3.8 I mestieri dell’acqua
Lavandaie, bottinieri… mestieri estinti, o quasi, ma importanti per la città di Siena. Per secoli intorno alle fonti cittadine, sbocco degli importanti bottini senesi (i particolari acquedotti che fino al 1919 consentirono a Siena di avere acqua), si sono mosse persone che hanno svolto il proprio lavoro, spesso duro e faticoso. Le lavandaie, ad esempio, donne del popolo che per lavoro o per la propria famiglia, passavano intere giornate alle fonti a combattere con freddo, fatica e scarsità di acqua. Con loro le fonti sono state per secoli luoghi di socializzazione, animate da ciarle e battibecchi. Un mondo passato, oggi la voce delle fonti non esiste più.
Fonte Gaia
Per secoli la città di Siena dovette combattere con la carenza di acqua, dovuta all’assenza di fiumi o laghi significativi nei suoi dintorni. Nel 1334 il Governo dei Nove iniziò la costruzione del bottino maestro di Fonte Gaia, un condotto sotterraneo che, sfruttando la particolare composizione geologica del terreno senese, serviva alla raccolta e al trasporto dell’acqua piovana intercettata a qualche metro di profondità per una rete di cunicoli che arrivò a toccare oltre 12 km.
I bottini furono un’opera complessa, portata avanti da ingegneri e manovali privi di specializzazione diretti da esperti arrivati dalle miniere di Montieri o Massa Marittima, a loro volta istruiti da minatori di origine germanica. Il nome popolare di coloro che lavoravano nel sottosuolo era guerchi, derivato forse dai danni alla vista che i lavoratori subivano per la lunga attività nei cunicoli bui, ma molto più probabilmente guerchi non è altro che l’italianizzazione del termine tedesco werken, lavorare.
L’attività di tutti questi operai durò diversi anni e finalmente, nel 1343, i senesi videro zampillare l’acqua nella Piazza del Campo da quella che fu chiamata Fonte Gaia. La fonte fu rifatta completamente nel 1408-1419 dallo scultore Jacopo della Quercia e sostituita poi da una copia, alla metà dell’Ottocento, dello scultore Tito Sarrocchi.
Fonte di Follonica
Nascosta in una suggestiva vallata verde a ridosso delle mura, la fonte di Follonica deriva il suo nome dall’attività dei fullones, lavoratori che si occupavano di pestare i panni con urina, creta e nitrum per pulirli.
La fonte, costruita nel XIII secolo, era una delle più importanti di Siena ed aveva anche acqua abbondanti. La sua funzionalità fu però presto compromessa dal continuo smottamento della collina soprastante, che portò infine al suo interramento. Solo in tempi recenti la fonte è stata oggetto di un lavoro di scavo che ha portato alla sua leggibilità, rivelando anche resti di una decorazione a fasce bicrome.
Fonte Nuova
Il luogo in cui realizzare questa fonte fu scelto da Giovanni Pisano, Duccio di Buoninsegna e Sozzo di Rustichino alla fine del XIII secolo. La fonte è alimentata da un proprio bottino autonomo, che raccoglie e incanala l’acqua fino alla zona fuori Porta Camollia.
La fonte è caratterizzata dalla presenza di due vasche: una superiore che serviva per gli usi domestici, ed una inferiore, che era usata dalle lavandaie per la pulizia dei panni.
Queste seconda vasca si presenta con i bordi inclinati, che dovevano essere funzionali allo sfregamento dei panni.
Il lavoro delle lavandaie era lungo e duro, soprattutto in inverno, ma andare alla fonte per lavare i panni era anche uno dei pochi momenti di socializzazione libera per le donne, anche se spesso questo sfociava in alterchi e battibecchi.
Fonte di Pescaia
Questa fonte, esterna alle mura cittadine, fu costruita nel 1247, come attesta una lapide nella sua facciata. Con una parte dell’acqua, derivante dal suo bottino, alimentava le peschiere nella valle omonima, nelle quali venivano allevati i pesci per il consumo cittadino. Oggi la fonte ospita il Museo dell’Acqua che racconta, in maniera multimediale, la storia dell’acqua e dei bottini a Siena.
Grazie a questo particolare museo, è possibile comprendere il funzionamento del complesso sistema dei bottini senesi. La rete dei cunicoli sotterranei di questo acquedotto, che arrivò ad un’estensione di circa 25 km, necessitava di una costante manutenzione a causa della forte presenza di calcare all’interno dell’acqua, che veniva raccolta per percolazione attraverso il terreno. Il calcare tendeva ad ostruire il gorello, la conduttura dell’acqua all’interno del bottino, che doveva quindi essere ripulito a mano con molta frequenza.
Per svolgere questo importante lavoro c’erano i bottinieri, che dovevano occuparsi anche della manutenzione dei cunicoli e del loro consolidamento, essendo essi scavati nell’arenaria.
Il mestiere del bottiniere era molto importante per la vita della città e ancora oggi questo storico acquedotto è funzionante come nel medioevo. Per questo esiste ancora una piccola squadra di bottinieri che si occupano della manutenzione di fonti e cunicoli.
I bottini, pur se non più utilizzati per la loro acqua, sono oggi oggetto di visite per piccoli gruppi con il supporto dell’Associazione La Diana, che da anni, in collaborazione con il Comune di Siena, ne valorizza la conoscenza.
Testi a cura di: Martina Dei
Coordinamento editoriale: Elisa Boniello e Laura Modafferi
Foto: Achivio Comune di Siena, Mauro Guerrini e
Sabrina Lauriston
Grafica: Michela Bracciali