6.7 Lo scrigno celato: l’Oratorio di San Bernardino

Introduzione

In questo itinerario parliamo di un luogo meraviglioso della città, quasi per nulla conosciuto, sebbene si trovi all’interno del centro storico: l’Oratorio di San Bernardino presso la Basilica di San Francesco, nel Terzo di Camollia.

É abbastanza noto che Siena sia “divisa” – anche se forse il termine più corretto è “unita” – in diciassette contrade, le stesse che due volte l’anno si incontrano/scontrano in Piazza del Campo per il Palio.

Ciò che però rimane meno conosciuto è che Siena sia anche divisa in tre terzi, ovvero tre zone della città – corrispondenti all’antica divisione amministrativa di età medievale – recanti tre nomi significativi della storia senese:

Terzo di San Martino, che comprende le contrade di: Civetta, Leocorno, Nicchio, Torre, Val di Montone.
Terzo di città, che comprende le contrade di: Aquila, Chiocciola, Onda, Pantera, Selva, Tartuca.
Terzo di Camollia, che comprende le contrade di: Bruco, Drago, Giraffa, Lupa, Istrice, Oca.

 

Dopo questa digressione sui terzi e sulle contrade – mi stava a cuore illustrarvi questa ripartizione – torniamo a parlare di san Bernardino.

Chi era Bernardino?

Molte notizie sul suo operato sono giunte fino ai nostri giorni grazie al processo di canonizzazione.
Egli fu un frate francescano che si distinse per essere un grande oratore; rese addirittura popolare il monogramma di Cristo, ovvero un antico simbolo composto da tre lettere: IHS (Iesus Hominum Salvator), che da quel momento prese il nome di monogramma bernardiniano, in quanto egli era solito portarlo con sé – dipinto su una tavoletta di legno – durante le popolate prediche.

Bernardino nacque a Massa Marittima l’8 settembre del 1380 – lo stesso anno in cui morì Santa Caterina – da Tollo di Dino di Bando, della nobile famiglia senese degli Albizzeschi, e da Nera di Bindo, della famiglia, anch’essa nobile, degli Avveduti di Massa Marittima.

All’età di 6 anni rimase orfano di entrambi i genitori e venne dato in affidamento a una zia chiamata Diana; purtroppo anche quest’ultima passò a miglior vita nel 1391 e il piccolo Bernardino rimase di nuovo solo, motivo per cui si trasferì a Siena, dove venne affidato allo zio Cristoforo che, essendo senza figli, lo allevò con particolare amore e dedizione, insomma come se fosse suo.

Sin da giovane, Bernardino iniziò a mostrare una certa inclinazione all’ascetismo, motivo per cui decise di entrare a far parte della Compagnia dei battuti della Beata Vergine presso l’Ospedale del Santa Maria della Scala, ricoprendo ben presto il ruolo di consigliere. Sono questi gli anni in cui Bernardino dimostrò la propria devozione al prossimo, aiutando e curando per 4 mesi i malati della violenta pestilenza del 1400.

Sempre sulla base delle testimonianze del processo di canonizzazione, a ventidue anni ricevette, nella basilica cittadina di san Francesco, l’abito da Fra’ Giovanni Ristori e, due mesi dopo, entrò nell’Ordine dei Frati Minori Osservanti, un sottordine dei francescani fondato verso il 1368 da Paolo Trinci da Foligno. Essendo però Siena priva di conventi di questo nuovo ramo dell’ordine, il quale seguiva alla lettera la regola di san Francesco dando vita a delle comunità religiose con una decisa impronta eremitica, egli si trasferì al monastero del Colombaio sul monte Amiata, vivendo in povertà e ascetismo.

Nel 1403, dopo aver preso i voti, si dedicò allo studio – dai grandi Padri della Chiesa ai pensatori contemporanei – e alla predicazione, andando in giro per tutto il Nord Italia, fino al Canton Ticino.

Dal 1423, in concomitanza con il diffondersi della sua fama di travolgente oratore, venne in diverse occasioni tacciato di eresia, un’accusa generata sia dal suo continuo incalzare i ricchi a fare professione di povertà, sia dalla sua devozione al nome di Gesù, – espressa, come si diceva, nel trigramma IHS, un simbolo già diffuso  nell’iconografia cristiana, ma che lui usò ripetutamente, definendolo la “voce di Cristo”. Per via di questi sospetti, egli venne addirittura denunciato come eretico al pontefice Martino V, ma Bernardino, che poteva vantare la conoscenza e la protezione di amici potenti, venne assolto, ricevendo persino l’approvazione all’uso in pubblico del monogramma

Egli fu un personaggio chiave nel tormentato Quattrocento senese, caratterizzato da famiglie nobili in lotta fra loro, di mercanti sempre più bramosi di accentrare il potere nelle loro mani e di lavoratori sempre più impoveriti; Bernardino, cercando di ripercorrere i passi di san Francesco, tentò di parlare alle masse, di far sentire la presenza di Dio fra le genti invogliandole a impostare la loro vita sui valori essenziali, quali appunto la povertà e l’umiltà, contrapponendosi energicamente alle ambizioni delle ricche famiglie, che volevano portare sempre più in alto il nome e il blasone della propria casata.

Una lapide bronzea qui in Piazza del Campo, proprio davanti all’entrone, ci ricorda il punto da cui lui era solito predicare al popolo; i suoi sermoni erano talmente apprezzati – richiamando in piazza migliaia di persone – che in alcuni casi furono addirittura trascritti in maniera dattilografica da qualche seguace.

Bernardino morì nel 1444 all’Aquila, città dove fu anche sepolto.
Grazie alla maschera mortuaria che di lui si fece prima dell’inumazione, il volto fu spesso rappresentato riproducendo realisticamente i suoi tratti, che erano quelli di un uomo anziano, con gli occhi piuttosto piccoli, la barba rada, con la bocca rientrante e il mento sporgente, tratti somatici tipici dei canuti.

Oggi a Siena il suo culto è ancora molto sentito, secondo solo a quello di santa Caterina. Poiché in città non esisteva ancora una comunità di frati minori che seguisse la regola riformata francescana, egli ne fondò una, là dove oggi sorge la basilica detta “dell’Osservanza”, nome conferitogli dalla comunità di frati che qui si insediò, al fine di celebrare la memoria di san Bernardino.

Piazza san Francesco

Parlando ora dell’oratorio, è tramite via di Banchi di Sopra, svoltando in Via dei Rossi, che si raggiunge il piccolo edificio dedicato al santo, che, come s’è detto sopra, si trova proprio alla destra della Basilica di San Francesco, chiesa in cui, oltre a importanti opere d’arte, si conservano le cosiddette Sacre particole. Ci troviamo nella zona esterna alla vecchia cerchia muraria della città, nel territorio che è quello di confine tra la Contrada della Giraffa e quella del Bruco, anticamente rivali e oggi solo ostili vicine.

Per chi viene in questa zona per la prima volta, risulterà alquanto difficile individuare l’oratorio, dal momento che l’edificio si confonde quasi infacciata, stretto com’è tra il portone del convento – oggi sede di una facoltà universitaria – e il comando dei Carabinieri. L’edificio si presenta nell’aspetto attuale in stile rinascimentale, ed è intitolato a san Bernardino da Siena dal 1450, anno della canonizzazione del santo.

L’Oratorio di San Bernardino

L’edificio è composto da due nuclei. Il primo ospita il Museo Diocesano di Arte Sacra, un’istituzione inaugurata nel 1980 con l’intento di promuovere e valorizzare il grande patrimonio di opere d’arte medievali e rinascimentali provenienti dagli edifici religiosi senesi, allestito oggi nei locali del complesso in cui aveva sede una Confraternita di Santa Maria Vergine, risalente al XIII secolo.

Il secondo nucleo, la cappella intitolata a Santa Maria degli Angeli, è stata interamente affrescata all’inizio del XVI secolo con storie della Vergine da Domenico di Pace detto il Beccafumi, Girolamo del Pacchia, e il Sodoma.

Le scale 

Salendo le scale possiamo ammirare tre tele seicentesche ad opera dell’artista senese Bernardino Mei, raffiguranti San Galgano in preghiera – rappresentato mentre si affida alla sua spada conficcata nella roccia per riprodurre una croce –, Santa Caterina d’Alessandria e la Traslazione delle Reliquie di San Bernardino (avvenuta nel 1610, quando a Siena fu portato il diaframma del Santo, oggi conservato nella sacrestia al piano superiore, insieme al coltello utilizzato per l’operazione e al sacchettino che lo conteneva). Sempre lungo le scale è possibile ammirare un quadro raffigurante Sant’Anna che insegna a leggere alla Vergine, dipinto di Alessandro Franchi, artista dell’Ottocento, dedicato a Santa Caterina (è l’artista che affresca l’Oratorio della Camera con le storie della vita della Santa).

La Cappella di Santa Maria degli Angeli

In cima alle scale, sulla destra, si accede alla Cappella di Santa Maria degli Angeli, dove dipingono due grandi artisti del Cinquecento quali il Sodoma e il Beccafumi, le due personalità che rappresentano l’apice della pittura rinascimentale senese prima della caduta della Repubblica. Grandi conoscitori della rivoluzione tecnica avvenuta nel campo artistico e filosofico del loro tempo – particolarmente sensibile alle novità raffaellesche delle Stanze Vaticane il primo e alle fantasie manieriste di ambito fiorentino il secondo – a mio avviso nessuno riuscì meglio di loro a farsi interprete delle istanze del Rinascimento maturo in terra di Siena.

Il vercellese Sodoma fu un pittore che, prima di approdare a Siena, visse un’importante esperienza formativa a Milano, dove fu suggestionato dalle scoperte atmosferiche di Leonardo; allo stesso tempo, egli guardò con particolare interesse alla maniera ‘dolce’ della pittura del Perugino. La sintesi di queste lezioni apprese durante i suoi viaggi lo porteranno ad acquisire uno stile inconfondibile. Tale doveva apparire anche il suo aspetto, visto che le cronache ci riportano storie di un uomo stravagante, solito farsi accompagnare da animali domestici quali il tasso, senza minimamente preoccuparsi di ciò che la gente avrebbe detto di lui. Del resto, che fosse un personaggio che poco si curava di come l’avrebbero etichettato è ben evidente dal suo soprannome – il “Sodoma” – che lui addirittura usò per firmare le sue opere. Quando fu chiamato ad affrescare l’oratorio di Siena, egli era da poco rientrato da Roma, dove aveva collaborato ai progetti degli affreschi delle Stanze Vaticane e aveva decorato alcuni ambienti della Villa Farnesina, commissionata del banchiere senese Agostino Chigi.

Il Beccafumi invece è un artista senese a tutti gli effetti, facendosi portavoce di una cultura artistica rinnovata che la città sventolava orgogliosamente. Sembra egli avesse preso il soprannome dal cognome del proprietario del podere – Lorenzo Beccafumi – dove il padre lavorava; il suo nome di battesimo era invece Domenico di Pace. Vedendo le doti artistiche del giovane, Lorenzo decise di prendersi cura di Domenico, offrendogli la possibilità di studiare. Quando ricevette l’incarico per affrescare l’oratorio bernardiniano, Beccafumi non era noto come il suo rivale piemontese Sodoma, ma la sua cifra stilistica era già piuttosto definita, come dimostrò con la serie di citazioni classiche nelle architetture di fondo delle scene, i suoi volti indefiniti e la grazia e l’eleganza che lo contraddistinsero sin dall’inizio; più avanti egli svilupperà una modulazione chiaroscurale che si può considerare tenebrosa e fiabesca allo stesso tempo.

Le scene qui rappresentate sono nove compresa la pala d’altare.

Quelle ad opera del Sodoma sono: la Presentazione al Tempio, la Visitazione, l’Assunzione e la sublime Incoronazione della Vergine con san Tommaso che riceve la Sacra Cintola. Del Beccafumi invece, abbiamo lo Sposalizio della Vergine, la Morte della Vergine e la pala d’altare con la Vergine e Santi. Un terzo artista completa questo ciclo ed è Girolamo del Pacchia – pittore senese che visse fra Quattro e Cinquecento affiancando i due già citati colleghi e assorbendo da loro molto di questo mestiere – che qui esegue delle scene ben riconoscibili, rispetto a quelle degli altri due artisti, ovvero la Natività della Vergine – dalla marcata connotazione domestica – e l’Annunciazione.

Il Museo Diocesano E d’Arte Sacra

Dall’altra parte del piano si accede al Museo Diocesano d’Arte Sacra, ambiente ricco di opere d’arte appartenenti alla scuola senese fin dagli esordi.

Cercando di porre l’attenzione sulle opere prodotte nel secolo oggetto della nostra collana, non si può non citare San Giorgio che uccide il drago, dipinto di Sano di Pietro del 1444 e qui conservato.

Che la commissione di questa pala sia della famiglia Tolomei è lampante se si osserva il drago, il quale ha sia il corpo che le ali tempestati di mezze lune, emblema della casata senese. La famiglia commissionò l’opera per un altare posto all’interno della Chiesa di san Cristoforo, quella stessa chiesa che ebbe un ruolo fondamentale nella storia di Siena in quanto sede di riunione del governo cittadino prima della costruzione di Palazzo Pubblico nel XIV secolo.

Sano di Pietro è un artista operante nel pieno Quattrocento, particolarmente attivo a Siena, con una produzione vasta, ancora visibile in molte chiese e musei cittadini.

Sempre in questo livello non possono sfuggire al vostro sguardo la Madonna del latte, scultura di Antonio Federighi – artista protagonista nel rinnovamento quattrocentesco del Duomo. Altra opera da ammirare qui è la Pietà lignea, ricavata da un solo tronco, di Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, un artista che amava firmarsi come pittore quando scolpiva e come scultore quando dipingeva. Tra le tante opere da lui eseguite al Santa Maria della Scala dipinse un affresco nel Pellegrinaio, realizzò per intero la Arliquiera e forgiò il Cristo Risorto bronzeo posto sull’altare della Chiesa della Santissima Annunziata. L’ultima opera sulla quale è necessario porre l’attenzione in merito al Quattrocento senese è l’Annunciazione di Matteo di Giovanni, datata 1455-64.

Siamo di fronte ad un’opera realizzata oltre un secolo dopo quella celebre di Simone Martini, capolavoro del 1333 commissionata per la Cattedrale di Siena e oggi conservata – ahimè – presso la Galleria degli Uffizi, eppure ne emula in tutto e per tutto la forma tanto da sembrarne una copia.
Matteo di Giovanni è noto a Siena anche con il soprannome di Matteo delle Stragi, perché sarà autore di ben quattro opere aventi come tema la Strage degli innocenti, delle quali tre sono conservate in città (Duomo, Santa Maria della Scala e Santa Maria dei Servi) e una si trova presso il Museo di Capodimonte a Napoli.

È interessante constatare come questa pala, così legata al gusto gotico e al decorativismo trecentesco, sia opera di Matteo di Giovanni, artista di solito molto attento alle novità rinascimentali. Grazie all’ottimo stato di conservazione, possiamo dedurre che l’Annunciazione di Simone Martini avesse la stessa carpenteria (la struttura lignea che regge la pala) che vediamo in questa versione di Matteo di Giovanni, dal momento che il dipinto degli Uffizi ha avuto un rifacimentonell’Ottocento.

Con questo termina il capitolo dedicato all’oratorio di san Bernardino; qui ho riportato le opere ivi conservate appartenenti al XV secolo, ma la mia personale raccomandazione è quella di volgere lo sguardo anche agli altri capolavori presenti nel museo.


Testi a cura di Ambra Sargentoni (Ambra Tour Guide) Coordinamento editoriale: Elisa Boniello e Laura Modafferi

Foto: Archivio Comune di Siena, Leonardo Castelli, Grafica: Michela Bracciali

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