1.7 Da Siena a Chiusdino, sulle tracce di San Galgano

Chiesa del Santuccio

Sull’altare maggiore della chiesa del Santuccio c’è una grande tela con La Madonna, il Bambino e santi iniziata da Francesco Vanni nel 1610, proseguita da Ventura Salimbeni e conclusa da Sebastiano Folli nel 1614. Le due opere ai lati dell’altare, la tela con santa Cecilia che suona l’organo del primo quarto del Seicento e attribuita a Antonio Buonfigli e l’affresco con Il Concerto d’Angeli firmato da Ventura Salimbeni e datato 1612, richiamano la passione per la musica delle giovani agostiniane del Santuccio che suonavano e amavano dedicarsi al canto. Il ciclo di affreschi alle pareti, eseguito da Ventura Salimbeni, illustra sei storie della vita di san Galgano. Inizia da Siena, in via Roma 69, il viaggio sulle tracce Galgano Guidotti, cavaliere e poi santo che visse in Toscana, a Chiusdino, nel XII secolo e che scelse la vita di eremita. Tra tutti gli episodi rappresentanti nella chiesa spicca quello della spada nella roccia raffigurata già incastonata nel masso con il santo inginocchiato in preghiera. Episodio, questo, che segna la fine della vita militare del santo e l’inizio di quella eremitica. Nella chiesa del Santuccio si è custodita per lungo tempo la reliquia della testa di san Galgano, realizzata da Lando di Pietro e conservata all’interno del prezioso reliquiario d’argento di Pace di Valentino oggi esposto al Museo dell’Opera del Duomo (Piazza del Duomo 8). Durante le soppressioni degli ordini religiosi, tra la fine del Settecento e la seconda metà dell’Ottocento, la chiesa non venne abbandonata, ma diventò un rifugio per le monache provenienti da altri monasteri. Agli inizi del Novecento le poche monache che abitavano ancora il convento furono trasferite in un altro monastero e l’edificio monastico adiacente venne adibito a scuola professionale.

Il nome “Santuccio” deriva dal fatto che i maggiori benefattori erano membri della nobile famiglia senese Santucci. In origine le monache del Santuccio vivevano di elemosina, della lavorazione dei bachi da seta, coltivavano la vigna posta sul retro del convento e ricevevano le doti di fanciulle di ricca famiglia che, accolte nel convento, decidevano di prendere i voti.

       

Palazzo di San Galgano

Poco più avanti, in via Roma 47, il Palazzo di San Galgano un edificio storico sempre a pochi passi da Porta Romana. La sua origine risale al XV secolo quando assunse l’uso di residenza cittadina per i monaci dell’abbazia di San Galgano. Infatti Il 24 gennaio 1474 Giovanni di Niccolò,abate del monastero cistercense di San Galgano, dichiara di voler costruire nella chiesa della Maddalena, “un casamento in su la strada maestra … con sei porti e due finestrati con una loggia in colonne d’un pezzo …, e con bellissimo lavoro a pietre lavorate”. Rilevanti trasformazioni furono apportate a partire dalla fine del XVI secolo quando il palazzo divenne sede prima della Congregazione delle Abbandonate e poi delle Vergini del Soccorso. Tra gli interventi più significativi all’esterno, la loggia in mattoni all’ultimo piano della facciata su via Roma e, all’interno, il cortile porticato (1600) e la Scala Santa con la cappella Chigi (1710).

Pinacoteca Nazionale

Il viaggio sulle tracce di san Galgano prosegue in via San Pietro 29. Ci troviamo all’interno della Pinacoteca Nazionale davanti alla preziosa formella che raffigura san Galgano scolpita su marmo grigio della Montagnola. Si tratta di un’opera realizzata da una scultore senese, vicino ad Agostino di Giovanni e Giovanni d’Agostino attivo a Siena tra il 1330 e il 1340. Il rilievo si distingue per due varianti iconografiche: Galgano non veste un abito da cavaliere, ma quella che ha tutta l’aria di essere una veste da monaco, non troppo diversa dall’uniforme indossata da don Stefanonella Biccherna del 1320 e attraverso la quale si dovrebbe volere sottolineare una immedesimazione con i cistercensi dell’abbazia, in quanto loro titolare; inoltre il luogo nel quale inserisce la spada è costituito da un monte di sei cime araldico, allusivo all’eremo di Montesiepi. Tanto l’acconciatura con il ricciolo che finisce la capigliatura al di sotto dell’orecchio, quanto il lungo e largo abito monacale riportano agli Effetti del Buongoverno affrescato negli stessi anni da Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena.

         

Eremo di Montesiepi

Lasciamo Siena in macchina e attraverso la SS73 bis andiamo in direzione Chiusdino e dopo circa 33 km raggiungiamo la Valdimerse e l’eremo di Montesiepi. Insieme ai ruderi dell’abbazia di San Galgano costituisce il più importante complesso religioso e monumentale del territorio di Chiusdino e più in generale dell’intero territorio senese, e uno dei più rilevanti esempi dell’architettura gotico-cistercense in Italia. L’eremo di Montesiepi sovrasta l’abbazia: un angolo di terra solitaria e silenziosa, dal fascino unico tra misticismo e spiritualità. L’eremo sorge sulla punta di una collina circondata da querce. Il luogo dove il giovane cavaliere di Chiusdino Galgano si ritirò a vita eremitica nel dicembre del 1180 e dove morì l’anno successivo. Fu concepito come un mausoleo perché custodisse la tomba del santo e fosse preziosa custodia della roccia con la spada. Nella cappella si può vedere la spada di San Galgano, testimone ad un tempo muta ed eloquente della conversione del giovane chiusdinese. Da vedere gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nel piccolo oratorio vicino alla Rotonda. L’eremo è stato completato nel 1185, anno di canonizzazione di san Galgano ad opera del Pontefice Lucio III. Il processo di canonizzazione si svolse a Montesiepi dal 4 al 7 agosto 1185, quattro anni dopo la sua morte. Negli atti furono raccolte le deposizioni di venti testimoni, tra cui la madre di Galgano, gli eremiti che lo avevano conosciuto e numerose persone che avevano ricevuto miracoli per sua intercessione.

Abbazia di San Galgano

Volgere lo sguardo verso l’imponente abbazia ‘senza tetto’ è come compiere un viaggio dentro se stessi. I lavori di costruzione, iniziati nel 1218 terminarono nel 1288. La chiesa rispetta perfettamente i canoni della abbazie cistercensi; canoni stabiliti dalla regola di san Bernardo che prevedevano norme precise per quanto riguarda la localizzazione, lo sviluppo planimetrico e lo schema distributivo degli edifici. L’abbazia conobbe un inaspettato splendore durante il XIII ed il XIV secolo, ma a partire dal XV, lentamente e inesorabilmente decadde. La sua decadenza ebbe il culmine nel 1781 col crollo delle volte di copertura della chiesa abbaziale, nel 1786 con la rovina del campanile, nel 1789 con la sentenza ecclesiastica di profanazione. Dopo due secoli di abbandono, agli inizi del ‘900 l’abbazia subì un imponente restauro conservativo che l’ha portata fino ai giorni nostri. Il complesso è costituito dalla chiesa senza tetto e da un edificio che si sviluppa lungo il braccio destro del transetto e che costituisce quanto resta dell’abbazia. In questo edificio avevano sede la sagrestia, il parlatorio, lo scriptorium, la sala capitolare, l’archivio e, sopra, il dormitorio e la cappella. I giganteschi ruderi dell’abbazia, oggi ripuliti, restaurati ed illuminati, immersi in un silenzio solenne e la spada nella roccia, raccolta e protetta dal meraviglioso eremo, ti sapranno stupire, parleranno al tuo animo, susciteranno nel tuo cuore una dimensione intima ed evocheranno immagini e leggende mitologiche e fantasiose.

      

La vita di San Galgano

Galgano nacque a Chiusdino intorno al 1150 da una famiglia della piccola nobiltà locale, legata da rapporti di vassallaggio verso il vescovo diVolterra, signore feudale di Chiusdino; è certo il nome della madre, Dionisia, mentre quello del padre, Guido, appare per la prima volta in unabiografia del santo datata alla prima metà del XIV secolo. Il nome Galgano è per nulla originale, benché possa richiamare alla mente il nome di Galvano, uno dei cavalieri della Tavola Rotonda, era abbastanza diffuso nella Toscana del Medioevo. Probabilmente i suoi genitori gli imposero questo nome, come omaggio a Galgano Pannocchieschi, vescovo di Volterra fra il 1149 o ’50 ed il 1168 o ’69, che ebbe dall’imperatore Federico Barbarossa il dominio temporale sulla città e sul contado con il titolo di conte, e fu dunque signore di Chiusdino. È certo che Galgano sia stato cavaliere. «In terram», è scritto sia nel verbale della deposizione di Dionisia durante il processo di canonizzazione che nelle più antiche biografie, in terra, dunque, non nella roccia. Questo gesto aveva per i cavalieri del Medioevo un alto significato spirituale: la spada capovolta ricordava la croce. Col suo gesto, Galgano non rifiutava la spada ma la poneva al servizio di una cavalleria diversa da quella vissuta fino ad allora, diversa e soprattutto più alta, così come la sua conversione esigeva: capovolgere la spada e conficcarla in terra a modo di croce, infatti, significava ribaltare la destinazione dell’arma, da strumento di violenza, ancorché in difesa del diritto, a simbolo e strumento di riconciliazione fra Dio e gli uomini e quindi di salvezza. Con questo gesto dunque, il cavaliere Galgano arruolava se stesso nella milizia di un dominus ben più grande di quello terreno, il Signore Gesù Cristo. Nella primavera del 1181 Galgano si recò dal Papa Alessandro III per ottenere l’approvazione della sua comunità. Ritornato da Roma, Galgano si pose in contatto con i monaci di un monastero dell’ordine guglielmita, presumibilmente il monastero di San Salvatore di Giugnano, altrimenti detto di san Guglielmo, fra i castelli di Roccastrada e Montemassi, nella valle del fiume Bruna, vicino a Montesiepi. L’esperienza eremitica sulMontesiepi durò meno di un anno: il 30 novembre 1181 Galgano morì santamente, ed il 3 dicembre successivo fu piamente sepolto accanto alla sua spada. Negli anni che intercorsero fra la morte di Galgano e la sua canonizzazione, la sua tomba divenne mèta di pellegrinaggi. I pellegrinaggi che si compivano verso il Montesiepi e i miracoli che avvenivano per l’intercessione del santo, attirarono l’attenzione del vescovo di Volterra, Ugo, che si recò sul Montesiepi per condurre una prima indagine conoscitiva delle virtù e dei miracoli di Galgano. L’inchiesta ebbe esiti positivi ed egli autorizzò la costruzione di una cappella a custodia della tomba del santo e della sua spada. Dopo Ugo, il suo successore sulla cattedra volterrana, Ildebrando Pannocchieschi, ottenne l’apertura di un processo da parte del sommo pontefice Lucio III. Il Papa nominò tre commissari con il compito di verificare la santità del giovane chiusdinese: siamo certi che fra di essi fu Corrado di Wittelsbach, cardinale vescovo della Sabina ed arcivescovo di Magonza; per gli altri due si pensa a Melior, cardinale prete del titolo dei santi Giovanni e Paolo, e forse allo stesso Ildebrando Pannocchieschi, vescovo di Volterra. Il Martyrologium Romanum, catalogo di tutti i santi cristiani comprendente il sunto della loro vita e l’indicazione dei giorni in cui essi vengono festeggiati e che viene periodicamente aggiornato, contiene ovviamente il nome di san Galgano. Nell’editio typica promulgata da Papa Gregorio XIII nel 1584, e così in ogni edizione fino a quella promulgata da Papa Pio XII nel 1956, se ne fissava la festa al 3 dicembre. La nuova edizione promulgata da Papa Giovanni Paolo II nel 2001, secondo le indicazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, così come l’edizione promulgata dalla Conferenza Episcopale Italiana del 2006, ne portano la festa, per la chiesa universale, al 30 novembre, giorno della sua morte. La parrocchia-prepositura di san Michele Arcangelo in Chiusdino e la confraternita del santo, continuano a rispettare l’antica tradizione e a celebrare la festa di san Galgano il 3 dicembre.

 

Brochure a cura di Toscanalibri.it
Testi di Cristiano Pellegrini Coordinamento editoriale:
Elisa Boniello e Laura Modafferi
Foto: Primamedia, Sabrina Lauriston e Leonardo Castelli
Grafica: Michela Bracciali

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