8.3 La via Cateriniana

Contemplata aliis tradere: Caterina e i Domenicani

Donna dal carisma eccezionale, santa Caterina da Siena ha sempre esercitato, sin da quando era in vita, un fascino irresistibile sulle persone che si sono imbattute in lei. L’energia, l’amore, l’attenzione ai bisogni dei poveri e degli ammalati, la gioia e la sua pace profonda attraevano uomini e donne a seguirla, a percorrere gli stessi passi, lo stesso cammino che l’aveva resa capace di vivere con tanta intensità.

Nata nel 1347 dal tintore Jacopo Benincasa e da Lapa di Puccio de’ Piacenti, a sette anni ebbe la prima visione di Cristo. L’esperienza segnò la sua vita così profondamente che ella decise di fare voto di verginità perpetua, scegliendo di consacrarsi unicamente a Lui, contro la volontà della famiglia. A sedici anni ricevette quindi l’abito del Terz’ordine domenicano e la sua esistenza proseguì nella penitenza e nella preghiera. A venti anni imparò a leggere, dettò le prime lettere, ebbe inizio la sua attività caritativa verso poveri, malati e carcerati, spesso ripagata da ingratitudine e calunnie. La sua figura iniziò ad attrarre i primi discepoli, chiamati per scherno “caterinati”. Quando la fama della sua santità si diffuse, fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso il papa Gregorio XI che in quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed efficacemente a far ritorno a Roma.

I suoi richiami si estesero poi anche a prìncipi e uomini politici dell’Europa del suo tempo, dilaniata da lotte intestine, affinché si impegnassero attivamente nel ristabilimento della pace e nella costruzione di una società fondata sui valori cristiani. Alla morte di Gregorio XI, il successore Urbano VI fu osteggiato nel collegio dei cardinali che elessero come antipapa Clemente VII, dando inizio allo scisma d’occidente. Caterina esercitò tutta la propria energia per far riconoscere l’autorità di Urbano VI e si consumò nel dolore per la Chiesa divisa, morendo il 29 aprile 1380 all’età di 33 anni. Fu proclamata santa nel 1461 dal papa senese Pio II, patrona d’Italia da Pio XII, dottore della Chiesa Universale da Paolo VI e patrona d’Europa da Giovanni Paolo II, a testimonianza di una grandezza spirituale che ha travalicato i secoli.

Il passaggio della santa ha segnato indelebilmente le stesse “pietre” della città di Siena, le sue vie e i suoi edifici, cosicché oggi a noi è permesso di metterci sui suoi passi, sia in senso fisico che spirituale. Pur essendo consacrata a Dio, Caterina partecipò pienamente alla vita sociale del suo tempo, perciò ella rappresenta un’ottima guida per entrare nello spirito, nello splendore, nella cultura e nel potere della Siena del Trecento, all’epoca una delle città più insigni d’Europa.

Questo percorso permetterà di scoprire i luoghi della città maggiormente legati alla figura di Caterina, ripercorrendo attraverso di essi la sua straordinaria vicenda umana e spirituale.

Basilica di San Domenico

La mole imponente della basilica di San Domenico offre un’immagine visiva dell’influenza dei frati domenicani nella Siena di Santa Caterina. L’insediamento dei domenicani in città fu dovuto principalmente alla presenza dello Studium, l’attuale Università, e al fatto che l’Ordine, fondato dallo spagnolo Domenico di Guzmán agli inizi del XIII secolo, si prefiggeva il compito di combattere le eresie e perseguire la salvezza delle anime attraverso insegnamento e predicazione. Tommaso d’Aquino, illustrissimo frate domenicano, santo e Dottore della Chiesa, nella sua opera più celebre affermava che la vita contemplativa è migliore di quella attiva, ma cosa ancora migliore è trasmettere agli altri le cose che si sono contemplate (Contemplata aliis tradere). Proprio per il carisma dell’insegnamento, la presenza dei domenicani è registrata nelle principali città europee sedi universitarie.

Sia la chiesa che il convento furono ultimati intorno al 1265. La basilica, molto grande, doveva rispondere all’esigenza di una nuova evangelizzazione e quindi doveva essere adatta a contenere le molte persone che si recavano ad ascoltare le prediche dei frati, chiamati anche predicatori. San Domenico e lo stesso san Francesco avevano creato una modalità originale di vita religiosa, adatta alle nuove città commerciali: i loro frati non producevano da soli il necessario per vivere, come i monaci, ma dipendevano dalla generosità della gente in mezzo alla quale abitavano, erano “mendicanti”. I conventi sorgevano alla periferia delle città, nei sobborghi dove erano relegati i più poveri; la grandezza delle loro chiese era pensata proprio per accogliere la grande massa del popolino alle celebrazioni.

 

In questa chiesa, che domina il quartiere di Fontebranda dove abitava, santa Caterina prese parte moltissime volte alla Messa e visse alcuni momenti salienti della sua esperienza mistica. Qui ella vestì giovanissima l’abito di terziaria domenicana, o ‘mantellata’, decidendo di consacrare la sua intera esistenza a Dio. Nella cosiddetta cappella delle Volte si ritirava quotidianamente in preghiera venendo colta da frequenti estasi, durante le quali era solita appoggiarsi al pilastro ottagonale che tutt’oggi si trova sul lato aperto della cappella. Dai continui colloqui con Gesù Cristo avvenuti proprio in questo luogo e trascritti fedelmente dai suoi discepoli, scaturiscono i Dialoghi della Divina Provvidenza, la sua opera dottrinale più importante.

Entrando nella cappella e voltandosi a sinistra, si osserva il dipinto raffigurante Santa Caterina e una devota, di Andrea Vanni. Si tratta di un affresco situato in origine sulla parete adiacente, in angolo con la chiesa, staccato e trasportato nell’attuale collocazione nel 1667. L’eccezionale importanza di questa pittura risiede nel fatto che essa fu realizzata quando Caterina era ancora in vita: essa è dunque ritenuta a buon diritto la sua ‘vera imago’, ossia un ritratto veritiero dei suoi lineamenti. Ciò è ulteriormente avvalorato dal fatto che Andrea Vanni fu un fedele discepolo della santa, che a lui indirizzò anche alcune lettere del suo Epistolario. Nell’affresco Caterina è presentata con l’abito bianco e il mantello nero delle mantellate; tiene in mano il giglio, simbolo di purezza, che diverrà nel tempo suo tradizionale attributo iconografico. Osservando le sue mani si noterà che esse portano le stimmate: un particolare importante, che consente di stabilire con certezza che l’esecuzione del dipinto avvenne dopo il 1 aprile 1375, quando Caterina ricevette le stimmate nella chiesa di Santa Cristina a Pisa. La giovane donna inginocchiata in atteggiamento devozionale è una discepola, simbolo di tutti i figli spirituali di Caterina, di ieri come oggi, e di tutti coloro che vogliono conoscere la sua vita, le sue opere e il suo messaggio di pace.

Nella parete opposta si trovano due dipinti che raffigurano i principali episodi miracolosi avvenuti proprio all’interno di questa cappella e riportati dal biografo e confessore di Caterina, Raimondo da Capua, nella Legenda Major: in uno di essi la santa dona le sue vesti a Gesù che le appare sotto le sembianze di un pellegrino. Il riconoscimento di Gesù nei poveri è un tratto comune alla vita di molti santi, che motiva il loro slancio di carità. Nella seconda raffigurazione, Gesù rende a Caterina la crocetta del rosario di cui lei stessa gli aveva fatto dono. Entrambe le tele sono opera del senese Crescenzio Gambarelli, datate 1602.

I restanti dipinti che si possono ammirare nella cappella ripercorrono altri momenti della vita della santa. Ai lati della parete di fronte all’ingresso sono collocate due tele di Crescenzio Gambarelli, entrambe datate 1602, raffiguranti Santa Caterina che recita l’uffizio (breviario) in compagnia di Gesù e la Morte della santa. Nella parte centrale trova posto l’Apparizione di santa Caterina a santa Rosa da Lima, opera del senese Deifebo Burbarini.

Al centro della parete destra, infine, è collocato un importante dipinto eseguito da Mattia Preti tra il 1672 e il 1673 raffigurante il solenne momento storico nel quale Papa Pio II, il senese Enea Silvio Piccolomini, benedice il nipote Francesco Piccolomini, arcivescovo di Siena, dopo avergli consegnato la bolla di canonizzazione di santa Caterina, ovvero la dichiarazione ufficiale della sua santità (29 giugno 1461).

Lungo la parete destra della basilica si apre poi la magnifica cappella di santa Caterina, fatta costruire nel 1466 per custodire la sacra testa della santa, la più insigne delle sue reliquie, portata a Siena da Roma dopo la morte avvenuta nel 1380.

Il mirabile altare marmoreo collocato al centro della parete di fondo venne scolpito da Giovanni di Stefano. La sacra testa si trova all’interno dell’incavo centrale, protetta da una grata dorata. Nel corso dei secoli la reliquia è stata più volte interessata da vicende travagliate, rimanendo tuttavia intatta. Nel 1531 rischiò di essere distrutta da un violento incendio divampato nella basilica, quando uno dei frati, Guglielmo da Firenze, si gettò tra le fiamme, traendola in salvo. Nel maggio 1609, dopo una processione, gli abitanti di Fontebranda tentarono di impossessarsene per custodirla definitivamente nel loro rione; ci furono diversi disordini, finché non intervenne il Collegio di Balìa che fece riportare la sacra testa in San Domenico. Quasi due secoli più tardi, nel 1798, la reliquia rimase sorprendentemente illesa in seguito ad un terremoto che danneggiò la basilica; trasferita in Duomo, all’interno della Libreria Piccolomini, venne ricollocata al suo posto in occasione della domenica in Albis del 1806.

Qualche decennio dopo la costruzione della cappella e dell’altare marmoreo, si dette inizio alla decorazione pittorica delle pareti. Nel 1526 Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma, realizzò ai lati dell’altare due dei suoi più celebri capolavori, lo Svenimento mistico e l’Estasi della santa, che testimoniano l’intensità della preghiera di santa Caterina. Lo svenimento non era un eccesso ‘sentimentale’, ma un venir meno di fronte alla grandezza dell’amore di Dio, mentre l’estasi consiste nell’esser completamente presa dalla Sua contemplazione. Nonostante la ristrettezza della superficie muraria a disposizione, l’artista riuscì a conferire a queste scene una straordinaria monumentalità, unendo alla perfezione del disegno e al magistrale accostamento dei colori una struttura compositiva solenne e misurata. Allo stesso Sodoma si deve anche il grande e affollato affresco della parete sinistra, raffigurante la Decapitazione di Niccolò di Tuldo. L’episodio è narrato in una delle pagine più significative dell’Epistolario. Nel 1377 Niccolò di Tuldo, un gentiluomo perugino, venne ingiustamente condannato a morte dai magistrati senesi con l’accusa di spionaggio. Una volta in carcere, caduto in una disperazione profonda, ricevette la visita di santa Caterina, le cui parole lo confortarono a tal punto che egli riuscì ad accordare la propria volontà al disegno divino, lasciandosi condurre al patibolo «come agnello mansueto».

Il dipinto che occupa la parete opposta venne realizzato ad olio su muro da un altro grande pittore senese, Francesco Vanni, tra il 1593 e il 1596. La scena, ambientata in un loggiato, raffigura Santa Caterina che libera dal demonio un’ossessa, in mezzo allo stupore di un’eterogenea folla di astanti, fatta di nobili, religiosi, mendicanti e popolani, quasi a sottolineare il carattere universale del suo messaggio.

Sempre lungo il fianco destro della chiesa, all’interno di una teca inserita nella parete, si trovano altre reliquie della santa. Per reliquie (dal latino reliquus: rimasto) si intende ciò che resta del corpo di persone alle quali venivano riconosciute straordinarie virtù di santità. Nel tempo il termine è stato esteso anche ad indumenti e oggetti venuti direttamente a contatto con i santi. Nella teca è collocata la reliquia del dito pollice di Caterina, conservata all’interno di un reliquiario in cristallo e argento. In occasione dei festeggiamenti in onore della santa che si celebrano ogni anno, essa viene portata in Piazza del Campo e usata per impartire la benedizione all’Italia e all’Europa, di cui Caterina è patrona. La teca contiene anche alcuni oggetti entrati in contatto con la santa: il calice con cui ricevette l’eucarestia da Gesù, le cordicelle con le quali era solita disciplinarsi anche tre volte al giorno e la pietra sacra da collocare sull’altare portatile, affinché, ovunque ella si trovasse, un sacerdote potesse celebrare la santa messa e amministrarle i Sacramenti. Su questa pietra sembra sia schizzato il sangue di Tommaso Becket, quando fu assassinato nella cattedrale di Canterbury, dove Caterina si trovava in pellegrinaggio. Al centro della teca, infine, è posizionato il busto in bronzo sbalzato nel quale fu conservata da principio la testa della Santa, collocata nella vicina cappella.

Santuario Casa di santa Caterina

Perché il luogo più rappresentativo della santa è la sua casa e non un convento? La risposta risiede nell’appartenenza di Caterina al Terz’Ordine domenicano. Dopo aver vestito l’abito di terziaria, o mantellata, Caterina continuò infatti a trascorrere la vita nella sua casa natale, in accordo col nuovo modo di vivere la consacrazione a Dio introdotto per primo da san Francesco e accolto poi anche da san Domenico: l’istituzione del Terzo Ordine rappresentò infatti la risposta a tutti quei fedeli laici, uomini e donne, che, pur senza dimorare in un convento come i frati, desideravano praticare una vita cristiana intensa. L’appartenenza al Terzo Ordine offre, in altre parole, la possibilità di vivere la fede nel mondo. La figura di Caterina ne è un esempio emblematico: il trascorrere la sua esistenza entro le mura domestiche e per le strade della città anziché in un convento, il suo essere laica anziché suora, non le impedirono di entrare in comunione profonda con Dio e di vivere secondo i suoi insegnamenti. I vari ambienti che costituiscono il Santuario consentono di entrare nell’intimità di Caterina a cominciare dall’oratorio della Camera, lo spazio maggiormente legato alla prima fase della vita della santa, dove, poco più che bambina, ella si ritirava in isolamento, dedita alla contemplazione e alla penitenza. Qui, a soli sette anni, fece voto di perpetua verginità, rinunciando nel contempo a tutti i piaceri materiali: cominciò a privarsi del cibo e del sonno, ad indossare il cilicio e sottoporsi a flagellazioni.

Questo periodo rappresenta il punto di partenza del quel processo di trasformazione spirituale, ma anche fisica, che caratterizza la vita di Caterina: come il battito del cuore, ella prima si contrae, si raccoglie in sé per conoscere Cristo, e poi si apre per diffondere la grazia di Dio in tutto il corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Così, da principio, il corpo della santa, costretto a durissime privazioni, si riduce, si rimpicciolisce. Anche lo spazio in cui ella si muove è contrassegnato da un progressivo ritrarsi: si rinchiude in casa, poi non esce più dalla sua stanza, infine si mura dentro una cella spirituale costruita nell’intimo della propria anima, dove continuo è il dialogo con Cristo. Caterina, a questo punto, non ha nulla, non è nulla, ma proprio per questo è suscettibile di essere completamente rimodellata dalla grazia divina. Il suo nuovo corpo non è regolato dall’ordine biologico, ma funziona secondo le disposizioni dell’Assoluto: si nutre del cibo eucaristico e del sangue che sgorga dal costato di Cristo, si identifica completamente in Lui fino ad assumerne le stimmate. Riceve capacità straordinarie: levitazione, invulnerabilità al fuoco, dono di compiere i miracoli. L’anima supera i confini del corpo, ne esce fuori, nell’estasi, per poi rientrarvi e uscire per le strade del mondo. Caterina lascia la cella, poi la casa, infine Siena, per portare a tutti l’amore di Cristo che ha conosciuto nell’intimità.

L’oratorio della Camera è un ambiente di dimensioni ridotte, completamente ristrutturato nel 1874 lasciando allo stato primitivo il solo cubicolo, il piccolo spazio in cui Caterina pregava e riposava: al suo interno è tuttora visibile, protetta da una grata in ferro, la pietra sulla quale ella era solita poggiare la testa. La parete di fondo dell’oratorio presenta un piccolo altare che ospita la bellissima tavola con Santa Caterina che riceve le stimmate, eseguita da Girolamo di Benvenuto intorno ai primi anni del Cinquecento. Le pareti vennero invece affrescate da Alessandro Franchi con la collaborazione di Gaetano Marinelli nel 1896 e raffigurano episodi della vita della santa ispirati alla Legenda Major di Raimondo da Capua.

Al piano superiore rispetto a quello della Camera, si apre l’oratorio della Cucina che comprende lo spazio un tempo occupato dalla cucina della famiglia Benincasa, fulcro della vita domestica. Attraverso la grata collocata sotto all’altare, nella parete opposta all’ingresso, sono tuttora visibili i resti dell’antico focolare: proprio in questo focolare acceso Caterina cadde durante una delle sue estasi, rimanendo miracolosamente illesa. Tra le mura domestiche la santa trascorre la prima fase della sua vita, tra incessanti preghiere, penitenze, momenti di contemplazione e colloqui con l’Eterno Padre, fino al momento in cui ella sarà chiamata da Dio alla concreta attività di sostegno alla Chiesa e al Papato, che culminerà nel viaggio ad Avignone, la più grande impresa diplomatica nell’Europa del XIV secolo, il cui frutto fu di riportare il seggio papale a Roma.

Circa un secolo dopo la morte di Caterina, nel 1482-1483, la Confraternita a lei intitolata scelse questo spazio come luogo di riunione per i confratelli, che di lì a poco posero sulla parete di fondo, sopra all’altare, la tavola realizzata nel 1496 dal pittore senese Bernardino Fungai. Il dipinto presenta nello scomparto centrale l’episodio della stimmatizzazione della santa, il momento più alto del suo percorso spirituale. All’epoca dell’esecuzione dell’opera, il crocifisso da cui Caterina aveva ricevuto le stimmate, oggi conservato nella chiesa di fronte all’Oratorio, si trovava ancora a Pisa e sarebbe stato portato a Siena solo alcuni decenni più tardi, nel 1565. Pochi senesi, prima di allora, dovevano averlo visto. Questo spiega perché il crocifisso del Fungai è raffigurato come una scultura e non come una croce dipinta, quale è in realtà. La pala presenta inoltre una predella sottostante con scenette della vita di Caterina e due pannelli laterali occupati dalle figure di san Domenico e san Girolamo, opera dallo stesso Fungai. La parte superiore con il Padre Eterno e due Profeti, venne invece aggiunta alcuni decenni più tardi, nel 1567, dal senese Bartolomeo Neroni, detto il Riccio.

Intorno alla metà del Cinquecento la Confraternita decise di ampliare l’oratorio e di dare inizio ai lavori di arredo e di decorazione sotto la guida dello stesso Riccio, che seppe conferire all’ambiente un carattere omogeneo e unitario. All’artista si devono, oltre ad alcuni dipinti, il disegno del bel soffitto a cassettoni blu e oro e del ricco rivestimento ligneo delle pareti, che incornicia e raccorda le varie tele. Completano l’ambiente il coro in legno e il pavimento costituito da mattonelle in maiolica policroma rinascimentale, molte delle quali purtroppo deteriorate e sostituite nel tempo. Proprio per preservare il prezioso pavimento, l’oratorio è stato dotato lungo il perimetro di una pedana trasparente rialzata, che permette il passaggio dei visitatori senza arrecare ulteriori danneggiamenti. Le numerose tele che ornano le pareti di questo ambiente, commissionate dalla confraternita a diversi artisti, rappresentano episodi della vita di Caterina, tratti principalmente dalla Legenda Major di Raimondo da Capua. In corrispondenza dei quattro angoli sono inoltre raffigurati altrettanti santi e beati senesi.

Di fronte all’oratorio della Cucina si trova la splendida chiesa del Crocifisso. L’importanza di questo edificio sacro e la sua stessa ragion d’essere risiedono appunto nella presenza del crocifisso ligneo dal quale santa Caterina ricevette le stimmate (dal greco stigma: marchio), ovvero delle piaghe simili a quelle inflitte a Gesù Cristo durante la crocifissione.

L’evento miracoloso avvenne a Pisa, dove la santa si era recata nel 1375 dietro richiesta di papa Gregorio XI, con l’incarico di convincere i Signori della città a non aderire alla lega antipapale. Nella Legenda Major, Raimondo da Capua narra che il 1 aprile dello stesso anno, mentre era assorta in preghiera nella chiesa di Santa Cristina, Caterina vide scendere dal crocifisso davanti al quale era inginocchiata cinque raggi di colore rosso sanguigno diretti alle sue mani, ai piedi e al cuore. Subito ella chiese a Dio che le stimmate fossero invisibili e, prima che i raggi la raggiungessero, cambiarono il loro colore, divenendo splendenti di luce. Rimasero visibili solo alla santa per tutta la durata della sua vita, finché, al momento della morte, apparvero miracolosamente. La validità delle stimmate di Caterina venne riconosciuta in maniera ufficiale solo nel 1623 da Urbano VIII, dopo una disputa durata circa due secoli. Come era avvenuto per san Francesco d’Assisi, che fu il primo santo a riceverle, anche per Caterina l’episodio segna il culmine del cammino spirituale e rappresenta la sua identificazione con Gesù Cristo: ella diventa in tutto conforme al Signore crocifisso e come Lui arde dello stesso desiderio per la salvezza degli uomini.

La richiesta di invisibilità delle stimmate da parte della santa risponde al suo rifiuto di ‘spettacolarizzazione’ dell’evento miracoloso, in accordo con la straordinaria umiltà che caratterizzò tutta la sua esistenza. All’indomani della morte di Caterina, i senesi desiderarono avere quel crocifisso che l’aveva resa perfetta icona dell’amore di Cristo; dopo molti tentativi, l’impresa riuscì alla Confraternita dedicata alla santa e nel 1565 la croce lignea venne portata a Siena e collocata nell’Oratorio della Cucina. Col passare del tempo, tuttavia, si cominciò a pensare ad un ambiente più ampio che ne favorisse la venerazione. L’unico spazio disponibile era quello antistante l’oratorio, ritenuto tradizionalmente l’orto della famiglia Benincasa. Fu proprio in quest’area che, tra il 1614 e il 1623, venne edificata in forme barocche la chiesa del Crocifisso, la cui decorazione andò avanti per ol- tre un secolo. I numerosi dipinti collocati sulle pareti della chiesa ripercorrono momenti significativi della vita di Caterina, ponendo l’accento in particolare sugli straordinari risultati da lei ottenuti in campo politico a beneficio della Chiesa, quali l’aver riportato da Avignone a Roma la sede papale, mettendo fine alla cosiddetta “cattività avignonese”, e l’aver ristabilito la pace tra Firenze e lo Stato Pontificio, da tempo in guerra tra loro. Tre delle quattro grandi tele che occupano la navata della chiesa sono dedicate proprio a questo particolare aspetto della vicenda di Caterina. Partendo dall’ingresso, il primo dipinto della parete destra raffigura il Ritorno del Papa Gregorio XI a Roma, opera del pittore Niccolò Franchini datata 1769, affiancata dalla tela con Caterina che esorta Gregorio XI a tornare  a Roma, eseguita dal bolognese Alessandro Calvi, detto il Sordino. Sulla parete opposta troviamo Santa Caterina assalita dai soldati fiorentini, dipinto realizzato da Galgano Perpignani nel 1765, che rievoca uno dei momenti dell’opera di pacificazione tra Firenze e il Papato. La quarta tela, eseguita da Liborio Guerrini nel 1777, raffigura l’Elemosina di Caterina, con la santa attorniata da poveri, intenta a distribuire loro il pane. In realtà nella Legenda Major si racconta che ella fosse solita portare le elemosine di notte, lasciandole davanti alle porte delle famiglie indigenti, in accordo con gli insegnamenti del Vangelo, in cui si dice che l’elemosina deve essere nascosta e non mettere in evidenza chi la pratica.

I dipinti posti sui due altari ai lati del transetto raffigurano, a destra, di nuovo Santa Caterina di fronte a Gregorio XI ad Avignone, opera settecentesca di Sebastiano Conca, e a sinistra Santa Caterina accolta dalla Madonna in paradiso e presentata a Gesù Cristo, tela realizzata da Rutilio e Domenico Manetti nel 1638. Sempre nel transetto sinistro è collocato lo stendardo raffigurante Santa Caterina che riceve le stimmate dal crocifisso, realizzato dallo Rutilio Manetti nel 1630 su commissione della Confraternita intitolata alla santa, mentre di fianco all’altare si apre una piccola nicchia all’interno della quale è custodito un reliquiario contenente un frammento della sua scapola. Ai lati del presbiterio si trovano due dipinti di Giuseppe Nicola Nasini raffiguranti L’estasi di santa Caterina e La santa che scrive ispirata da san Giovanni Evangelista e da san Tommaso d’Aquino. Sempre allo stesso Nasini si devono gli affreschi della cupola e delle volte con la glorificazione ed esaltazione di Caterina, realizzati tra il 1701 e il 1703, in cui ella è accolta in paradiso e resa partecipe della gloria celeste.

Fontebranda e salita del Costone

La fontana medioevale di Fontebranda, la più antica tra quelle esistenti a Siena, ci permette di entrare nel contesto sociale in cui visse Caterina. La presenza della fonte aveva reso questo luogo uno dei centri nevralgici della vita quotidiana senese, in virtù della grande importanza che l’acqua rivestiva per la città. Siena, infatti, sorge su aridi colli, lontana da corsi d’acqua e da rilievi montuosi; per questo motivo, fin dai tempi antichi, la mancanza d’acqua costrinse i suoi abitanti a compiere sforzi notevoli, testimoniati ancora oggi dalla straordinaria rete di acquedotti sotterranei pazientemente scavati nella roccia: si tratta dei ‘bottini’, così definiti perché coperti da volta a botte, che andavano ad alimentare fonti, pozzi e cisterne. Uno dei due ‘bottini maestri’, ovvero gli acquedotti più importanti di questa rete, era proprio quello di Fontebranda. In ragione di ciò, le acque di questa fonte furono tra le più copiose e dissetarono per secoli mezza città, compresa Caterina e la sua famiglia; la fonte, inoltre, garantiva la sussistenza dell’attività di suo padre, che da qui attingeva l’acqua necessaria per tingere i panni.

L’esistenza di una fonte in questo luogo è documentata già dal 1081, ma nel 1193 fu ricostruita e ampliata da un certo Bellamino, come attesta un’iscrizione ancora conservata al suo interno. Alcuni decenni più tardi, nel 1246, venne realizzata la copertura con volte a crociera e furono inseriti nel prospetto quattro leoni in pietra da cui zampillava l’acqua.

 

Come le più importanti fonti medievali di Siena, Fontebranda presenta tre capienti vasche, che nel passato avevano tre diverse funzioni: la prima conteneva l’acqua potabile, la seconda, alimentata con l’acqua che fuoriusciva dalla prima, serviva per abbeverare gli animali, la terza, in cui confluivano le acque delle due precedenti, fungeva da lavatoio. Da qui l’acqua passava poi nella cosiddetta ‘fogna bianca’ ed era sfruttata sia dalle numerose tintorie e concerie che sorgevano nella zona, che dai mulini collocati appena fuori dalle mura della città.

Poco lontano da Fontebranda, lungo la cosiddetta salita del Costone, Caterina ebbe la prima visione: Gesù le apparve in abiti pontificali seduto su un trono al di sopra della basilica di San Domenico con i santi Pietro e Paolo, principi degli Apostoli, e san Giovanni Evangelista. Quella visione si impresse fortemente nell’animo di Caterina, che in seguito ne avrebbe sperimentato il significato: ella avrebbe infatti abbracciato l’Ordine Domenicano, diventando Terziaria, e avrebbe avuto come una delle sue più grandi preoccupazioni il richiamo al Pontefice, perché riprendesse coscienza della sua vera missione e agisse conformemente a quello che era, ovvero il “dolce Cristo in terra”. Fin dal 1700 i senesi vollero tramandare la memoria di questa visione con un affresco posto sulla via, che venne realizzato dal pittore Giuseppe Nicola Nasini. La collocazione all’aperto, con la conseguente esposizione alle intemperie, è stata motivo della travagliata vita dell’opera, che nel corso del tempo ha subito ben tre rifacimenti: il primo da parte di Cesare Maffei, poi di Vittorio Giunti, fino ad arrivare ad Enzo Cesarini, che ha eseguito l’affresco attuale, inaugurato il 1 ottobre 1972 e protetto da una teca in vetro.

Testi a cura di Laura Ponticelli

I Comuni di Terre di Siena