legata in maniera intrinseca a quella della Chiesa stessa. Il riunirsi in associazioni fu un’esigenza che i cristiani avvertirono fin dagli inizi, per tradurre in opere concrete l’amore e la fratellanza predicati da Cristo.
Le Confraternite come le conosciamo oggi nacquero nel XII secolo e furono associazioni di fedeli laici che, diversamente da quanto avveniva per le congregazioni religiose, non pronunciavano voti né vivevano in comunità. La stabilità della Confraternita era garantita da un decreto emesso dall’autorità ecclesiastica e dall’adozione di uno statuto che ne stabiliva gli scopi e regolava i rapporti sociali interni. L’intento dei confratelli era la missionarietà, vale a dire l’incremento del culto pubblico, e l’esercizio della carità attraverso opere quali l’assistenza agli ammalati e ai carcerati, l’accoglienza dei pellegrini, il seppellimento dei morti, la costruzione di ospedali. Tutto ciò era reso possibile grazie alle quote dei membri stessi, alle offerte di privati, ai lasciti e alle rendite degli immobili di proprietà.
Durante i secoli la presenza delle Confraternite abbracciò gran parte del territorio europeo e con la sua diffusione capillare in tutti gli strati sociali fu determinante per salvare la Chiesa negli anni della divulgazione delle eresie. Molte di esse contribuirono inoltre allo sviluppo sociale, artistico ed economico delle città in cui erano operanti attraverso l’erezione di ospedali, ospizi per i poveri e pellegrini, orfanotrofi e conservatori per ragazze, chiese, oratori e monumenti. Notevolissimo fu l’apporto che esse seppero dare allo sviluppo delle arti, commissionando musica, sculture, dipinti e oggetti di culto per le loro sedi.
Nonostante le soppressioni avvenute in epoca napoleonica, molte Confraternite si sono ricostituite e continuano ancora oggi a far parte della struttura ecclesiale con il compito di insegnare la dottrina cristiana e di incrementare il culto pubblico, partecipando alla vita attiva della Chiesa e dando un’autentica testimonianza di fede e carità.
Confraternita di Santa Caterina della Notte
Intitolata inizialmente a san Michele arcangelo, la Confraternita aveva sede all’interno dello Spedale di Santa Maria della Scala, uno dei più antichi enti ospedalieri d’Europa, così chiamato per via della sua ubicazione davanti alla scalinata della cattedrale senese. Fondato nel IX secolo dai canonici del Duomo come espressione dell’amore di Dio verso i bisognosi, questa pia istituzione fu anzitutto un ospizio per i tanti pellegrini di passaggio lungo la Via Francigena, oltre che un luogo di accoglienza per i poveri in cerca di elemosine e per i fanciulli abbandonati. Nel corso del tempo, accanto a tali finalità, si aggiunsero l’assistenza e la cura dei malati.
L’antica Compagnia di san Michele arcangelo era dedita principalmente alla cura degli infermi e alla pietà per i defunti e, non a caso, aveva sede nei locali dello Spedale vicini al cosiddetto carnaio, un cimitero a voragine ancora oggi visibile in cui venivano sepolti i cadaveri; lo stesso san Michele arcangelo è il santo ‘psicopompo’, ovvero colui che accompagna nell’aldilà le anime dei morti. A poco a poco parte di quegli ambienti venne trasformata in un oratorio vero e proprio, dove i confratelli sostavano in preghiera e si riunivano per sostenere le motivazioni del loro servizio. Anche santa Caterina da Siena, naturalmente richiamata da un luogo come il Santa Maria della Scala, dove la fede si esprimeva nell’amore verso il prossimo, vi si recava quotidianamente per portare assistenza e conforto ai bisognosi. Nelle lunghe notti trascorse al capezzale degli ammalati, è proprio nell’oratorio della Compagnia che ella si fermava a pregare e a cercare un po’ di riposo, ritirandosi nella celletta tuttora presente nel lato sinistro dell’aula. Sebbene Caterina non fosse mai entrata a far parte della Confraternita, i cui membri erano esclusivamente uomini, in suo onore e a testimonianza del legame con i confratelli e con il luogo ad essi caro, il nome della Compagnia venne mutato in Santa Caterina della Notte, come attestano i documenti a partire dal 1479.
L’oratorio è un ambiente suggestivo e il suo aspetto rispecchia le caratteristiche tipiche di un oratorio confraternale: una sala a navata unica con tutte le pareti – tranne quella di fondo riservata all’altare – occupate nella parte inferiore da stalli lignei in cui sedevano i confratelli durante le adunanze; quelli addossati alla parete di ingresso erano generalmente riservati ai membri che governavano la Compagnia. Lo spazio è diviso in tre campate e presenta un soffitto a volte caratterizzato da una decorazione a stucco di fine Seicento, che si fa sempre più ricca in prossimità dell’altare. Essa incornicia una serie eterogenea di dipinti di autori per lo più ignoti, in parte tavole e in parte tele, in alcuni casi frammenti di opere perdute, databili tra il XVI e il XVIII secolo; hanno per soggetto episodi della vita di Cristo, della Vergine e di santa Caterina. La parete di fondo è occupata dall’altare maggiore, dove, sotto un baldacchino retto da quattro angeli, tra le sculture di san Domenico e santa Caterina, poggia una piccola Madonna col Bambino in marmo, opera di provenienza nordica risalente alla fine del Trecento, che rappresenta forse la più antica immagine cultuale della Compagnia. Nel locale adiacente alla sacrestia si conserva infine un bellissimo trittico a fondo oro di Taddeo di Bartolo con la Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Andrea, datato 1400. Ai suoi lati sono appese quattro testate di catalètto – la barella con cui venivano trasportati i morti – raffiguranti Santa Caterina che protegge sotto il manto quattro confratelli, le Stimmate della santa, la Deposizione e la Resurrezione di Gesù Cristo, attribuibili ad un artista senese dei primi decenni del Cinquecento da identificare probabilmente con Giacomo Pacchiarotti.
Confraternita dei Disciplinati
Oltre a quella di Santa Caterina della Notte, l’altra importante Compagnia che aveva sede nei sotterranei dello Spedale era quella dei Disciplinati, così chiamati per via dell’uso del flagello, detto anche disciplina, come strumento di auto-espiazione fisica. La stessa adozione di un emblema con la croce e due discipline ad essa appese stava ad indicare l’adesione dei confratelli al sacrificio di Cristo ed alla penitenza dei flagellanti.
La Confraternita si era costituita con ogni probabilità durante il Duecento, epoca in cui vennero emanati i primi statuti, ma le sue origini leggendarie si facevano risalire all’alto Medioevo, se non addirittura ai tempi di sant’Ansano, battista e patrono di Siena, martirizzato, secondo la tradizione, nella vicina strada del “Fosso” che tuttora gli è dedicata. Le norme statutarie che dettavano i requisiti per l’ammissione e l’appartenenza alla Compagnia esigevano una selezione rigorosa dei cittadini che aspirassero a farne parte, scelti tra i più autorevoli esponenti della classe dirigente senese, ai quali veniva imposto, attraverso regole severe e minuziose, un austero stile di vita, ma era riconosciuto anche un ruolo di prestigio come consiglieri politici e gestori della beneficenza pubblica. Nei secoli dal XIII al XIV la Compagnia annoverò tra i suoi affiliati alcune personalità di spicco del misticismo senese, come san Bernardo Tolomei ed i beati Andrea Gallerani, Pietro Petroni e Giovanni Colombini, oltre ad un gruppo di discepoli di santa Caterina; agli inizi del XV secolo, prima di entrare nell’ordine francescano, vi appartenne anche il giovane san Bernardino da Siena, che maturò la sua vocazione prodigandosi nell’assistere i malati di peste ricoverati nello Spedale.
Nell’età della Controriforma la Confraternita fu centro di culto officiato con frequenza e regolarità da cinque cappellani per quanti erano gli altari dell’oratorio, mentre i confratelli si distinguevano per le opere di carità a favore degli indigenti, dei prigionieri e dei luoghi pii più bisognosi. Anche il patrimonio si accrebbe per le numerose donazioni ed i lasciti per la salvezza dell’anima che furono effettuati tra il XVI e il XVIII secolo da diversi esponenti del patriziato senese, tanto che nel 1783, quando fu deciso di effettuare un prelievo fiscale straordinario per contribuire alla riforma dell’Università di Siena, la Compagnia venne tassata come l’istituzione di gran lunga più ricca tra quelle del tempo. Due anni dopo, la soppressione delle confraternite laicali della Toscana decretata dal governo granducale risparmiò il patrimonio della Compagnia, che venne laicizzata e trasformata in “Società di Esecutori di pie disposizioni”, l’istituzione che per oltre due secoli sino al tempo presente ha continuato ad esercitare importanti funzioni di carattere socio-economico in Siena e nel territorio del suo antico Stato.
I numerosi locali sede della Società, situati a poca distanza dall’oratorio della Compagnia di Santa Caterina della Notte, custodiscono un notevole patrimonio storico artistico che si è arricchito in anni recenti grazie alla scoperta di un interessante ciclo di affreschi di primo Trecento, raffigurante una Tebaide, venuto alla luce lungo la scala che porta alla sede della Società. Tra le altre opere, spicca in particolare il bellissimo crocifisso ligneo, posto sull’altare sinistro dell’oratorio, che secondo la tradizione indusse san Bernardino ad indossare l’abito francescano.
Confraternita di Santa Maria in Portico a Fontegiusta
Le origini della Confraternita sono strettamente connesse a quelle della Società Minore della Vergine Maria, fondata dal beato senese Francesco Patrizi nel 1298. Alcuni decenni dopo, nel 1334, al suo interno si verificò una sorta di scissione poiché una parte dei confratelli decise di cambiarne il nome intitolando la Compagnia alla Santissima Trinità, la cui festività era stata introdotta proprio in quell’anno da papa Giovanni XXII nel calendario liturgico della Chiesa romana.
Altri membri vollero invece mantenere la vecchia dedicazione alla Vergine e spostarono la loro sede in Camollia, in un piccolo oratorio intitolato a san Sebastiano, nelle vicinanze dell’antica porta di Pescaia, detta anche di Fontegiusta (dal latino iuxta fontem, vicino alla fonte) poiché situata nei pressi di una delle tante fonti medievali che fornivano acqua alla città, oggi non più esistente. La porta era dotata di un portico per il pagamento dei dazi in cui si trovava un affresco trecentesco attribuito a Lippo Vanni raffigurante la Madonna con il Bambino fra i santi Paolo (o Andrea) e Bartolomeo, presenza non insolita da quando il Governo di Siena, dopo la battaglia di Montaperti, in deferente omaggio alla Madonna, aveva stabilito che immagini mariane venissero dipinte sulle numerose porte della città a protezione delle sue mura.
Il culto dell’immagine di Fontegiusta iniziò, però, nel 1434, quando un esule fiorentino, sopravvissuto alle ferite riportate in un’aggressione subita vicino alla porta, ritenne di essersi salvato grazie all’intercessione di quella Madonna, che divenne poco a poco oggetto di grande devozione. Nel 1478, anno fondamentale per la Compagnia, essa ottenne il riconoscimento ufficiale da parte di papa Sisto IV e con esso l’approvazione ad edificare un proprio oratorio, la cui costruzione aveva già avuto inizio ad opera dei confratelli, con l’intento di proteggere e custodire il sacro affresco. Inoltre, il 7 settembre dell’anno seguente, l’esercito senese vinse contro quello fiorentino nella battaglia di Poggio Imperiale e il giorno successivo, festa della Natività di Maria, furono offerte alla Madonna di Fontegiusta le armi e le insegne tolte al nemico, con grande partecipazione di popolo. Fu così che nel 1482, per volere dello stesso Consiglio Generale della città, in segno di riconoscenza alla Vergine, iniziarono i lavori di ampliamento dell’oratorio che si conclusero pochi anni dopo, dando origine ad uno dei santuari mariani più importanti di Siena.
Sorto a ridosso delle mura inglobando il portico con la miracolosa immagine – da cui deriva il nome stesso della Compagnia – l’edificio, privo di abside, presenta una pianta quadrata con tre navate ridotte in lunghezza, proprio a causa del poco spazio disponibile tra la facciata e le mura stesse. L’esterno presenta un rivestimento in laterizio e un portale rinascimentale in marmo, mentre l’interno è scandito da colonne che sostengono volte a crociera. Fulcro della chiesa è l’altare maggiore con l’affresco della Vergine, privato in epoca ignota delle due figure di santi che la affiancavano in origine, oggi conservate nella vicina sala dove è stata allestita una piccola raccolta di oggetti appartenenti alla Compagnia. La sacra immagine è impreziosita e messa in risalto dall’opera artisticamente più rilevante conservata all’interno della chiesa: il magnifico tabernacolo a tempietto scolpito tra il 1509 e il 1517 da Lorenzo di Mariano, detto il Marrina, raffinatissimo capolavoro dell’arte plastica. Nella lunetta soprastante si trova un affresco raffigurante l’Assunzione della Vergine, opera del 1515 di Girolamo di Benvenuto, mentre ai lati sono la Natività di Maria, l’Annunciazione e la Dormitio Virginis, aggiunte seicentesche di Ventura Salimbeni. Come queste, anche molte delle altre opere che costituiscono il ricco patrimonio artistico della chiesa, per lo più databili al XVI secolo, hanno per soggetto la Madonna e testimoniamo ancora una volta il legame profondo che lega non solo questa Compagnia ma la stessa città di Siena alla sua protettrice.
Soppressa nel 1785, la Confraternita venne ripristinata nel 1792 e unita a quella del beato Ambrogio Sansedoni, che aveva sede presso la basilica di San Domenico, dando così origine al titolo attuale di Venerabile Compagnia di Santa Maria in Portico a Fontegiusta e del Beato Ambrogio Sansedoni.
Confraternita della Santissima Trinità
Nata così come la Compagnia di Fontegiusta dalla Società Minore della Vergine Maria, istituita nel 1298 presso la basilica dei Servi dal beato senese Francesco Patrizi, qualche tempo dopo la morte del fondatore, precisamente nel 1334, alcuni membri dettero vita alla Confraternita della Santissima Trinità, in onore della solennità che proprio in quell’anno papa Giovanni XXII aveva inserito per la prima volta nel calendario liturgico della Chiesa romana.
Nei secoli successivi la Compagnia fu caratterizzata da grande slancio e vitalità tanto che, intorno alla metà del Cinquecento fu la prima tra le Confraternite senesi, tutte riservate fino ad allora ai soli uomini, a deliberare di creare al suo interno un’associazione di donne. Con l’editto del 1785 del granduca di Toscana la Confraternita venne soppressa, per essere poi ricostituita cinque anni dopo, in seguito alle insistenti richieste dell’arcivescovo di Siena monsignor Tiberio Borghesi. Tuttavia, come accaduto alla maggior parte di queste istituzioni, la perdita dei beni e i continui mutamenti politici a seguito della rivoluzione francese, causarono un inesorabile decadimento. Dopo gli eventi della Seconda Guerra mondiale, la Confraternita riprese vita e negli anni Settanta il suo oratorio fu concesso in uso perpetuo alla Contrada di Valdimontone; più tardi, nel 1993, si dotò di un nuovo atto fondativo, costituendosi in Congregazione Generale, finché nel 1998 venne approvato il nuovo Capitolato.
L’oratorio della Santissima Trinità, adiacente alla parte absidale della basilica dei Servi, doveva esistere già dal 1380 ma fu solo alla fine del Cinquecento che, nonostante le gravi difficoltà economiche, i confratelli decisero di ristrutturare e abbellire la chiesa in ogni sua superficie con affreschi e stucchi, creando un ambiente ricchissimo ma di grande armonia, splendido esempio di edificio di gusto manierista. I lavori proseguirono per oltre un secolo e videro la partecipazione di artisti e maestri artigiani, senesi e non, che dettero vita ad uno spazio sorprendente, in cui architettura, scultura e pittura si fondono creando qualcosa di unitario. I dipinti, eseguiti da pittori come Ventura Salimbeni, Raffaello Vanni e Giuseppe Nasini, presentano un’ampia varietà di soggetti, accomunati da un piano iconografico che prevedeva un’unica idea di fondo: la dimostrazione della vittoria della fede sull’eresia, inquietudine spirituale che aleggiava nella società civile a cavallo tra il XVI e il XVII, specialmente nei ceti più popolari, maggiormente refrattari ad accogliere le verità di fede in termini dogmatici.
Confraternita dei santi Niccolò e Lucia
Eretta in principio presso la chiesa del Carmine, la Compagnia ebbe origine verso la fine del XII secolo con il titolo di San Niccolò. Nel 1398 i membri ne trasferirono la sede nelle stanze annesse alla vicina chiesa di Santa Lucia, che venivano usate al tempo come luoghi di accoglienza per bisognosi e pellegrini, dando modo ai confratelli di esercitare quella carità e quell’attenzione al prossimo che hanno sempre animato queste pie istituzioni. Il piccolo ricovero rimase attivo e gestito dalla Confraternita fino al 1574, quando fu soppresso da Francesco I. Ripristinato quasi due secoli dopo, fu adibito a luogo di convalescenza per i malati dello Spedale di Santa Maria della Scala, ma rimase tale per poco tempo. Con le soppressioni di Pietro Leopoldo la Compagnia fu soppressa e quei locali venduti. Rimase la chiesa e dopo qualche tempo la Confraternita venne nuovamente istituita per arrivare fino ai giorni nostri.
Di origine medievale, la chiesa dei Santi Niccolò e Lucia fu oggetto di completo rifacimento tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento. La facciata di gusto ancora rinascimentale, intonacata e sormontata da un timpano, è scandita da lesene e cornici in laterizio. L’interno, propriamente barocco, si articola in un ambiente unico con tre altari e presenta un apparato decorativo molto ricco, costituito da stucchi e affreschi prevalentemente seicenteschi, eseguiti da maestranze senesi. A Sebastiano Folli si deve la grande scena della volta raffigurante il Trionfo di santa Lucia, mentre nei lunettoni laterali della navata un seguace di Astolfo Petrazzi dipinse alcuni episodi della vita della santa e di san Niccolò. I santi titolari della chiesa sono rappresentati anche nelle due bellissime statue in terracotta policroma attribuite a Giacomo Cozzarelli o all’ambito di Giovanni di Stefano e poste in posizione rialzata ai lati dell’arco del presbiterio, mentre sull’altare maggiore si trova la pala raffigurante il Martirio di santa Lucia, realizzata da Francesco Vanni nel 1606.
Il 13 dicembre di ogni anno, in occasione della solennità di santa Lucia, la chiesa diventa il fulcro di una tradizione molto cara ai senesi, che vi si riversano per ricevere la benedizione degli occhi e per accendere una candela alla santa, la radice del cui nome porta la parola ‘luce’.
Confraternita di San Bernardino al prato di Camollia
La Confraternita ebbe origine dalla Compagnia laicale intitolata a san Bernardino, sorta nel 1590 presso il convento dell’Osservanza, che il santo senese aveva fondato agli inizi del Quattrocento sul colle della Capriola, poco fuori Siena. Qui la Compagnia disponeva di alcune stanze e di una cappella per le funzioni religiose, dedicandosi ad opere di carità e al seppellimento dei defunti. Verso la fine del Seicento, la ristrutturazione completa che interessò il complesso conventuale portò alla scomparsa degli ambienti utilizzati dai confratelli, che si videro costretti a cercare una nuova sede. Venne così scelta la chiesa che sorgeva presso l’Antiporto di Camollia, nel luogo in cui anticamente aveva avuto sede un monastero di suore cistercensi. Soppresso nel 1393, nel secolo successivo fu trasformato in un ospedale per i pellegrini che venne poi concesso dal vescovo di Siena ai Canonici regolari di Sant’Antonio di Vienna, dediti alla cura degli ammalati fino alla metà del Cinquecento, quando l’ospedale venne distrutto in un incendio.
Più di un secolo dopo, la chiesa, intitolata allo stesso sant’Antonio di Vienna e sopravvissuta alle travagliate vicissitudini del complesso, venne dunque ufficialmente affidata alla Compagnia di San Bernardino con decreto vescovile del 1686, approvato poi in via definitiva dalla Congregazione Cardinalizia romana dei Vescovi e dei Regolari nel 1688.
Da allora, fatta eccezione per una breve parentesi dovuta alle soppressioni leopoldine, la Confraternita ha operato e continua ad operare in questo luogo e l’oratorio ha assunto il nome di San Bernardino al Prato di Camollia.
L’edificio è stato interessato nel corso del tempo da numerosi restauri e l’aspetto attuale è dovuto all’intervento del 1926, in cui furono smantellati gli altari barocchi. Esternamente presenta un profilo a capanna con rivestimento in laterizio e campanile a vela; al di sopra del portale di ingresso si trova un affresco con l’immagine di san Bernardino, opera novecentesca del pittore Otello Chiti. L’interno è ad unica navata a pianta rettangolare, con presbiterio separato da un grande arco a tutto sesto. Sull’altare maggiore è posta la testimonianza più antica del patrimonio artistico della Compagnia: il bellissimo polittico di Paolo di Giovanni Fei raffigurante la Madonna col Bambino e santi, databile intorno al 1380.