Maestà di Simone Martini, Palazzo Pubblico Siena

8.1 La via Mariana

Il culto mariano e i santuari cittadini

Il rapporto di Siena con la Vergine Maria è stato e continua ad essere un filo conduttore nella storia della città. Il significato della profonda devozione che da tempi remoti ha segnato la vita di questo luogo è legato al ruolo di Maria nella storia della salvezza. La comunità civile, che si identificava pienamente con la Chiesa, vedeva in Lei l’immagine di se stessa, il segno di un’umanità amata da Dio e da Lui salvata. Già prima del X secolo, alla Madonna era intitolato il luogo dove sorge l’odierna Cattedrale, ricordato nei documenti medievali come il Planum Sanctae Mariae. Dal XII secolo Maria rappresenta il simbolo stesso del nascente Comune cittadino, tanto che le donazioni di terre e sottomissioni di castelli a favore di Siena si effettuavano in onore della Vergine, come è attestato dalla formula che si ripete identica negli atti dell’epoca: «Ecclesiae S. Mariae et populo Civitatis Senensis» (Alla Chiesa di Santa Maria e al popolo della Città di Siena). Dagli stessi documenti, apprendiamo inoltre che il Comune rendeva obbligatoria ai Signori delle terre sottomesse la donazione annuale di ceri in occasione della festa dell’Assunta, ribadendo in tal modo la volontà di affidamento alla Madonna, protettrice della città. Tale cerimonia continua a ripetersi ancora oggi con il corteo dei Ceri e dei Censi, che ha luogo ogni anno alla vigilia dell’Assunzione, in cui rappresentanti, oggi del Comune e delle Contrade, portano in Duomo ceri da offrire alla Celeste Patrona.

Il legame indissolubile tra Siena e la Vergine ebbe la sua consacrazione definitiva nel 1260, anno della celebre battaglia di Montaperti, in cui i senesi piegarono le truppe fiorentine, militarmente più forti. Alla vigilia dello scontro, i cittadini si riunirono in Duomo a pregare la Vergine, offrendoLe le chiavi della città e invocando la Sua protezione. D’altra parte, l’affidarsi a Maria non deve essere considerato come un improvviso slancio dovuto al timore delle truppe nemiche, ma come la naturale evoluzione di un sentimento condiviso e già radicato nella popolazione inurbata duecentesca.

All’indomani della vittoria di Montaperti, il pittore fiorentino Coppo di Marcovaldo, fatto prigioniero dai Senesi in seguito alla battaglia, fu costretto a riscattarsi dipingendo per Siena una tavola raffigurante la Madonna in trono, attualmente conservata nella basilica dei Servi, uno dei poli mariani della città. Nel frattempo, gli statuti cittadini lodavano Maria come Signora di Siena e si cominciarono a coniare monete recanti l’iscrizione «Sena vetus civitas Virginis» (Antica Siena, città della Vergine); i sigilli della Repubblica apposti su ogni documento presentavano l’immagine della Madonna col Bambino, accompagnata dalle parole «Conservi la Vergine l’antica Siena che lei stessa rende bella»: la devozione nei confronti di Maria divenne segno di identità culturale.

Nel corso dei secoli, la venerazione dei Senesi per la Madre di Dio non si è mai sopita. Verso la fine del Cinquecento, in periodo di peste e carestia, le autorità cittadine si recarono in uno dei quartieri più malfamati di Siena, di fronte ad una veneratissima immagine in terracotta della Madonna e le fecero voto di costruire una grande chiesa, l’odierna Insigne Collegiata di Santa Maria in Provenzano. In Suo onore, a partire dalla metà del ‘600, ogni 2 luglio, festa titolare della Collegiata, si corre il Palio in Piazza del Campo, al termine del quale la contrada vittoriosa si riversa festante nella chiesa per cantare il cosiddetto “Te Deum”, che in realtà è la laude mariana “Maria Mater gratiae”, in segno di gratitudine alla Vergine per la vittoria.

Nel 1944, all’epoca del passaggio del fronte durante la seconda Guerra Mondiale, le chiavi di Siena vennero di nuovo offerte alla Vergine, rinnovando quella consacrazione a Maria che era stata sancita ben sette secoli prima, alla vigilia della battaglia di Montaperti e rinnovata in diverse occasioni di imminente pericolo.

Percorrendo le strade della città, capita di imbattersi in numerosi tabernacoli viari dedicati alla Madonna. L’8 settembre di ogni anno, festa della di Lei natività, i bambini delle diciassette Contrade fanno a gara ad abbellire con i disegni e i festoni più belli il tabernacolo presente nel loro rione. E’ questa una tradizione molto cara ai Senesi, che contribuisce ancora oggi a rendere sempre vivi l’amore e la devozione per la loro Protettrice.

La Cattedrale di Santa Maria Assunta

Fulcro e cuore spirituale della città, la Cattedrale è un inno di gloria alla sua Regina. Essa è la chiesa madre di tutta l’Arcidiocesi senese, la chiesa episcopale dove appunto si trova la “cattedra” della presidenza liturgica dell’Arcivescovo Metropolìta, motivo per cui è detta anche la “Metropolitana”.

All’ingresso, sul pavimento, un’iscrizione latina recita: «Castissimum Virginis templum caste memento ingredi» (Ricordati di entrare con devozione in questo devotissimo tempio della Vergine). Varcare la soglia di tale edificio non è dunque un semplice passaggio fisico, ma l’inizio di un cammino spirituale. Prima di essere un mirabile scenario d’arte, la Cattedrale è infatti la casa di Dio e del suo popolo, che qui vive i momenti fondamentali della sua storia. Qui è venerata Maria Santissima, la prima donna che ha sperimentato gli effetti della salvezza: Immacolata e senza peccato, Assunta in Cielo a condividere il destino glorioso del Figlio, la Vergine è l’immagine per eccellenza della Chiesa, è il primo tempio di Dio, una realtà umana che “contiene” Cristo e lo partorisce nel tempo, offrendolo agli uomini. Le opere custodite in questo tempio, alcune delle quali annoverate tra più grandi capolavori della storia dell’arte mondiale, sono prima di tutto strumenti che da secoli accompagnano chiunque entri al suo interno, aiutandolo a ripercorrere la storia della salvezza.

Già la facciata, realizzata nella sua parte inferiore dal maestro Giovanni Pisano tra il 1284 e il 1297, comunica al visitatore che sta per accedere ad uno spazio unico, nel quale trovano realizzazione le predizioni degli antichi profeti, scolpite sui cartigli mostrati dalle mirabili statue. Ispirate alle cattedrali gotiche d’Oltralpe, esse rappresentano l’elemento di maggior rilievo della facciata, costituendo una novità assoluta nella storia dell’arte italiana: sebbene prima di allora l’architettura religiosa della penisola avesse accolto molto spesso la scultura, questa era stata relegata a decorare capitelli e a riprodurre tutt’al più brevi cicli narrativi o singole statue negli architravi e nelle lunette dei portali. Le sculture di Giovanni, al contrario, costituiscono un vero e proprio ciclo statuario monumentale, che risponde ad un concetto unitario e ad un programma iconografico preciso, volto all’esaltazione e alla glorificazione della Vergine: i personaggi rappresentati sono Profeti, Patriarchi, Sibille e Filosofi, tutte figure cioè che annunciarono in tempi remoti la venuta della Madonna e la sua divina maternità. Collocate davanti a nicchie-tabernacolo o al di sopra di mensole, esse dialogano con lo spazio in tutta la loro evidenza plastica e l’architettura è concepita per far loro da sfondo. Per ragioni conservative, nel corso del XIX e del XX secolo le sculture originali sono state sostituite da copie e si trovano attualmente esposte nel Museo dell’Opera della Metropolitana.

È rimasto invece nella sua collocazione primitiva l’unico rilievo di carattere narrativo della facciata, ovvero l’architrave del portale maggiore, raffigurante Storie dell’Infanzia della Vergine, opera di Tino di Camaino databile al 1297-1300 circa. Fu il padre di quest’ultimo, Camaino di Crescentino, a portare a termine entro il 1317 la parte superiore della facciata, conferendole l’odierno aspetto tricuspidato; al centro si apre un rosone occupato dalla vetrata cinquecentesca con l’Ultima Cena e incorniciato da nicchie contenenti busti di Apostoli e Profeti. Le tre cuspidi ospitano altrettanti mosaici, realizzati nel 1878 su disegno di Alessandro Franchi, che raffigurano, a sinistra, la Presentazione di Maria al tempio, a destra la Natività di Gesù, e al centro l’Incoronazione della Vergine.

Nel 1958, infine, venne eseguito il nuovo portale maggiore, fuso in bronzo da Enrico Manfrini, raffigurante la Glorificazione di Maria.

Appena entrati in Cattedrale, lo sguardo non può che essere rapito dalla vetrata circolare collocata al vertice dell’abside, opera straordinaria realizzata tra il 1287 e il 1289-90 su disegno di Duccio di Buoninsegna (attualmente sostituita da una copia). I tre pannelli centrali raffigurano la Dormitio Virginis, ovvero il transito di Maria da questa terra, l’Assunzione e l’Incoronazione della Vergine. La vetrata originale, restaurata nel 2003 e da allora conservata all’interno del Museo dell’Opera della Metropolitana; è un’opera di assoluto rilievo, per l’altissimo livello qualitativo che la caratterizza e per il suo eccezionale stato di conservazione, che la rende una delle testimonianze più antiche di arte vetraria ad oggi conosciute. Duccio non si limitò alla sola ideazione del disegno (cui dettero forma uno o più maestri vetrai) ma, come si è potuto osservare in occasione del restauro, alla sua mano devono essere certamente attribuite le raffinate finiture a grisaglia realizzate a pennello sulla vetrata, che conferiscono mirabili effetti chiaroscurali alle figure.

Chiunque fosse entrato in Cattedrale prima del 1506, oltre che dalla vetrata, sarebbe stato immediatamente colpito dalla stupenda Maestà realizzata per l’altare maggiore sempre da Duccio di Buoninsegna, anch’essa oggi conservata nel vicino Museo dell’Opera della Metropolitana. Il 9 giugno 1311, dopo una solenne processione cui partecipò tutto il popolo in festa, l’opera venne collocata in Cattedrale; i cronisti dell’epoca la definirono «la più bella tavola che mai si vedesse e facesse» e i Senesi tutti videro lì espressa la loro identità.

La pala, dipinta su entrambi i lati, è dominata frontalmente dalla rappresentazione della Madonna in trono col Bambino, attorniata dalla corte celeste di angeli e santi. Tra questi sono raffigurati anche i quattro protettori della Chiesa locale: Ansano, Savino, Crescenzio e Vittore. Inginocchiati in primo piano, essi rappresentano gli intermediari tra il popolo senese e la Vergine, coloro che intercedono presso di Lei a beneficio della città. Il rapporto dei cittadini con la loro protettrice è ribadito dall’iscrizione sul gradino del trono che implora da Maria pace per Siena e vita per Duccio, che con questa mirabile opera volle rendere gloria alla Regina di Siena.

Imponente per le sue dimensioni, il polittico catturava l’attenzione del visitatore sin dalla soglia di ingresso del Duomo, grazie alla luce che, filtrando dalle tante aperture, faceva risplendere l’oro del fondo. In tal modo, lo sguardo andava immediatamente al centro liturgico della chiesa, l’altare dove si celebra la divina Eucaristia. La Maestà è perciò una pala d’altare nel senso pieno del termine: guida i fedeli ad immedesimarsi nel Mistero che viene celebrato. Il lato frontale mostra la Vergine e i Santi che vengono invocati nella preghiera eucaristica ma l’imponente figura della Regina del Cielo, che guarda amorevolmente e invita a osservare il Bambino Gesù, è segnata anche dal dolore per la passione a cui è destinato il Figlio.

Per arrivare all’altare è però necessario percorrere la strada umana e divina, illustrata dal pavimento a commessi marmorei, un’opera straordinaria e unica nel suo genere: nessun’altra grande chiesa della Cristianità può vantare una creazione artistica paragonabile a questa, per complessità di impianto e qualità esecutiva. In accordo con la visione medievale, secondo cui ogni grande chiesa era un luogo per entrare nella sapienza, perfino quella che era la zona destinata al calpestio venne utilizzata per dare forma ad un ‘percorso per immagini’ che, partendo dai tempi anteriori al Cristianesimo, guida il fedele fino alla Rivelazione.

Nonostante fosse stato iniziato nella seconda metà del Trecento e portato a termine quasi due secoli dopo, il pavimento mostra un’ideazione unitaria e organica. Alla sua realizzazione parteciparono alcuni tra i maggiori artisti senesi o operanti a Siena: Domenico di Niccolò dei Cori, Domenico di Bartolo, Matteo di Giovanni, Neroccio di Bartolomeo, il Pinturicchio, Domenico Beccafumi. Essi fornirono i disegni preparatori per le cinquantasei tarsie che lo compongono, realizzate poi da maestri artigiani del marmo con la tecnica del commesso marmoreo e del graffito. Il pavimento è stato sottoposto nel tempo a molteplici restauri e rifacimenti, resi necessari dalla consunzione cui, per sua stessa natura, è stato costantemente sottoposto; proprio per preservarlo dall’usura, è stato stabilito di coprirlo per gran parte e di esporlo completamente ai visitatori solo per alcuni periodi dell’anno.

All’inizio del transetto destro della Cattedrale si apre poi una cappella che rappresenta un santuario nel santuario, il più importante luogo di culto mariano della Città, dove è custodita l’icona più celebre e importante per i Senesi: la cosiddetta Madonna del Voto, venerata col titolo di Advocata Senensium (Avvocata dei Senesi), opera enigmatica e misteriosa, probabilmente parte di una pittura più grande, attribuita al duecentesco Dietisalvi di Speme, che l’avrebbe realizzata negli anni ’60 del secolo XIII. Si chiama Madonna del Voto poiché da secoli i Senesi si rivolgono a Lei nei momenti di difficoltà, personale o comune, come testimoniano i tantissimi ex voto appesi alle pareti della cappella, donati alla Vergine dai fedeli in segno di ringraziamento.

Secondo la tradizione, di fronte a questo dipinto il popolo avrebbe fatto voto di consacrarsi a Maria prima della battaglia di Montaperti (1260), in cui i Senesi ebbero la meglio sulle superiori truppe fiorentine, portando la città al suo massimo apice. In realtà, il voto fu pronunciato davanti ad un’altra tavola più antica, raffigurante la Vergine in trono col Bambino, nota come Madonna dagli occhi grossi, realizzata nel secondo quarto del XIII secolo dal Maestro di Tressa e attualmente conservata presso il Museo dell’Opera della Metropolitana.

Nella seconda metà del Seicento, il Papa senese Alessandro VII, al secolo Fabio Chigi, decise da far realizzare l’attuale cappella, affidando i lavori al grande genio del barocco romano Gian Lorenzo Bernini. Questo stesso desiderio di voler assicurare all’immagine della Madonna un contesto sempre più nobile, è un segno tangibile della profonda e costante devozione dei Senesi nei confronti della Vergine.

Il Bernini progettò un sontuoso vano a pianta circolare, caratterizzato da una grande profusione di marmi. Il fulcro è costituito dall’altare: al centro, sostenuta da angeli in bronzo dorato che si stagliano su uno sfondo blu di lapislazzuli, colore che manifesta la divinità, si trova la Madonna del Voto.

Spedale di Santa Maria della Scala – Chiesa di Santa Maria Assunta

Il luogo in cui la fede e la carità del Vangelo si esprimevano concretamente nel servizio ai pellegrini, agli ammalati e agli orfani era l’antico Spedale senese, anch’esso intitolato alla Vergine. Posto davanti alla Cattedrale, dal XII secolo porta l’appellativo “della Scala”, proprio in ragione della sua collocazione di fronte alla gradinata della chiesa principale della città. Attestato già nel secolo XI, venne istituito dai canonici del Duomo di Siena e fu uno dei più antichi ospedali europei e dei primi xenodochi per l’accoglienza dei viandanti. Oggi, esaurite le sue funzioni sanitarie, è uno dei più importanti poli culturali della città, che si snoda in uno spazio vastissimo in cui è possibile ripercorrere una storia millenaria.

Gran parte del prospetto dello Spedale che si affaccia su Piazza del Duomo è occupata dal corpo della chiesa della Santissima Annunziata, edificata alla metà del Duecento, quando il Vescovo dell’epoca concesse alla comunità ospedaliera di avere un proprio oratorio. Sempre alla Vergine erano dedicate le Storie fatte affrescare lungo la facciata esterna della chiesa da Pietro e Ambrogio Lorenzetti e da Simone Martini, purtroppo andate perdute.

A ridosso del fianco destro della chiesa si trova la cappella della Madonna, edificata alla fine del Seicento, che conserva un ciclo di affreschi con episodi della vita di Maria, opera del pittore Giuseppe Nicola Nasini in collaborazione con il figlio Apollonio. Sull’altare è posta una tavola cuspidata, opera quattrocentesca di Paolo di Giovanni Fei, raffigurante la Madonna col Bambino attorniata da angeli.

Ulteriore segno dell’importanza della figura della Vergine nel contesto dello Spedale è l’affresco quattrocentesco di Domenico di Bartolo raffigurante la cosiddetta Madonna del Manto, oggi staccato e posto nella Sagrestia Vecchia, ma un tempo collocato nella cappella che faceva parte del primitivo ambiente di accoglienza, nonché nucleo più antico del complesso, denominato appunto cappella del Manto. La scena è dominata dalla Madonna che accoglie sotto al suo mantello sorretto da angeli uno stuolo di personaggi religiosi e laici inginocchiati ai suoi lati, in segno di protezione e misericordia.

Collegiata di Santa Maria in Provenzano

Luogo cardine del culto mariano è l’Insigne Collegiata di Santa Maria in Provenzano, una delle chiese più care ai senesi, santuario seicentesco innalzato per custodire la veneratissima scultura a mezzo busto in terracotta della Beata Vergine Maria, tuttora posta al di sopra dell’altare maggiore. Originariamente collocata in un tabernacolo all’aperto, lungo una via del quartiere di Provenzano, già nel corso del Cinquecento cominciarono ad essere attribuiti alla sacra immagine episodi miracolosi, il primo dei quali incominciò con una ‘disgrazia’: nel periodo in cui Siena era sotto il dominio spagnolo un soldato ubriaco sparò un colpo di archibugio contro l’immagine sacra, facendone rimanere intatti il volto e la testa, mentre l’arma scoppiò in faccia al soldato che morì sul colpo. Subito dopo l’episodio, l’immagine venne definita prodigiosa e i credenti cominciarono a giungere da ogni parte della città e della campagna senese per ricevere le grazie della Vergine.

Spesso la visita comportava il lascito di un ex voto, un oggetto dimostrativo della grazia ricevuta o desiderata; venivano offerte candele e oggetti in metallo raffiguranti cuori, ma anche bandiere e piccole immagini, ancora oggi conservate nella chiesa. Per il credente divenne indispensabile portare via una copia dell’immagine prodigiosa da collocare, in segno di protezione, sulle facciate dei palazzi e nelle zone rurali. La voce dei miracoli arrivò fino a Roma, a cui i pellegrini giungevano dalla Via Francigena, per poi espandersi in tutta Europa. La raffigurazione della Madonna di Provenzano si moltiplicò negli stendardi, nelle incisioni e nei dipinti, spesso accompagnata dalle figure di santa Caterina e san Bernardino, che insieme rappresentavano l’essenza della religiosità senese.

La devozione e il coinvolgimento popolare furono incrementati soprattutto dall’Opera di Provenzano, organo istituito per gestire il patrimonio della Collegiata, che impiegò la sacra immagine per importanti eventi rurali e cittadini: le rogazioni, processioni propiziatorie per la buona riuscita della semina, e le processioni per la Domenica in Albis, la prima domenica dopo la Pasqua. La prima volta che la Madonna uscì in processione per questa festività fu nel 1681, anno in cui la statuetta ricevette il dono dell’Incoronazione, concessa dal Capitolo di San Pietro in casi di culto eccezionali.

Ancora oggi, come si prese consuetudine dal 1656, il 2 luglio di ogni anno si corre il Palio in onore della Vergine di Provenzano, la cui immagine viene rappresentata sul drappo di seta conferito alla contrada vincitrice. Proprio nei giorni del Palio la collegiata diventa la chiesa di tutti i senesi e di tutte le contrade. La sera prima della corsa, il drappellone viene portato in corteo al suo interno, dove viene benedetto e rimane esposto tutta la notte alla luce delle candele. La mattina seguente, l’Arcivescovo con i sacerdoti delle diciassette contrade, chiamati correttori, celebra una messa solenne. La sera del tanto atteso 2 luglio, dopo la corsa svoltasi nella Piazza del Campo, il corteo in festa della contrada vittoriosa giunge in Provenzano e riempie la chiesa dei suoi contradaioli che, con il Capitano e il fantino, ai piedi dell’altare maggiore ringraziano la Vergine con il loro Maria Mater grazie, uno dei momenti più toccanti in cui il popolo di Siena esprime la propria religiosità.

L’edificio presenta un impianto sobrio e razionale, a croce latina, caratterizzato da pochi elementi architettonici in rilievo e da una facciata in travertino dalla forte spinta verticale. All’interno, il maestoso altare maggiore cattura lo sguardo con la sua grande ricchezza decorativa. Nella parte centrale è conservata la sacra scultura a mezzo busto in terracotta della Vergine, rivestita da una lamina ottocentesca in argento e pietre preziose. Al di sotto, le figure di san Bernardino e santa Caterina invitano i fedeli a raccogliersi in preghiera.

Basilica dei Servi di Maria

Edificata a partire dal XIII secolo, la basilica dei Servi di Maria è particolarmente cara ai senesi, per la devozione mariana che accomuna l’Ordine dei Servi e la stessa città di Siena. Tale Ordine fu fondato da sette Santi fiorentini che, dopo aver lasciato i loro beni e le loro famiglie, si ritirarono sul monte Senario, lontani da Firenze, per dedicarsi completamente alla preghiera e alla penitenza. Il loro esempio fu contagioso, tanto che il modello di vita dei Serviti iniziò a diffondersi, giungendo anche a Siena nel 1250. Qui fu subito ben accolto: oltre alla vicinanza geografica con Firenze, luogo di fondazione, l’approdo fu naturale per il forte legame che la città ha sempre avuto con la Vergine. Una delle principali regole dell’Ordine stabiliva la dedicazione di ogni chiesa a Maria, ad eccezione di impedimenti particolari; nel caso senese la costruzione dell’edificio sacro nel luogo della più antica chiesa di San Clemente prevedeva di non dover sottostare a tale regola, ma i Serviti vollero comunque intitolarlo a Maria, lasciando il nome di San Clemente alla sola parrocchia, per ribadire ancora una volta la centralità della figura della Vergine.

L’edificio si presenta esternamente privo di ogni decorazione, rispondendo così all’esigenza dei nuovi ordini mendicanti di una semplicità di messaggi e di forme. Al suo interno sono racchiuse opere di grande valore, sia artistico che spirituale, dedicate per la maggior parte a Maria, tra le quali spicca la Madonna del Bordone, icona ancora bizantineggiante dipinta nel 1261 da Coppo di Marcovaldo, un tempo collocata sopra all’altare maggiore.

Seguendo cronologicamente la vita della Madre di Dio si può tracciare un percorso di lettura delle opere pittoriche conservate in questo tempio, a partire dalla bellissima tela raffigurante la Nascita della Vergine, collocata nella seconda cappella a destra ed eseguita nel 1625 dal pittore senese Rutilio Manetti. Maria vive una vita semplice fino alla prima giovinezza, segnata da un evento che cambierà per sempre la sua esistenza e il corso della storia: l’annuncio della nascita di Gesù, rappresentato da Francesco Vanni, alla fine del XVI secolo, in un dipinto collocato nella prima cappella a sinistra. La fanciulla, intenta nella lettura, riceve la visita dell’Arcangelo Gabriele che le annuncia che presto concepirà e partorirà un figlio e lo chiamerà Gesù. In cielo, la figura di Dio Padre emerge dalle nubi squarciate. L’artista rappresenta lo stesso soggetto anche in altre due tele, collocate nel transetto ai lati dell’arco trionfale: a sinistra l’Angelo Annunciante e a destra la Vergine Annunciata. La profezia si compie e Maria dà alla luce Gesù in una stalla di Betlemme. Gli angeli annunciano l’evento ai pastori delle campagne circostanti, che accorrono ad adorare il Messia. L’Adorazione dei Pastori è rappresentata nella tavola realizzata nel 1404 da Taddeo di Bartolo e collocata nella prima cappella sinistra del transetto. La Madonna presenta il figlio a due pastori in atteggiamento di preghiera, mentre un cardellino su una roccia allude alla Passione a cui il bimbo è destinato per salvare gli uomini. Tornata a Nazareth, Maria si prende cura del figlio fino a quando Egli inizia la sua predicazione; in seguito gli è accanto nelle drammatiche sofferenze della Passione e vive, insieme agli Apostoli, gli straordinari momenti successivi alla Resurrezione fino alla Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo. I discepoli accompagnano fino al momento della dormizione la Madonna che, in seguito, viene accolta in Paradiso e incoronata da Gesù, a renderla così partecipe della propria regalità. Proprio l’Incoronazione, soggetto frequente nella pittura senese, è celebrata nella monumentale pala realizzata da Bernardino Fungai nel 1500, posta sull’altare maggiore, fulcro dell’intera chiesa.

Palazzo Pubblico – La Maestà di Simone Martini

Per comprendere appieno la profondità della devozione mariana dei cittadini senesi, oltre ai luoghi di culto, non possiamo fare a meno di soffermarci sull’altra domus Virginis: il Palazzo Pubblico, sede del Comune. Al suo interno è possibile ammirare un’opera considerata uno dei massimi capolavori della pittura gotica europea, per i profondi significati civici e religiosi che comunica e per la straordinaria novità del suo linguaggio formale, la Maestà di Simone Martini.

A poca distanza dalla realizzazione della grande Maestà da parte di Duccio di Buoninsegna per l’altare maggiore del Duomo, ultimata nel 1311, il Comune, allora retto da nove esponenti della ricca borghesia mercantile – da cui la definizione di ‘Governo dei Nove’ – incaricò Simone Martini di eseguire un affresco di soggetto analogo, che il pittore portò a termine entro il 1315. Il fatto che le autorità cittadine volessero realizzare proprio una Maestà nelle sale del Palazzo Pubblico conferma il significato civico della devozione senese nei confronti della Vergine. Di assoluta rilevanza è prima di tutto l’ubicazione scelta per l’opera dalla committenza: il dipinto occupa infatti un’intera parete della sala più vasta e rappresentativa del Palazzo comunale, detta delle Balestre o del Mappamondo, in cui si svolgevano le riunioni del Consiglio Generale della città.

Rispetto al precedente duccesco, l’affresco presenta di fatto lo stesso impianto iconografico: anche qui la Vergine, seduta in trono col Bambino, occupa la parte centrale della rappresentazione, mentre tutto intorno si dispone una nutrita corte celeste composta da angeli e Santi; di questi ultimi, i quattro in primo piano, raffigurati in ginocchio, sono i santi protettori di Siena, Ansano, Savino, Crescenzio e Vittore, mediatori tra la Vergine e la città. Quali elementi differenziano dunque quest’opera da quella di Duccio e, soprattutto, qual è il messaggio che i Nove intendevano trasmettere attraverso di essa?

Osservando l’affresco si noterà che il Bambino Gesù, raffigurato in posizione eretta, con i piedi poggiati sulle ginocchia della Madre, mostra un cartiglio recante l’incipit del Libro della Sapienza: «Diligite Iustitiam qui iudicatis terram», che significa «Amate la giustizia voi che governate». Nella raffigurazione pertanto, la Vergine è, letteralmente, ‘sede della sapienza’, poiché il suo grembo è stato dimora di Cristo, sapienza incarnata. Ella si pone quindi non solo come protettrice della città, ma anche come buona consigliera per i governanti e avvocata dei deboli. Ciò che ribadisce con forza questo concetto sono le due estese iscrizioni che si trovano più in basso, nel gradino del trono e lungo il profilo interno della cornice, questa volta non in latino, ma in volgare, così da essere comprese dal maggior numero di persone possibile: in entrambi i casi le parole sono pronunciate dalla Vergine e si rivolgono a coloro che governano e ai cittadini tutti, quasi a voler spiegare il concetto di giustizia enunciato nel cartiglio di Gesù.

Attraverso quelle parole, Maria ammonisce i governanti a non chiudersi nella ricerca egoistica dell’interesse personale, ma ad aprirsi a promuovere il bene comune, attraverso l’esercizio della giustizia. In tal senso Ella diventa la personificazione dei valori portati avanti dai Nove, una sorta di ‘manifesto’ del loro ideale di buon governo. In un simile contesto i quattro santi protettori si pongono come interlocutori della Vergine e ambasciatori della città, portando lo stesso popolo senese all’interno della raffigurazione.

La grandezza di Simone Martini, esecutore materiale dell’affresco, fu quella di riuscire a tradurre gli intenti della committenza con un linguaggio assolutamente innovativo, funzionale al messaggio che l’opera vuole esprimere. La Madonna non è più l’icona di ascendenza bizantina della tavola di Duccio, ancora vagamente rigida e distante, ma la Mater più dolce e umana che i senesi avessero mai visto. Anche il rigido ordine simmetrico dell’impianto duccesco è infranto da una composizione più mossa, che si articola in maniera prospettica nello spazio. Tutto ciò contribuisce a suggerire l’idea che la Vergine sia scesa in mezzo al popolo di Siena: seguendo i Suoi ammonimenti e invocando la Sua protezione, i senesi esprimevano la parte migliore della loro identità cittadina.

Ulteriore testimonianza della devozione mariana, sempre presso il Palazzo Pubblico, è la cosiddetta Cappella di Piazza, edificata ai piedi della Torre del Mangia nel 1353, in adempimento al voto pubblico fatto alla Madonna in occasione della terribile peste del 1348. La presenza di questa cappella rese la Piazza del Campo una vera e propria “chiesa mariana all’aperto”, dove ogni mattina si celebrava la Santa Messa, che poteva essere ascoltata da tutti coloro che quotidianamente si recavano nella piazza a commerciare.

I Comuni di Terre di Siena