1.9 Siena, la città devota a Maria

C’è un legame indissolubile che lega Siena a Maria, Madre di Dio che, nel corso dei secoli, è diventata identità stessa per i popoli della città. É a lei che i senesi si rivolgono come Regina e Avvocata, come Madre delle Grazie per la città. Un rapporto che va oltre l’ultraterreno e che trova la sua sublimazione nei luoghi più rappresentativi della città stessa. In piazza del Duomo la Cattedrale è intitolata all’Assunta, il Palazzo Comunale, custodisce la meravigliosa Maestà di Simone Martini, nella quale troneggia circondata da Santi, mostrando ai governanti il Salvatore del Mondo e ammonendoli sulla condotta da tenere per assicurare benessere e prosperità a Siena. La Torre del Mangia, nelle interpretazioni dei più può essere vista come un candido giglio, tradizionale emblema della purezza della Vergine.

Il ‘Campo’, la piazza davanti al Palazzo Pubblico, potrebbe alludere al manto di Maria, con il quale copre e protegge chi a lei si affida, come raffigurato in numerosi dipinti. La facciata del Palazzo Pubblico ha con sé le tracce di dodici porte, come la Gerusalemme dell’Apocalisse, la città di Dio, di cui la Madonna è modello. Fino a sotto la torre dove la Cappella, ex voto successivo alla peste nera, trasforma la piazza in un’immensa chiesa a cielo aperto. Il legame indissolubile tra Siena e la Vergine ebbe la sua consacrazione definitiva nel 1260, anno della battaglia di Montaperti, in cui i senesi piegarono le truppe fiorentine. Alla vigilia dello scontro, i cittadini, guidati dal magistrato Buonaguida Lucari, si riunirono in Duomo a pregare la Vergine, offrendole le chiavi della città e invocando la sua protezione. All’indomani della vittoria di Montaperti, il pittore fiorentino Coppo di Marcovaldo, fatto prigioniero dai senesi in seguito alla battaglia, fu costretto a riscattarsi dipingendo per Siena una tavola raffigurante la Madonna in trono, attualmente conservata nella Basilica dei Servi. Nel frattempo, gli statuti cittadini lodavano Maria come Signora di Siena e si cominciarono a coniare monete recanti l’iscrizione “Sena vetus civitas Virginis” (Antica Siena, città della Vergine); i sigilli della Repubblica apposti su ogni documento presentavano l’immagine della Madonna col Bambino, accompagnata dalle parole “Conservi la Vergine l’antica Siena che lei stessa rende bella”: la devozione nei confronti di Maria divenne segno di identità culturale.

Collegiata di Provenzano

Nel corso dei secoli, la venerazione dei senesi per la Santissima Madre non si è mai sopita. Verso la fine del Cinquecento, in periodo di peste e carestia, le autorità cittadine si recarono in uno dei quartieri più malfamati di Siena, di fronte ad una miracolosa immagine in terracotta della Madonna e le fecero voto di costruire una grande chiesa, la Collegiata di Santa Maria in Provenzano. Nelle giornate estive, quando il bianco della Collegiata fa solenne la luce e ciò che essa perlustra fin dentro i dettagli, piazza Provenzano sembra allagarsi di una solitudine metafisica. Solo i giorni del Palio la ricondurranno ad una misura concreta, popolandola di colori, di sudaticcia umanità. E di scalmanata devozione, perché la chiesa di Provenzano, intitolata alla Visitazione della Vergine, costituisce, insieme al Duomo, l’altro polo del culto mariano, notoriamente radicato in Siena per atavica eredità, tanto da avere appellato la città come “Civitas Virginis”. Da qui anche la ragione dei due palii dedicati alla Madonna: quella Assunta, invocata negli slanci gotici della Cattedrale; quella, in sembianze di fragile terracotta, pregiata nella Collegiata di Provenzano. La storia della Collegiata di Provenzano è l’ennesima testimonianza di come nella Siena dei decisi contrasti (del resto bianco e nero è l’emblema) anche la virtù trovasse sempre un suo pari contrario. Raccontiamola dunque così. Verso la fine del Cinquecento, dai numerosi conventi presenti in città giungevano i virginali canti delle “Salve regina”, ma non di meno era udibile e ugualmente struggente il controcanto delle prostitute il cui anagrafe vantava, all’epoca, numeri davvero importanti. Giustappunto il quartiere di Provenzano (dal nome di Provenzano Salvani, che qui aveva avuto la sua prestigiosa dimora) poteva offrire un’ampia scelta di postriboli e qualificate professioniste. Tra le più note c’era, ad esempio, Viola, che meritò persino l’intitolazione di una strada tutt’ora esistente con questo nome. Il vicolo della Viola fa parte di un intrico di stradine dai nomi inequivocabili: via delle Vergini, via del Giglio, un tempo esisteva anche via del Buco (successivamente diventata via Baroncelli). Toponomastica, insomma, dettata dal sarcasmo della gente e che andava a contrassegnare la mappa di un quartiere. I già floridi commerciraggiunsero cifre da miracolo economico verso la metà del Cinquecento, all’epoca della dominazione spagnola, grazie ai soldati di don Diego Hurtado di Mendoza, accasermati nel convento di San Francesco, che potevano facilmente raggiungere le vicinissime stradine delle señoritas. Nessuno, però, avrebbe mai immaginato che le lucine (rosse) di quelle catapecchie avessero potuto un giorno smorzarsi dietro lo scintillio di un imponente tempio, la Collegiata di Santa Maria di Provenzano.

Tra storia e leggenda questo accadde. Nei paraggi dell’area dove oggi sorge la Collegiata, sulla facciata di una di quelle case tanto malfamate era posta un’edicola raffigurante una piccola Pietà. Un soldato spagnolo in vena di bravate vide bene di sparare un’archibugiata contro il tabernacolo. Il colpo frantumò buona parte del bassorilievo, ma l’arma implose in mano al soldato che morì all’istante. Era il 2 luglio del 1594 egià un anno dopo fu iniziata la costruzione della chiesa, terminata nel 1604, che avrebbe conservato il busto della Vergine rimasto indenne dal sacrilegio e già prodigo di miracoli. A quel punto le meretrici, salvo qualcuna convertitasi ad altra vita, dovettero acquartierarsi altrove. Una vibrante sintesi delle vicende legate al ‘risanamento’ del rione la troviamo scritta in latino su un muro di via Provenzano Salvani. Nella lapide collocata lì nel 1723 dal cavaliere Alcibiade Lucarini Bellanti, rettore della chiesa di Provenzano, leggiamo: «Sosta un poco viandante, fintanto che qui non passi inosservata la immagine della Beata Vergine Maria. Tutta questa zona di Provenzano fu esposta alle meretrici, ma dopo che rifulse l’astro virginale si dissolse come nebbia quella peste, il lupanare da qui sparì e, giungendo da ogni parte la devozione senese, fu eretta la vicinissima chiesa dove la sacra immagine è venerata da una grandissima affluenza di popoli». Il tempio divenne subito fulcro di devozione. Alla madonnina si chiedevano grazie prodigiosamente corrisposte. E fu culto non solo di popolo ma anche di nobili. Su tutti i governatori medicei, che l’edificazione della chiesa avevano finanziato in maniera sostanziosa. Caterina de’ Medici, governatrice di Siena dal 1627 al 1629, dispose, prima di morire, che il suo cuore venisse sepolto in Provenzano come pegno alla devozione che nutriva per quella Madonna. E pure le viscere del principe Mattias, deceduto l’11 ottobre 1667, trovarono inumazione nella Collegiata senese. Sappiamo, poi, in che modo la venerazione per la Madonna di Provenzano abbia incrociato la storia del Palio. Erano i primi decenni del 1600. Per quanto divertenti potessero risultare le corse di cavalli lungo le strade cittadine, con le quali a mezz’agosto si concludevano i festeggiamenti per l’Assunta, esse mancavano, però, di quella spettacolarità che il conchiuso scenario di piazza del Campo avrebbe offerto. Perciò si cominciarono a organizzare anche palii “alla tonda”, percorrendo l’anello più esterno del Campo. Peraltro, sarà proprio a partire da quest’epoca che le Contrade acquisteranno in tali giostre un ruolo sempre più determinante. Nel 1656 il palio “alla tonda” avrà così una sua codificazione e cadenza regolare, nonché una esplicita dedicazione alla Madonna: d’ora innanzi, ogni 2 luglio, verrà disputato un palio in onore della Madonna di Provenzano, nel giorno, cioè, in cui quella immagine aveva subìto l’oltraggio. É dunque seguendo il solco di questa storia che, ancora oggi, a palio vinto, i senesi irrompono nella penombra barocca di Provenzano per cantare il loro Maria mater gratiae. Una preghiera antica, suggerita nei libri liturgici fin dal 1300 e che, scandita sui modi del canto gregoriano, a Siena è divenuta incredibilmente canto popolare. Percorrendo le strade di Siena, capita di imbattersi in numerosi tabernacoli viari consacrati alla Madonna. L’8 settembre di ogni anno, festa dedicata alla Madonna, i bambini delle diciassette Contrade fanno a gara ad abbellire con i disegni e i festoni più belli il tabernacolo presente nel loro rione. É questa una tradizione molto sentita a Siena, che contribuisce a rendere sempre vivo l’amore per la Protettrice della città.

 

Testi di Cristiano Pellegrini
Coordinamento editoriale: Elisa Boniello e Laura Modafferi
Foto: Primamedia, Sabrina Lauriston e Leonardo Castelli
Grafica: Michela Bracciali

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