8.7 I luoghi della presenza agostiniana
Sancta inquietudo
La scoperta dei luoghi segnati dal passaggio degli agostiniani consente di ripercorrere la storia di uomini e donne votati al Signore, ammirando gli splendidi esempi di fede, carità e santità che furono modelli e punti di riferimento della civiltà senese del Medioevo.
All’inizio del XII secolo, cominciò a verificarsi un cambiamento profondo in quella che fino ad allora era stata una società prevalentemente rurale, legata al lavoro della terra. Grazie al commercio e allo sviluppo dell’artigianato, le città conobbero uno sviluppo senza precedenti e nacque la borghesia, una classe sociale diversa, che aveva bisogno di evangelizzatori nuovi. D’altra parte il clero secolare era limitato e poco incline alle scritture, mentre gli Ordini monastici erano insediati nel mondo rurale, distanti dai centri urbani, dediti al lavoro manuale e alla preghiera. La risposta a quella sfida fu la nascita degli Ordini mendicanti di san Francesco e san Domenico, che si proposero di arrivare alle città per evangelizzarle con la predicazione, l’insegnamento e l’amministrazione dei sacramenti, abbracciando una vita comunitaria fatta di povertà e carità nei confronti dei bisognosi.
Nel frattempo, mentre francescani e domenicani cominciavano a svilupparsi, varie congregazioni eremitiche dell’antica regione della Tuscia (territorio che comprendeva la Toscana, parte dell’Umbria e del Lazio) si rivolsero al papa per chiedere di essere costituite anche loro come famiglia religiosa, sotto il magistero spirituale di sant’Agostino. Fu così che intorno alla metà del XIII secolo nacque ufficialmente l’Ordine degli eremiti agostiniani, annoverato tra gli Ordini mendicanti o “di fraternità apostolica”.
Uomo di passione e di fede, di profonda intelligenza e di instancabile cura pastorale, sant’Agostino è considerato uno dei più grandi padri della Chiesa latina. Fu autore di numerosi scritti di natura teologica, mistica e filosofica che contribuirono a gettare le basi del pensiero cristiano; le Confessioni, la sua opera più celebre, sono una splendida autobiografia spirituale scritta a lode di Dio.
Agostino nasce in Africa, a Tagaste, nel 354 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Pur ricevendo dalla madre un’educazione religiosa, la giovinezza fu «sciagurata e nefanda», segnata da una lunga crisi esistenziale. La sua vicenda umana lo portò finalmente a Milano, dove ricoprì la cattedra di retorica e dove, soprattutto, poté ascoltare i sermoni di sant’Ambrogio, vescovo della città, che furono decisivi per la sua conversione. A partire da allora fino alla fine dei suoi giorni, egli abbracciò uno stile di vita consacrato unicamente a Cristo e l’inquietudine che fino a quel momento aveva segnato la sua esistenza divenne ‘santa’ (sancta inquietudo) poiché era stata causa prima della ricerca spirituale, poi dell’incontro con Dio e contemporaneamente dell’amore per Dio stesso e per il prossimo. Tornato in Africa, quella rivoluzione interiore che aveva spazzato via dubbi e domande lo portò a scegliere di vivere in comunione con dei confratelli. Prima a Tagaste e poi ad Ippona, dove fu sacerdote e vescovo, fondò un monastero dedicandosi costantemente alla predicazione, allo studio e alla preghiera, gettando le basi per il rinnovamento dei costumi del clero attraverso la stesura della Regola, un insieme di norme atte ad orientare e organizzare la vita monastica. Presa a modello nel XIII secolo dall’Ordine degli eremiti agostiniani, già nel suo incipit la Regola indicava la finalità principale del vivere in comune: «La prima cosa per la quale siete stati insieme riuniti è che viviate unanimi nella casa e che abbiate un sol cuore e un’anima sola in Dio»(Regula 1,2).
L’Ordine agostiniano veniva dunque a caratterizzarsi per uno stile di vita che era al tempo stesso contemplativo e apostolico, dedito alla ricerca di Dio nello studio e nella vita comune, con lo scopo di trasmettere al prossimo la verità ricercata e trovata. In questo modo si trovavano a convergere in mirabile unità la ricerca della verità e l’esistenza comunitaria di Agostino, la vita contemplativa degli eremiti e l’azione apostolica dettata dalle necessità della Chiesa. Sono queste ancora oggi le linee essenziali dello stile di vita della famiglia agostiniana e della sua spiritualità.
Chiesa di Sant’Agostino
In concomitanza con la rapida espansione della città, gli eremiti di sant’Agostino, dapprima votati alla contemplazione e alla meditazione solitaria nella vicina foresta di Lecceto, chiamati dal papa all’apostolato si insediarono a Siena per rispondere alle nuove esigenze di evangelizzazione della popolazione in rapida crescita. Stabilitisi sul poggio di sant’Agata, dettero inizio alla costruzione del convento e di una chiesa di vaste dimensioni, intitolata naturalmente a sant’Agostino.
I lavori iniziarono nel 1259 e si protrassero per oltre cinquant’anni, sostenuti dalle donazioni del Comune, dello Spedale di Santa Maria della Scala e di privati cittadini. Alla fine del secolo i frati decisero di far costruire un transetto, ovvero uno spazio di raccordo tra la navata e la zona dell’altare maggiore, rendendo per tale motivo necessaria la realizzazione di una cripta sottostante di supporto, al fine di reggerne il peso.
E’ difficile stabilire con esattezza quando la chiesa sia stata terminata ma doveva esserlo già nel 1398, anno in cui, come attestano i documenti, una violenta tempesta fece cadere per metà il campanile, che era all’epoca una delle torri più alte della città.
Successivamente, i padri agostiniani cercarono di arricchire l’interno con le opere dei migliori artisti vissuti in quei secoli ma, intorno alla metà del Settecento, parte di quei lavori andò purtroppo perduta in un terribile incendio. Si iniziò pertanto un costoso restauro dell’edificio su disegno dell’architetto Luigi Vanvitelli, che conferì alla chiesa l’aspetto attuale. In concomitanza con la ristrutturazione dell’annesso convento (oggi sede del Liceo Piccolomini) fu poi realizzato il portico antistante, su progetto di Agostino Fantastici (1818).
La pianta è a croce latina e ad unica grande navata, al fine di accogliere il maggior numero di fedeli, secondo la tipologia tipica degli ordini mendicanti; dal fianco destro si accede alla cappella privata della famiglia Piccolomini, dove è conservata una bellissima Maestà di Ambrogio Lorenzetti. Le pareti laterali dell’aula sono scandite da una serie di pilastri in stucco che intervallano gli altari in marmi policromi, eretti tra il XVI e il XVII secolo.
Punto focale della chiesa è il monumentale altare marmoreo realizzato nel 1608 da Flaminio Del Turco, al centro del quale è collocato un imponente ciborio, così come indicato nelle Ordinationes degli eremiti di sant’Agostino, che stabilivano come, in tutte le chiese dell’Ordine, il corpo di Cristo dovesse essere conservato in un ciborio posto sopra all’altare maggiore. Sotto alla mensa, conservate all’interno di un sarcofago completamente in marmo, sono conservate le reliquie di una delle figure più amate dagli agostiniani, il beato Agostino Novello, i cui resti vennero qui trasportati in seguito alla sua morte, avvenuta nel 1309 presso l’eremo agostiniano di San Leonardo al Lago, nelle vicinanze di Siena. Anche in ragione di ciò, la chiesa godette sin dagli inizi di un notevole prestigio e fu meta di pellegrinaggio da parte dei fedeli che si recavano a pregare davanti alle sacre reliquie, chiedendo al beato protezione e miracoli.
Oltre ad essere uno degli edifici sacri artisticamente più rilevanti della città per la presenza di opere di maestri del calibro di Ambrogio Lorenzetti, Pietro Perugino, Luca Signorelli e Sodoma, la chiesa è un vero e proprio inno alla santità agostiniana, grazie alle tante rappresentazioni di santi e beati appartenuti all’Ordine, disseminate nell’intero spazio del tempio: san Nicola da Tolentino, uno dei primi agostiniani ad essere canonizzato, è raffigurato in una scultura lignea posta nel transetto; san Giuseppe Calasanzio, che spese la sua vita educando i ragazzi più poveri, è protagonista di due dipinti, posti anch’essi nel transetto; santa Rita da Cascia, così devota a Cristo che desiderò provare le sue stesse sofferenze, è ricordata da una scultura di Giuseppe Maria Mazzuoli, autore anche della statua collocata in una delle grandi nicchie dell’aula, raffigurante il beato Antonio Patrizi, senese appartenente alla congregazione agostiniana di Lecceto; di nuovo nel transetto è posta la statua di santa Chiara da Montefalco, raffigurata con un giglio, emblema di purezza, e con un cuore infuocato tipico dell’iconografia agostiniana, richiamo ad un episodio della vita interiore di sant’Agostino: «la parola di Dio infiammò il suo cuore di amore divino».
La chiesa fu definitivamente abbandonata dagli agostiniani nel 1972. Oggi l’edificio è officiato per la ricorrenza della festa di santa Rita, che si celebra il 22 maggio, e utilizzato per concerti di musica sacra.
Lecceto e gli altri eremi agostiniani in terra senese
A pochi chilometri dalla città, immerso nel silenzio di un bosco di lecci, sorge un altro luogo cardine della presenza agostiniana, l’eremo di Lecceto, che godette nei secoli di un’indiscussa importanza spirituale. Nacque da un gruppo di eremiti che scelse questa selva, un tempo covo di briganti, per farne un luogo di santità: il motto di Lecceto è ancora oggi «Ilicetum vetus sanctitatis illicium» (Lecceto, antico covo di santità). Vivendo dapprima in grotte tufacee, alcune delle quali tuttora esistenti, nel 1228 gli eremiti consacrarono la loro piccola chiesa, primo nucleo di quello che sarebbe divenuto col tempo un eremo-fortezza sotto la Regola agostiniana, con un convento distribuito attorno a ben due chiostri, uno gotico ed uno quattrocentesco.
Nel corso del XIV e XV secolo numerosi frati da varie parti d’Italia e d’Europa chiesero di andare a vivere in questo luogo, che divenne così un centro propulsore di spiritualità attorno al quale ruotarono figure eminenti per santità e cultura, tanto che in un dipinto conservato nell’eremo è raffigurato un ‘albero genealogico’ con i venticinque frati di Lecceto che nel tempo sono stati venerati come beati. La stessa santa Caterina da Siena frequentava questo luogo ed era legata da profonda amicizia ad alcuni frati leccetani, in particolare all’inglese William Flete, che fu per diversi anni suo padre spirituale. Abbandonato e depredato in seguito alle soppressioni napoleoniche, nel 1816 l’eremo fu riscattato dal seminario arcivescovile di Siena ed oggi è officiato da una comunità di monache agostiniane.
A pochi chilometri di distanza da Lecceto si trova San Leonardo al Lago, il più antico degli eremi senesi. Seminascosto dalla fitta boscaglia, sorge nei pressi della Montagnola, verso la pianura occupata un tempo dal lago Verano (l’attuale Pian del Lago). Le fonti attestano la presenza di San Leonardo dal IX secolo, quando il monaco Benedetto eresse una chiesa. Fin dal XII secolo l’eremo godette di un rapporto privilegiato con l’episcopato di Siena che culminò nella concessione della speciale protezione del papato. Intorno alla metà del Duecento la piccola comunità in esso riunitasi assunse la Regola agostiniana, ma nel corso del secolo, poiché in difficoltà, venne inglobata dal vicino Lecceto costituendo un’unica realtà. Luogo immerso nel più profondo silenzio, San Leonardo al Lago venne scelto come ritiro spirituale dal beato Agostino Novello, che qui morì nel 1309.
Sempre nella zona della Montagnola, poco distante dal centro abitato di Rosia, si trovava l’eremo di Santa Lucia, fondato probabilmente sul finire del XII secolo. Fu frequentato da importanti figure religiose tra le quali si ricordano il beato Pietro de’ Rossi, noto per il suo smisurato amore verso la santa Croce, e il beato Giacomo da Rosia, celebrato soprattutto per la sua carità. A lui venivano attribuiti episodi miracolosi, tra cui la capacità di far fruttificare ogni anno, anziché ogni due, un particolare tipo di melo, per sfamare i poveri. Nel XVI secolo iniziò il lento declino dell’eremo, che si trova attualmente in stato di abbandono.
Spostato verso Murlo, sorgeva l’eremo di Montespecchio, oggi ridotto ad un rudere. Fondato nel 1190 da un romito di nome Giovanni, fu quasi sempre in stretta relazione con Lecceto. Della chiesa rimane solo l’ossatura, mentre è ancora visibile la superficie occupata dall’antico convento.
L’ultimo degli eremi agostiniani in terra senese è quello di Sant’Agostino a Monticiano, sorto intorno alla metà del Duecento. Il convento divenne famoso per la presenza del beato Antonio Patrizi, nato a Siena nel 1280 e giunto a Monticiano dopo aver compiuto il noviziato a Lecceto. Umile e devoto, alternava la preghiera con il servizio alla comunità e l’assistenza ai bisognosi. Morto nel 1311, il beato è sempre stato oggetto di grande devozione e il corpo è tuttora conservato in un’urna posta nell’altare maggiore della chiesa. Come l’eremo di Rosia, anche quello di Monticiano non fece mai parte della congregazione di Lecceto e nel 1808, a seguito degli editti napoleonici, venne soppresso.
Beato Agostino Novello
Insieme agli altri Ordini mendicanti, gli agostiniani contribuirono notevolmente allo sviluppo economico e sociale della città, fornendo un esempio di come vivere in comunità e costituendo un punto di riferimento per la cittadinanza. Negli anni i frati crearono una vera e propria identità cittadina legata al culto di alcune figure carismatiche agostiniane tra le quali una delle più importanti fu quella del beato Agostino Novello. Nato da nobile famiglia a Tarano in Sabina (rigettata ormai l’opinione che lo voleva siciliano), dopo aver studiato diritto all’università di Bologna, lavorò nel regno di Sicilia, alla corte di re Manfredi. Alla morte del re decise di cambiare radicalmente vita e di abbandonare i privilegi della corte per raggiungere l’eremo di Santa Lucia a Rosia, dove, vestito l’abito agostiniano, nascose scienza e nobiltà finché una difesa dei diritti del monastero rivelò la sua competenza. Condotto a Roma dal padre generale, fu ordinato sacerdote e scelto come collaboratore nella compilazione delle Costituzioni dell’Ordine. Eletto generale dell’Ordine stesso, rinunciò dopo due anni, ritirandosi nell’eremo di San Leonardo al Lago, dove, prima della morte avvenuta nel 1309, riformò gli statuti dello Spedale senese di Santa Maria della Scala.
Le sue reliquie, traslate nella chiesa di Sant’Agostino a Siena, furono subito venerate dai fedeli che lo acclamarono come santo, tanto che qualche anno dopo, nel 1328, Simone Martini, uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, ricevette l’incarico di realizzare una pala dedicata al beato. E’ stato ipotizzato che tale opera, oggi conservata presso la Pinacoteca nazionale di Siena e proveniente dalla chiesa di Sant’Agostino, potesse essere collocata in origine sul sepolcro monumentale del beato a San Leonardo al Lago. Ai lati dello scomparto centrale, in cui campeggia la grande figura di Agostino, si trovano quattro piccole scene di miracoli compiuti dal beato, tra gli esempi più alti dell’arte di Simone. Il contenuto dell’opera collima con la propaganda promossa dagli agostiniani nella prima metà del XIV secolo, che mirava ad eleggere Agostino Novello nuovo patrono di Siena.
Convento di Santa Marta
Non molto distante dalla chiesa di Sant’Agostino, si trova l’ex convento di Santa Marta, nel rione di San Marco, un tempo abitato dalle monache agostiniane.
La presenza di una forma di monachesimo agostiniano al femminile non costituiva una novità. Comunità femminili, secondo quanto ci attesta Possidio, il primo biografo di sant’Agostino, esistevano già quando il santo era vescovo di Ippona. Con molta probabilità egli fondò, proprio ad Ippona, un monastero femminile, nel quale fu priora sua sorella. Alcuni storici farebbero risalire la Regola agostiniana addirittura ad una lettera che Agostino inviò a queste monache per placare alcuni conflitti sorti all’interno del monastero e delineare norme per la vita in comune.
Il convento di Santa Marta venne fondato nel 1329 da Milla de’ Conti d’Elci, appartenente ad una delle famiglie più ricche e potenti di Siena. Nell’atto di fondazione, documento ancora oggi conservato presso l’Archivio di Stato della città, viene specificato che il convento doveva sorgere entro le mura cittadine, nel nuovo borgo di San Marco, una zona che si caratterizzava per la presenza di altre realtà conventuali legate soprattutto all’Ordine di sant’Agostino. Nel documento venivano esplicitamente richieste da parte delle monache la clausura e l’osservanza alla Regola agostiniana.
A differenza dell’Ordine maschile, improntato principalmente all’apostolato e alla cura delle anime dei fedeli, quello femminile era incentrato sulla clausura. Secondo le costituzioni agostiniane largo spazio era dedicato alla preghiera; vigevano rigide norme sull’alimentazione e sull’osservanza del silenzio. All’interno del monastero si svolgevano diverse occupazioni che si differenziavano in base all’istruzione delle monache: le più colte pregavano in coro, leggevano e svolgevano attività intellettuali, mentre le altre, chiamate converse, si occupavano dei lavori manuali e più umili. Essendo monache di clausura non potevano vivere di elemosine, per cui il proprio sostentamento proveniva dalle proprietà terriere ed immobiliari derivanti dalle doti o da lasciti testamentari.
Dal XV secolo il convento di Santa Marta poté contare su un’ulteriore entrata derivante dalle miniature eseguite dalle religiose per ornare corali e antifonari destinati al Duomo e all’eremo di Lecceto. Tra Trecento e Quattrocento il convento godette di notevole importanza, accogliendo vedove e vergini di buona famiglia. Le notizie si fanno sempre più frammentarie a partire da XVII secolo e, nel 1810, a seguito degli editti napoleonici, venne soppresso e i suoi beni requisiti dallo Stato.
L’interno è arricchito da numerose opere d’arte che richiamano il legame delle monache con l’Ordine agostiniano, come le Scene di vita eremitica, affrescata da pittori attivi a cavallo tra il XIV e XV secolo. Di particolare importanza si ricordano poi l’Incoronazione della Vergine del Vanni e il Seppellimento di Santa Marta, ad opera di un artista vicino a Simone Martini.