4.3 La storia sui muri: Terzo di San Martino

(Prima parte)

Le Logge di Pio II e il palazzo costruito da Andrea e Giacomo Todeschini Piccolomini

Partiamo dal Campo e portiamoci davanti a via del Porrione. L’imponente fabbricato che costeggia la piazza e occupa l’intero isolato compreso fra quest’ultima strada e la vicina via Rinaldini (detta anche Chiasso Largo), è il Palazzo Piccolomini, il cui fronte principale si trova sull’altro lato, in Banchi di sotto. Per raggiungerlo, imbocchiamo via del Porrione e dopo qualche decina di metri svoltiamo a sinistra, dove accanto alla chiesa di San Martino si stagliano le “Logge del Papa”, fortemente volute da Pio II (1458-1464), nato Enea Silvio Piccolomini, per dedicarle ai suoi familiari, come recita l’iscrizione sull’architrave in caratteri capitali di bronzo sbalzato:

«PIUS II PONT MAX GENTILIBUS SUIS PICCOLOMINEIS». Il maestoso loggiato marmoreo a tre arcate, sorrette da capitelli corinzi, corredato da grandi stemmi della casata agli angoli e sul fronte, fu eretto per riqualificare e abbellire la piazza adiacente alla chiesa di San Martino, detta anche del Pozzo dei Piccolomini, lì testimoniato sin dal XIII secolo, essendo contornata dalle antiche proprietà della famiglia. Pio II affidò il progetto allo scultore e architetto senese Antonio Federighi, uno dei suoi artisti di fiducia, tanto da averlo chiamato a Roma poco dopo la salita al soglio pontificio per commissionargli le due scene raffiguranti San Paolo in catene e Tre ufficiali romani, poi ricomposte nel tabernacolo di Sisto IV presso le Grotte vaticane. In passato sono stati formulati anche altri nomi, come quello del pittore e scultore senese Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta o di Leon Battista Alberti, ma il fatto che Federighi venga espressamente indicato in un registro pontificio come il maestro che stava lavorando alle logge, fa cadere ogni dubbio al riguardo. Egli si era formato quasi certamente nell’ambito dell’Opera del Duomo tra il 1435 e il 1438, ossia negli anni in cui era Operaio Jacopo della Quercia, per poi diventarne capomaestro dal 1450 all’anno seguente, quando si trasferì ad Orvieto per ricoprire il medesimo incarico. Rientrato a Siena alla fine del 1456, nell’ottobre di due anni dopo ottenne di nuovo tale ufficio, che mantenne fino al 1480. Il progetto della loggia gli fu affidato nel 1460, mentre era a Roma convocato dal papa, al quale sottopose il disegno e concordò i lavori. Il 4 ottobre dello stesso anno il Concistoro senese discusse la proposta avanzata da Giovanni Saracini, in qualità di «commissario» di Pio II, per eseguire «uno nobile et bello casamento» della famiglia di fronte alla chiesa di San Martino e una «loggia ala piaça Picholhomini». A tale scopo era necessario acquistare alcune case e botteghe, che il rappresentante del pontefice sperava di poter ottenere «per prezi giusti et ragionevoli». Perciò implorava il governo affinché i Piccolomini fossero esentati dal pagamento di qualsiasi gabella sugli atti di compravendita e sui materiali edili occorrenti per tali lavori, «bonificandosi et magnificandosi di tale acconcio et adorno la città». Il Concistoro accolse la richiesta di Saracini solo in parte, accordando un taglio delle gabelle del 50%, decisione che il Consiglio Generale approvò il 18 ottobre con 136 voti favorevoli e appena 14 contrari. Tra gli acquisti programmati, vi era anche un immobile nella piazza del Pozzo dei Piccolomini, dove il grammatico Giovanni di Guccino da Montalcino aveva la propria scuola. Una volta demolito, le logge sarebbero state allineate alla chiesa di San Martino, che faceva parte integrante del progetto di riorganizzazione dell’area, formando una quinta scenica assai suggestiva. Il maestro, tuttavia, si rifiutò di vendere le sue proprietà ai Piccolomini, costringendo Federighi a posizionare il loggiato alcuni metri più avanti rispetto a quanto era in progetto.

Fra il dicembre del 1460 e l’ottobre del 1461 vennero spesi circa 3.000 ducati di fondi papali per acquistare l’area e i materiali; i pagamenti per l’inizio dei lavori di costruzione iniziarono nell’aprile del 1462 con un primo esborso di 600 ducati. Il cronista Allegretto Allegretti registra che la prima colonna della loggia fu innalzata il 18 maggio di quell’anno. È probabile che l’opera fosse già conclusa a settembre, per una spesa complessiva di 3.811 ducati. Il 27 di quel mese, infatti, il Vecchietta e il maestro di pietra Castorio di Nanni furono nominati, rispettivamente da Giovanni Saracini e da Antonio Federighi, per dirimere una controversia sui costi di completamento «Teatri in platea santi Martini». Nelle intenzioni nepotistiche di Enea Silvio, il prezioso “dono” che aveva pensato per i Piccolomini, doveva servire non solo ad abbellire la piazza, ma anche per allestire feste, ricevimenti, riti matrimoniali o funebri della sconfinata consorteria. Nel corso dei secoli, in realtà, la loggia è stata poco utilizzata, e già nell’Ottocento era chiusa dalla cancellata ancora esistente. Da segnalare che nel XVIII secolo, quando ormai i Piccolomini non abitavano più nel palazzo antistante, ospitò pubblici convegni e spesso gli studenti dello Studium cittadino vi discutevano le tesi di laurea. Davanti alle Logge del Papa, dunque, si staglia l’immensa mole del Palazzo Piccolomini. Già nel XII secolo la famiglia era proprietaria di svariate proprietà immobiliari e fondiarie nel Terzo di San Martino, soprattutto nella zona di Valdimontone. Intorno alla metà del Duecento i documenti cominciano a menzionare un «palatium» di fronte alla chiesa di San Martino, che da quanto si evince dalla Tavola delle Possessioni del 1318-20, una sorta di Catasto dei nostri tempi, insieme alla botteghe del piano terreno raggiungeva un valore di ben 5.000 lire. L’agglomerato medievale, che doveva comprendere anche due torri, una sul lato del Chiasso Largo, l’altra davanti a San Martino, fu completamente ristrutturato in chiave anticheggiante da Andrea Todeschini Piccolomini dopo il 1480, come vedremo meglio tra poco. L’intervento celò del tutto le forme preesistenti, di cui alcune parti sono state riportate alla luce solo con il restauro della seconda metà del XX secolo, e sono oggi visibili in via del Porrione e in via Rinaldini.

Come sopra accennato, l’intenzione di edificare «uno nobilissimo casamento ad grande ornato et bellezza della città» da parte di Pio II, emerse subito dopo la sua elezione, in una lettera del 27 settembre 1458 indirizzata al Concistoro da Niccolò Piccolomini, ambasciatore senese presso il Papato. Nel gennaio del 1461, dopo aver ottenuto gli sgravi fiscali dal Comune, iniziarono gli acquisti dei terreni necessari all’ampliamento, che terminarono nell’ottobre del 1463 per un esborso di 8.300 ducati, finanziato quasi interamente dalla Tesoreria segreta pontificia. Nel 1464, alla morte del papa, il progetto subì una brusca frenata, perché i circa 16.000 ducati che Pio II aveva destinato nel testamento «per fare il casamento», vennero bloccati dal successore Paolo II. L’enorme cifra era stata lasciata al cardinale e arcivescovo di Siena Francesco Todeschini Piccolomini (che poi salirà al soglio pontificio con il nome di Pio III nel 1503), ultimogenito dei quattro nipoti di Enea Silvio nati dal matrimonio fra la sorella Laudomia e Giovanni (Nanni) Todeschini. La sua costruzione, alla fine, fu finanziata completamente con fondi di famiglia, e il 12 settembre 1469 due suoi fratelli, Giacomo e Andrea, riuscirono ad iniziare i lavori. Alla cerimonia di posa della prima pietra, come riporta l’Allegretti, era presente anche Francesco con molti altri vescovi, che «benedissero la prima pietra, e misservi sotto certi denari con le loro Armi». Subito dopo Giacomo e Andrea presentarono agli Ufficiali sopra l’Ornato del Comune la richiesta di poter «soprapigliare dieci braccia de la selice del Campo, dal canto del chiasso de’ Setaioli [l’odierno Chiasso Largo] dove è la buttiga di Lorenzo di Pauolo di Goro Pannilini, e andare verso Porrione a filo […]; et in questo modo lo Palazo verrà in quadro et magnifico con tucte le sue proportioni, et a la Piaza et a la città vostra rendarà tanta dignità che ciascuno cittadino ne sarà ogni giorno più contento. El contrario interverebe, non soprapigliando le decte X braccia; perché verebe schinbo [sghembo] e torto da questo canto de’ Setaioli, e contro la opinione di qualunque lo vedesse». Un mese e mezzo più tardi, il 28 ottobre 1469, il Comune concesse ai Piccolomini il permesso di occupare con il loro nuovo palazzo la porzione del Campo che avevano richiesto.

Il 9 ottobre 1480, quando la nuova costruzione si ergeva per circa la metà dell’altezza attuale, ossia fino al mezzanino del piano terra, Giacomo e Andrea decisero di dividersi in parti uguali il caseggiato di famiglia. La metà sulla quale era attivo il cantiere, e che fino a quel momento era stata portata avanti congiuntamente, ossia quella situata tra Banchi di sotto e via dei Rinaldini fortemente voluta dallo zio (il cosiddetto «Palazzo nuovo»), passò a Giacomo, mentre Andrea entrò in possesso della porzione compresa tra il Campo e via del Porrione, il cosiddetto «casamento vecchio dei Piccolomini». Da quel momento le vicende costruttive e le scelte stilistiche operate dai due fratelli furono nettamente divergenti. Ad incontrare gli ostacoli più seri fu Giacomo, il quale, nonostante il ridimensionamento del progetto originario, che prevedeva per l’intero palazzo quattro facciate uguali, non riuscì a portarlo a compimento prima della morte, che lo colse il 6 gennaio 1508. L’anno seguente alcuni lavori erano ancora in corso e forse ebbero termine intorno al 1510. Fu allora che sopra l’arco del portale d’ingresso in Banchi di sotto fu incisa l’iscrizione «Jac(obus) Pic(colomineus) de Castella Aragonaque, P(ii) III que Pont(ificis) fr(ater)», a ricordo di colui che aveva costruito quell’ala del fabbricato. Giacomo aveva ricevuto il privilegio di aggiungere al suo nome i titoli di Castiglia e d’Aragona da re Enrico IV nel 1478. Per le facciate su Banchi di sotto e via Rinaldini, rivestite in pietra calcarea a bugnato liscio, e la purezza delle forme, che rimandano all’architettura fiorentina del Rinascimento, la paternità del progetto viene comunemente ascritta all’architetto Bernardo Gamberelli detto Rossellino, al quale Pio II aveva già commissionato il Palazzo Piccolomini di Pienza e forse anche quello a Siena per l’altra sorella Caterina, noto come Palazzo delle Papesse in via di Città. Considerato, tuttavia, che Rossellino morì a Firenze nel settembre del 1464, cinque anni prima dell’effettivo inizio dei lavori, è stato ipotizzato che avesse lasciato un disegno del casamento piccolomineo, e forse anche un modello, poi materialmente e parzialmente eseguito da altri. In effetti, come attesta Allegretti, incaricato di fungere da «guida e sollecitatore del detto Palazzo» fu Pietro Paolo del Porrina da Casole d’Elsa, «Capo Maestro de’ Muratori» fu Martino Lombardo, mentre Lorenzo di Mariano Fucci detto il Marrina, con la sua bottega, realizzò i capitelli dell’atrio e altre parti scultoree esterne. Andrea Todeschini Piccolomini, invece, sistemò la sua metà in modo del tutto diverso, schermando il complesso medievale con un’enorme facciata omogenea dalle aperture incorniciate ad edicola semplificata. Solo l’angolo verso il Campo rimase aperto da logge nel secondo e terzo piano, come illustrano vedute del Cinque-Seicento, che vennero chiuse e sostituite con finestre della stessa tipologia alla fine del XVII secolo. I due fabbricati si riunivano intorno ad un cortile comune, secondo una pianta planimetrica che rimase invariata fin quando servirono da dimora dei Piccolomini. A partire dal 1682, infatti, l’edificio perse definitivamente la funzione di abitazione signorile per divenire la sede del Collegio Tolomei, qui rimasto fino al 1820. Da quel momento il Palazzo Piccolomini ha ospitato istituzioni pubbliche di vario genere, e dal 1858 anche l’Archivio di Stato di Siena.

Testi a cura di Roberto Cresti

L’itinerario non è finito!
Scopri le altre tappe nella versione cartacea che puoi trovare all’Ufficio Informazioni in Piazza del Campo, 7 

I Comuni di Terre di Siena