Strada di Montechiaro

7.6 Nel cuore del Chianti

«La Via Vallerozzi sembrava una scalinata di tetti larghi fino all’antica rocca dei Salimbeni; il cui sprone era coperto dall’ombra nera di un abete minore. Di là da questa rocca, non si sa dove, la cima della Torre; e, più discosto, la cupola della Madonna di Provenzano, quasi rinchiusa dentro un’altra spianata di case. Mentre i tetti delle tre vie, che s’annodavano insieme a Porta Ovile, scendevano, pendendo tutti da una parte; come se le case non potessero stare dritte».

(F. Tozzi, Con gli occhi chiusi)

Non sappiamo se ciò che scrisse Guido Piovene di Siena: “Un’opera d’arte unica, che non ha paragone nel nostro mondo occidentale”, sia un’iperbole. Di certo, quando percorriamo la strada che da Porta Ovile conduce a Porta Pispini rimaniamo colpiti dagli scorci sulla città che, come ristretta dentro l’ultima cinta muraria, si affaccia prepotentemente sulla campagna così tanto prossima.

Porta Ovile

Porta Ovile

Ⓒcredit Jordiferrer

Di una Porta di Ovile parlano già documenti di inizio Duecento anche se, quasi sicuramente, si trattava di un accesso che doveva trovarsi più in alto rispetto all’attuale che, dal canto suo, dovette essere edificato a protezione della vallata di Ovile. Tra il 1231 e il 1246 si parla espressamente di una «porta nuova dal piano della fonte d’Ovile». Su ordine del Consiglio Generale, preoccupato dai segnali di guerra provenienti da Firenze, la porta fu più volte fortificata, rinforzata e armata intorno alla metà del secolo, così come il suo rivellino, di cui era già dotata; nel 1258 fu anche chiusa con travi e tavole. L’arco si presenta a tutto sesto e sul fronte dell’ingresso spiccano gli stemmi della Balzana, del Leone del Popolo e il trigramma di San Bernardino. L’antemurale odierno, invece, è di epoca quattrocentesca. Nel 1929 fu eliminato il restringimento sotto l’arco interno, di intralcio soprattutto per il passaggio degli autobus pubblici.

Superata Porta Pispini, ci tuffiamo in discesa lungo via Aretina fino a raggiungere il fondovalle, in località Due Ponti. Qui prendiamo la Strada di Pieve al Bozzone che per qualche chilometro è tutto un susseguirsi di strappi in salita e impegnative discese. Poi, laddove inizia il tratto sterrato, la strada prende a salire dolcemente, costeggiata da casolari magistralmente ristrutturati, qualche villa padronale e rare case coloniche in rovina, testimonianze, queste ultime, di un mondo che a metà Novecento fece sofferte scelte di lasciare la campagna per la città.

Ritrovato l’asfalto, si prende a destra e poi a sinistra seguendo le indicazioni per Pievasciata. E’ una strada bellissima che si mantiene in quota con scorci panoramici sia su Siena sia sulle prime colline del Chianti che replicano stupore e beatitudine. Ci troviamo di fronte ad una geometrica alternanza di spazi coltivati ed aree boschive che conferisce al panorama quel tratto caratteristico di questa terra eletta a patria del vino e dell’olio.

Oltrepassiamo il bivio che porta a Geggiano (bellissima la Villa Bianchi Bandinelli), superiamo il borgo di Catignano, oggi realtà ricettiva, la deviazione che indica i Ruderi del Castello di Cerreto e, procedendo in leggera salita, raggiungiamo il piccolo centro di Pievasciata, dove è da segnalare la Pieve di San Giovanni Battista, di chiaro impianto romanico. E’ il momento di fare pausa nel nostro percorso.

La Villa di Geggiano, il Castello di Cerreto, la Pieve di San Giovanni Battista a Pievasciata.

ⒸAntonio Cinotti

Sia la Villa di Geggiano, di proprietà della famiglia Bianchi Bandinelli dal 1527, risalente almeno al XIII secolo, che il prezioso giardino, devono il loro aspetto attuale ad un rifacimento della seconda metà del Settecento. Dichiarati monumento nazionale, rappresentano un complesso storico e paesaggistico molto raro per l’organica conservazione di arredi e decorazioni che riportano il visitatore nell’atmosfera di una elegante casa di villeggiatura settecentesca. La villa conserva alcune stanze nelle qua   li rimane intatto l’arredamento originale in stile “veneziano rustico” con motivi ornamentali tratti dalle Carte di Francia e dalle stoffe Toile de Jouy che rivestono le pareti. Nel giardino, tra cipressi secolari, siepi di bosso e centenarie piante di limone in vaso, si trova un teatro all’aperto, o “di verzura”, munito di due boccascena ornati di statue, scenario idilliaco per concerti di musica classica. Geggiano è stato il set utilizzato da Bernardo Bertolucci per il noto film “Io ballo da sola” e da altre produzioni internazionali per la realizzazione di fiction TV, spot pubblicitari e foto di moda.

Tutt’altra atmosfera si respira quando giungiamo al sito del Cerretaccio. Suggestivo l’ingresso con un arco in pietra, un tempo entrata principale nel castello di Cerreto Ciampoli, conosciuto fin dal 1087 che per secoli, con alterne fortune, difese in quest’area i confini della Repubblica senese (espugnato nel 1232 dall’esercito fiorentino, tornò in possesso di Siena nel 1348). Data la posizione, il Cerretaccio è stato anche luogo di rifugio di briganti ed esiliati senesi e per questo distrutto dalla stessa Siena nella prima metà del XVI secolo. Ancora oggi risulta evidente la trasformazione del complesso in una vera e propria fortezza. La torre del cassero, anche dopo l’abbattimento, ci lascia intravedere le fondamenta e i grossi spezzoni crollati al suolo che costituiscono uno degli scorci più suggestivi che la visita al castello può regalarci. L’importanza della fortificazione è attestata anche da una seconda cinta di mura su cui si innesta una rampa di scale in pietra realizzata per accedere alla strada intagliata sul piano di roccia lungo il lato nord del complesso.

La Pieve di San Giovanni Battista a Pievasciata è una vera sorpresa per i visitatori. La facciata, romanica, si caratterizza anche per la presenza di una torre che le dà un particolare prospetto. Varcarne la porta è come varcare la soglia del tempo, perché se l’esterno, nella sua severa imponenza, è in ottimo stato, l’interno è semi crollato. Eppure si capisce che, in origine, la chiesa doveva avere più di una navata; si vedono ancora i settecenteschi altari barocchi e le pareti completamente affrescate con disegni geometrici in cui prevale un rosso acceso. Di ciò che rimane dopo l’abbandono, segnaliamo una Madonna con bambino a dimensione naturale, un angelo che guida per mano, anche lui, un bambino, il maestoso e decorato pulpito ligneo, sulla parete di sinistra, nella volta le decorazioni policrome, dorate a imitazione dell’arte tardoantica e alto-medievale. L’edificio e i lacerti di ciò che lo ornava testimoniano di un luogo di culto partecipato e amato da chi lo frequentava. I locali adiacenti della pievanìa, che ospitavano la canonica, alludono ad una dimensione di contiguità fra vita “ordinaria” quotidiana e vita spirituale. Nel corridoio che porta alle case di chi abitava nel circuito murario all’interno della pieve c’è un forno che sembra ci faccia sentire ancora gli odori del pane sfornato, della carne che cuoce, della quotidianità di un luogo tanto mistico quanto vissuto. Nel cortile c’è addirittura un piccolissimo abitacolo, chiaramente la cuccia di un cane, ornato da una croce.

ⒸSaliko

Il nome Pievasciata di questa che è una sede pievanile fra le più antiche della Berardenga risale al 1086 ed è una contrazione di «Plebs Sciatae», dove “sciata” potrebbe quasi certamente essere una derivazione di “ischiata”, da Ischia, “iscla”, che è una corruzione di “insula”. Ma che ci fa un’isola in mezzo al paesaggio del Chianti? Isola non si intende, in questo caso, nel senso di terra emersa in mezzo al mare, ma di terra che rimane all’asciutto durante le esondazioni di un vicino fiume (Isola d’Arbia, Ischia d’Ombrone, ad esempio). E qui siamo nel regno dell’Arbia e dei suoi corsi d’acqua correlati.

Pievasciata tracciò la frontiera fra i territori di Siena e Firenze; un recente studio di Carlo Bellugi postulò la (non peregrina) possibilità che la battaglia di Montaperti avesse visto come scenario più Pievasciata che la collina sulla quale sorge, a Montaperti, il cippo commemorativo dell’avvenimento. Di certo, risulta che la sera del 3 settembre 1260 i guelfi erano qui accampati, per cui è possibile che lo scontro possa essere iniziato in quest’area e sia finito a Montaperti.

Come che sia, Pievasciata è intrisa della storia del territorio senese e vedere un edificio come l’omonima pieve ridotta in così pesante stato di abbandono (ma è proprietà privata) benchè inserita all’interno di un contesto così pregevole qual è il territorio provinciale, non fa bene allo spirito.

Ci troviamo, infatti, nel cuore dell’area di produzione del Chianti Classico Gallo Nero, a cavallo dei comuni di Castelnuovo Berardenga e Gaiole in Chianti.

Parco delle Sculture del Chianti

ⒸHamilton Haywood

La direzione da seguire è quella che indica Vagliagli e Parco Sculture del Chianti, una singolare e preziosa mostra permanente all’aperto, ricca di sculture contemporanee. Il parco, inaugurato nel 2004, ospita 26 istallazioni opera di artisti di pregio internazionale, provenienti dai cinque continenti che, inserendo le loro creazioni in un paesaggio così suggestivo, hanno messo alla prova la propria creatività ed il proprio stile, inserendoci le loro particolari e imponenti creazioni. Il visitatore, immerso in un ambiente naturale splendido, può confrontarsi con produzioni artistiche realizzate con materiali diversi quali il ferro, il bronzo, il granito, il marmo, il vetro e vederne l’impensato effetto armonico.

Chianti, Eroica E Strade Bianche

Chianti senese

Bici d’epoca e Chianti. Strade bianche e Chianti. Suggestioni di un “ciclismo d’altri tempi” e Chianti. L’Eroica nasce a Gaiole in Chianti nel 1997 per la volontà sognatrice del suo ideatore, Giancarlo Brocci, affiancato da pochi altri idealisti i quali vollero legare l’amore per la bicicletta ad una cultura che esaltasse temi e contenuti non effimeri, basati sulla conservazione e la valorizzazione delle strade bianche quale identità, non scontata, di un gesto atletico svincolato dalla competitività.

Da subito l’Eroica divenne un connotato forte del Chianti e più in generale del Senese, mutuando una cultura che mirava a conservare e valorizzare una terra così ben esaltata dal cicloturismo. Oggi possiamo dire che questa scommessa è stata vinta a tal punto che l’Eroica ha partorito nei più diversi angoli del mondo altrettante “Eroiche” e una gara ciclistica world tour – Strade Bianche – che si corre a marzo e che si è imposta a livello mondiale come la “classica del nord più a sud d’Europa”.

La strada diventa ora sterrata e sale pigramente fino al bivio che indica Pieve a Bozzone. Il territorio è di una bellezza cristallina, i panorami si allungano ad est fin oltre i Monti del Chianti, risalgono le colline, scendono verso i fondovalle, in un trionfo di oliveti e vigneti. Pedalando lentamente e con intensità spirituale, ci rendiamo conto del perché il territorio del Chianti è così apprezzato e non solo per il suo vino. Qua e là è punteggiato di castelli, case un tempo coloniche oggi ristrutturate con assoluta maestria, aziende agrituristiche e minuscoli borghi collegati tra loro dal reticolo di strade sterrate che si dipanano in ogni dove e lungo le quali il linguaggio della religiosità popolare si manifesta curva dopo curva con piccoli oratori, chiesette, croci di legno, tabernacoli, madonnine. Una religiosità figlia di una società di “uomini e donne qualunque” che abitavano una terra faticosa, che fino a qualche decennio fa era “lontana”, chiusa in se stessa.

ⒸLigaDue

Continuiamo a pedalare sullo sterrato fino all’antico Castello di Borgo Scopeto, come indica un cartello stradale, oggi relais e cantina rinomati, per proseguire in discesa marcata verso la frazione di Santa Margherita-La Suvera e arrivare a Pieve al Bozzone. A Siena mancano ormai pochi chilometri.

Borgo Scopeto

Borgo Scopeto, come molti insediamenti della zona ci riporta all’anno Mille. Il suo nome deriva dall’abbondante presenza di erica scopaia, con la quale si producevano le scope. Nato come fortificazione voluta da Siena come difesa da eventuali assedi, viene conquistato dai fiorentini durante il periodo di guerre tra Siena e Firenze. Dal Trecento all’Ottocento è stato di proprietà della famiglia Sozzini, una nobile dinastia senese riformista (basti pensare ai suoi più famosi esponenti, i teologi Alessandro e Fausto), che lo trasformò in castello. Alla torre principale si aggiunsero, nel tempo, altri complessi, quali la villa padronale, le stalle, le case dei contadini, la cappella e la cantina, trasformando la proprietà in un vero e proprio villaggio e fiorente azienda agricola, destinata alla coltivazione della vite e dell’olivo. Nel Seicento venne creato un giardino, detto Roccolo, adibito all’arte dell’addestramento dei falchi.

I Comuni di Terre di Siena