8.9 Spose, Madri e maestre
La santità senese al femminile in epoca moderna
La dimensione religiosa è da sempre una componente fondamentale della città di Siena, tanto da costituire un tratto essenziale della sua stessa identità. Se si pensa che nel Medioevo le autorità cittadine fecero affrescare nella sala più rappresentativa del Palazzo comunale un Madonna in trono attorniata da una corte celeste di angeli e santi, opera di eccezionale rilievo di Simone Martini, appare evidente quanto il popolo senese si riconoscesse nella devozione alla Vergine e con quanta intensità percepisse il sentimento del divino. Nel contesto di piena espansione della società comunale, con la nascita della borghesia e la continua evoluzione degli equilibri sociali preesistenti, prese forma poco a poco anche una diversa configurazione della santità: accanto ai santi eremiti, vescovi, abati e badesse della grande tradizione agiografica, cominciò a fiorire una santità ‘laica’ fatta di uomini e donne che concretizzarono il desiderio di partecipazione religiosa in modalità nuove ed eterogenee, quali l’adesione a confraternite impegnate in opere di misericordia, antesignane dei moderni servizi sociali, o a gruppi di devoti che si raccoglievano attorno ai neonati Ordini mendicanti e che crearono il concetto di Terzo Ordine come compromesso tra la perfezione della Regola e le necessità di una vita vissuta nel mondo.
Nel ricco panorama della santità senese esiste da secoli un filone tutto al femminile che ha toccato il suo apice in epoca medievale con la straordinaria figura di santa Caterina, essa stessa terziaria domenicana, ma che si è sviluppato e ha dato frutti copiosi dall’età moderna fino quasi ai nostri giorni, attraverso l’esperienza di donne dai percorsi variegati, di nobili o umili origini, madri o votate alla castità, la cui testimonianza di fede si è espressa nell’amore per Dio e nella carità verso il prossimo.
Venerabile Margherita Bichi
Nata nel 1480 in una delle famiglie più agiate del patriziato cittadino, fu sposa a soli diciassette anni. Rimasta vedova dopo pochissimo tempo, donò tutti i suoi beni ai poveri e, divenuta terziaria francescana, si dedicò ad una vita di preghiera e di assistenza agli ammalati, pur essendo ella stessa di salute cagionevole. Rapita spesso da estasi e visioni, la sua fama di profetismo la portò ad avere un ruolo importante durante il duro assedio che la città di Siena, alleata con l’imperatore Carlo V, subì nel 1526 da parte degli eserciti fiorentino e pontificio. Furono infatti le stesse autorità cittadine, timorose che la popolazione potesse cadere preda del panico, a interpellarla per fornire sostegno spirituale. Margherita presentò allora la situazione come una punizione divina per i peccati della città ma, nonostante ciò, seppe infondere negli animi la speranza della vittoria, mostrando la via per l’espiazione: prescrisse un atto pubblico di contrizione e devozione – tre giorni di digiuno, seguiti dalla confessione e comunione di tutto il popolo – e il rinnovo della donazione delle chiavi della città alla Vergine compiuto nel 1260 all’indomani della battaglia di Montaperti. Accanto a ciò, data la sua vicinanza all’Ordine francescano, difese anche il mistero dell’Immacolata Concezione, raccomandando che un gonfalone ad essa consacrato fosse portato in Duomo con processione solenne. Questo perché, all’epoca, il tema del concepimento immune dal peccato della Vergine era oggetto di un dibattito che vedeva contrapposti domenicani e francescani: i primi consideravano quella dottrina semplicemente come probabile, mentre i secondi erano sostenitori della sua veridicità e della necessità di un pronunciamento dogmatico ufficiale, che sarebbe avvenuto solo nel 1854. Ad ogni modo la fiducia della città nei confronti di Margherita fu così ampia che ella suggerì il piano stesso della battaglia, ispiratole da Maria durante l’estasi mistica. Il 25 luglio 1526 le truppe senesi riportarono una vittoria schiacciante, che fu interpretata come un intervento della Vergine. Da quel momento la vita di Margherita è avvolta nel silenzio. Morì nel 1535 e il capitolo della basilica di San Francesco deliberò di consentirne la sepoltura davanti all’altare dell’Immacolata che lei stessa aveva contribuito ad erigere con parte del suo patrimonio e che fu poi distrutto venti anni dopo, nell’incendio del 1555.
Il titolo di venerabile riconosciuto a Margherita viene attribuito a un servo o a una serva di Dio dopo che la Congregazione delle cause dei santi ne ha proclamato l’eroicità delle virtù o il martirio. A differenza del santo e del beato, il venerabile non può essere oggetto di culto pubblico.
Venerabile Caterina Vannini
Figura dalla vicenda umana a tratti molto forte, Caterina nacque a Siena tra il 1558 e il 1564 da un’umile famiglia, in una casa dell’attuale via Tommaso Pendola, nello spazio oggi occupato dall’Oratorio della contrada della Tartuca, dedicato a sant’Antonio da Padova. Rimasta orfana del padre quando era molto piccola, fu avviata precocemente alla prostituzione e, ancora adolescente, si spostò con la madre a Roma, dove continuò a fare la cortigiana con la nomea di Taide senese (dal nome di una prostituta protagonista di una commedia di Terenzio). La sua bellezza le fece riscuotere molti favori e, secondo le fonti, fu modella di Caravaggio; ci sono buone ragioni per credere che il pittore abbia ritratto Caterina nel dipinto raffigurante la Maddalena in estasi, opera conosciuta in tutto il mondo in diversi esemplari, di cui l’autentico sembra essere stato rintracciato nel 2014 in una collezione privata.
Sempre a Roma, durante il Giubileo straordinario del 1574, per contrastare la corruzione dilagante, papa Gregorio XIII mise al bando tutte le prostitute e Caterina fu incarcerata. Ottenuta nuovamente la libertà, decise di lasciare la città per fare ritorno a Siena, segnata nell’animo da quell’esperienza. Poco dopo il suo rientro, recatasi a messa nella chiesa di Sant’Agostino, l’ascolto di una predica su santa Maria Maddalena, peccatrice penitente, la indusse a convertirsi e a donare ai poveri tutti gli averi accumulati negli anni romani. Intraprese così un lungo cammino di mortificazione e penitenza che la portò dapprima a vestire l’abito di terziaria domenicana e poi, dopo qualche anno, a prendere i voti nel monastero delle Convertite di Santa Maria delle Grazie in via del Pignattello, oggi sede dell’Istituto Sacro Cuore di Gesù. Lì trascorse quattro anni in silenzio, in una celletta angusta, tra visioni e estasi mistiche. Ebbe un intenso scambio epistolare con il cardinale Borromeo, che visitò il convento nel 1604 e nel 1605 e che scrisse la biografia stessa di Caterina. Malata da tempo di idropisia, morì nel 1606 in odore di santità e la curia senese dette avvio alle indagini per il processo di beatificazione che però non superò mai l’esame della congregazione dei Riti e fu chiuso nel 1741.
Nel 1984 la contrada della Tartuca ottenne di poter traslare nel proprio oratorio i resti mortali della venerabile, che dal convento delle Convertite erano stati spostati nel 1813 nella chiesa del conservatorio di Santa Maria Maddalena in via Mattioli. Nel vicino museo della contrada sono esposti una teca con le vesti e due ritratti di Caterina, uno datato 1775, copia di un dipinto risalente al periodo romano, forse opera del celebre pittore Paolo Veronese, ed un secondo attribuito a Francesco Vanni.
Venerabile Passitea Crogi
Figlia del pittore Pietro Crogi, Passitea nacque nel 1564 nel rione di Fontebranda, poco distante dalla casa di santa Caterina, dalla cui figura venne influenzata in maniera molto forte fin dai primi anni di vita e alla quale fu accomunata dalle stimmate, ricevute come la santa attraverso un crocifisso che tuttora si conserva. L’inizio della sua ascesa spirituale fu segnato anch’esso da una croce, scagliata dal padre, che era anche scultore, tra la legna da ardere in quanto lavoro mal riuscito; recuperata dalla fanciulla, quella scultura di Gesù in croce le ‘parlò’ invitandola ad una vita di penitenza. Pur giovanissima, Passitea cominciò così a infliggersi mortificazioni corporali e a mostrarsi incline a pratiche e atteggiamenti mistici, che alternava alla cura dei bisognosi, dei carcerati e dei fanciulli abbandonati. Ben presto fu attratta dal carisma francescano e in particolare dall’esempio del frate marchigiano Matteo da Bascio che, desideroso di un ritorno al primo rigore della Regola di san Francesco, nel 1528 aveva fondato l’Ordine dei frati minori cappuccini, così detti per la peculiarità del loro saio con un cappuccio appuntito. Nel 1590, dopo la morte dei genitori, ella radunò alcune giovani donne e formò una congregazione cui avrebbe voluto dare la Regola cappuccina, incontrando però la resistenza dell’allora vescovo Ascanio Piccolomini, che riteneva fin troppo numerosi i conventi cittadini già esistenti. Intanto la fama delle sue iniziative caritatevoli e dei suoi doni mistici era giunta a Firenze dove, confidando nella protezione di alcune famiglie facoltose, ella cercò di attuare il suo progetto, che tuttavia, nonostante il favore di Cristina di Lorena e Maria de’ Medici, futura regina di Francia, non andò a buon fine. Rientrata a Siena, dove nel frattempo era morto il vescovo Piccolomini, con l’approvazione del suo successore cardinale Tarugi nel 1598 la piccola comunità prese finalmente possesso della Chiesa di Sant’Egidio e della casa annessa, nell’area del Castellare dei Malavolti, presso l’attuale piazza Matteotti. Nel 1603 vennero ultimati i lavori di costruzione del convento, dove le suore cappuccine risiedettero votandosi alla clausura e alla più stretta osservanza delle regole di santa Chiara. Nel 1602 e poi nel 1609 Passitea fu invitata a Parigi dalla regina di Francia e furono attribuite alla sua presenza guarigioni miracolose che destarono grande entusiasmo nei suoi confronti, tanto da farle ipotizzare di fondare un convento anche in terra francese. I soggiorni parigini si rivelarono in realtà dannosi nel processo di canonizzazione della cappuccina per via del suo ambiguo coinvolgimento negli intrighi di corte che portarono all’assassinio di due coniugi italiani, ritenuti potenzialmente dannosi per la corona.
Rientrata in Italia ebbe modo di erigere altri due conventi, uno a Piombino e uno a Santa Fiora sul monte Amiata, dove si conserva il veneratissimo crocifisso scolpito dal padre. La morte la colse nel 1615 a Siena, in Sant’Egidio; tutta la città accorse ad onorarla e si avviò subito il processo di canonizzazione che tuttavia, anche per i fatti di Parigi, fu definitivamente interrotto agli inizi del Settecento.
Il complesso di Sant’Egidio, oggi non più esistente, fu demolito nel 1903 per la realizzazione dell’odierno palazzo delle Poste, anno in cui le cappuccine si spostarono nella nuova sede appositamente costruita nelle vicinanze della basilica dei Servi. Nei primi anni Duemila un nuovo trasferimento le portò nel convento appartenuto un tempo ai frati cappuccini, alle porte di Colle di Val d’Elsa, dove sono rimaste fino al 2016 e dove erano state traslate anche le spoglie mortali della venerabile, poste in una nicchia murale, oltre a molte sue reliquie e al crocifisso da cui ella ricevette le stimmate.
Beata Anna Maria Giannetti Taigi
Al civico 60 della centralissima via dei Rossi, che collega il corso cittadino alla basilica di San Francesco, si trova una lapide in memoria di Anna Maria Giannetti nei Taigi, che in quella casa nacque nel 1769 e visse fino all’età di sei anni, quando i genitori dovettero trasferirsi a Roma per problemi finanziari. Ricevette la prima educazione cristiana dalla madre e dalle suore Maestre Pie Filippini del rione Monti, dove fu esemplare per obbedienza e bontà d’animo. Fin da giovanissima si dedicò a lavori umili per aiutare i genitori in difficoltà e, nonostante le ristrettezze economiche, trovò il modo di rivolgere le sue attenzioni e le sue cure a poveri e bisognosi. Divenuta cameriera in una casa signorile, a venti anni conobbe e sposò Domenico Taigi, un giovane rozzo nei modi e dal carattere difficile ma onesto e lavoratore, anch’egli servitore presso una nobile famiglia, quella dei Chigi. Il matrimonio durò tutta la vita e fu improntato ai più elevati princìpi cristiani poiché considerato dalla beata come un’altissima missione ricevuta dal cielo, tanto che ella trasformò la sua casa in un vero e proprio santuario, dove Dio aveva il primo posto. Ebbe sette figli, di cui tre morirono durante l’infanzia, e fu una moglie e una madre esemplare e instancabile, che divideva le giornate tra i doveri del proprio stato e gli atti di carità nei confronti del prossimo. Si recava negli ospedali della città prestando ogni più umile servizio e infondendo nei malati il conforto della fede; visitava spesso anche carcerati, violenti e peccatori, per la cui salvezza spirituale offrì preghiere incessanti e sopportò digiuni e penitenze. Devota alla Santissima Trinità, nel 1808 divenne terziaria dell’Ordine secolare Trinitario e fu consigliera di papi, cardinali, vescovi e uomini di stato. Ebbe numerosi doni mistici: cadeva spesso in estasi, aveva colloqui con il Signore, operava miracoli e guarigioni. Per quasi mezzo secolo fino alla morte venne misteriosamente illuminata da un “sole” con l’immagine di una corona di spine e di una croce, simbolo dell’incarnazione di Cristo; in quel sole ella vide svolgersi gli avvenimenti sociali e politici di tutta l’Europa e in particolare quelli che riguardavano le vicissitudini della Chiesa, dono che ella accettò con umiltà, servendosene esclusivamente per il prossimo. Preannunciò numerosi eventi storici che puntualmente si verificarono nei tempi e nei modi che lei aveva indicato, tra i quali l’abdicazione del re di Spagna Carlo IV, la caduta di Napoleone, il ritorno di Pio VII dopo l’esilio e l’elezione del futuro papa Pio IX. Dopo anni di malattia sopportati senza un lamento, morì nel 1837 e il suo corpo si conserva incorrotto nella basilica di San Giovanni Crisogono. Nel 1906 papa Pio X decretò le sue virtù eroiche dichiarandola venerabile e pochi anni dopo, 1920, venne proclamata beata da Benedetto XV.
Donna forte e generosissima, è stata la prima a salire sugli altari per aver raggiunto le vette della perfezione cristiana interamente nella vita matrimoniale, santa entro le mura domestiche, costantemente illuminata dalla presenza di Dio.
La chiesa di Siena ne attende l’ultimo riconoscimento della canonizzazione e la onora, come quella romana, il 9 giugno, giorno della sua morte. Nell’Insigne Collegiata di Santa Maria in Provenzano si trova un bellissimo dipinto, realizzato nel 2016 di Giovanni Gasparro, che ha saputo racchiudere in un’immagine l’essenza stessa della beata: raffigurata nelle sue vesti domestiche, con la fede nuziale al dito e al collo il cosiddetto ‘abitino’ con la croce rossa e blu, emblema dei terziari dell’Ordine secolare Trinitario, ella è intenta in un lavoro di ricamo ma il suo sguardo è rivolto verso l’alto, dove si trova il sole con all’interno la corona di spine e la croce che la accompagnò tutta la vita.
Beata Savina Petrilli
In una casa posta lungo la salita del Costone, indicata oggi da una lapide sulla facciata, nacque nel 1851 Savina Petrilli, poco distante dal luogo in cui Caterina da Siena ebbe la sua prima visione mistica, quasi a sancire un’eredità spirituale che sarà determinante nella vicenda della beata. La sua umile famiglia le trasmise fin da piccola i valori cristiani e a quindici anni aderì alla Congregazione delle Figlie di Maria, di cui fu subito presidentessa. Poco a poco, nonostante la mancanza di risorse economiche che le imponeva la sua condizione di semplice popolana, crebbe in lei il desiderio di dare vita ad una propria famiglia religiosa dedita all’apostolato, intento che, considerati i tempi e la sua giovane età, perseguì con straordinaria determinazione. Nel 1872, avuto il permesso del vescovo di Siena ed esortata da papa Pio IX a seguire le orme della grande santa senese, pronunciò insieme ad altre cinque consorelle i voti di povertà, castità e obbedienza fondando la Congregazione delle Sorelle dei Poveri di santa Caterina da Siena, che l’anno successivo inaugurò la sua prima sede nella modesta casa in via Diacceto appartenuta al padre di Savina. Come indica lo stesso nome scelto per la comunità, oltre all’amore per il crocifisso, per l’Eucaristia e per la Chiesa, ella aveva tratto da Caterina anche quello incondizionato per i poveri e i bisognosi, cui scelse di dedicare tutta sé stessa, curandoli con amore e abnegazione. All’inizio del loro cammino le consorelle si concentrarono principalmente sui fanciulli indigenti e abbandonati, che divennero sempre più numerosi finché la casa fu troppo piccola per accoglierli tutti. Grazie all’aiuto di alcuni benefattori, nel 1874 la comunità si trasferì così in via Baroncelli, nelle vicinanze della basilica di San Francesco, dove Savina riuscì ad acquistare le prime stanze di quella che diventerà, ed è tutt’oggi, la Casa madre della Congregazione. Il cambio di sede portò anche all’apertura verso nuove forme di povertà e le Sorelle cominciarono ad espandersi rapidamente in tutta Italia e poi anche all’estero, con l’invio delle prime suore missionarie a Belém, in Brasile, nel 1903 e in Argentina nel 1909. Nel frattempo, nel 1906, la Santa Sede aveva approvato definitivamente le costituzioni della Congregazione scritte dalla stessa Savina; il carisma trasmesso alle consorelle prevedeva una vita radicalmente improntata al sacerdozio di Cristo: come Gesù, per amore, si era fatto fratello dell’uomo caricandosi dei suoi peccati, così esse, per lo stesso amore, dovevano diventare sorelle dei miseri e cooperatrici della divina Misericordia, portando sollievo e pace laddove ci fossero pena e angoscia. Lo stemma stesso della Congregazione è un insieme organico di simboli che rivelano come Cristo e la Carità siano al centro della sua spiritualità: la croce con la corona di spine indica il sacrificio di Gesù, quello stesso sacrificio a donare sé stesse cui sono chiamate le Sorelle; al centro, il libro aperto con la scritta «Ubi Charitas Ibi Deus» (dove c’è Carità, lì c’è Dio) e il cuore fiammeggiante sottolineano che la Carità è l’essenza stessa dell’Istituto, mentre i gigli che affiancano la croce sono simbolo di purezza d’animo, di vita donata a Dio nella gioia.
Nel 1923, dopo un’intera esistenza trascorsa al servizio del prossimo, Savina morì a Siena e venne sepolta nel cimitero della Misericordia fuori Porta Tufi con immensa partecipazione di popolo. Nel 1925 il corpo venne traslato nella Chiesa di Sant’Elisabetta della Visitazione, fatta costruire su un preesistente edificio alla fine dell’Ottocento per volere della beata come voto alla Vergine e compimento della Casa madre, che sorge di fronte; il corpo è tuttora custodito all’interno di un sarcofago posto al di sotto dell’altare maggiore. La causa di canonizzazione venne introdotta nel 1981: dichiarata venerabile nel 1985, è stata proclamata beata nel 1988 da Giovanni Paolo II e la Chiesa senese ne festeggia la memoria il 18 aprile. Oltre che in Italia, le Sorelle dei Poveri sono attualmente presenti in Germania, India, Filippine, Ecuador, Brasile e Argentina, dove si dedicano all’educazione dell’infanzia e all’assistenza a poveri, anziani e ammalati, collaborando con le Chiese locali nella catechesi e nella partecipazione alla vita liturgica.
Vicino alla Casa madre, affacciato su piazza San Francesco, si trova l’edificio sorto per desiderio della stessa Savina inizialmente come scuola di lavoro per le bambine del popolo, poi come oratorio dove, oltre al lavoro e al gioco, si insegnavano i primi elementi culturali e cristiani. In seguito divenne scuola privata comprendente il Ginnasio e infine, durante la Seconda Guerra mondiale, ottenne la parifica per le cinque classi della scuola elementare. Nello spazio antistante, dove spesso giocano i bambini, è stata posta, nel decimo anniversario della beatificazione, una scultura in bronzo raffigurante la beata che poggia una mano in segno di protezione sulla spalla di una fanciulla scalza, simbolo di tutta l’infanzia bisognosa di cui ella si prese cura.
Venerabile Bianca Piccolomini Clementini
Erede della nobile casata senese che conta tra i suoi esponenti anche due papi, la contessa Bianca Piccolomini Clementini nacque nel 1875 e ricevette una profonda educazione cristiana, in un contesto permeato dal grande rinnovamento religioso dovuto all’influenza dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891), con la quale per la prima volta la Chiesa prendeva posizione riguardo alle questioni sociali. Agli inizi del Novecento collaborò attivamente con il fratello Pietro, più giovane di lei, che aveva contribuito alla fondazione della Società cattolica Pro Cultura e all’apertura di una sezione locale della Società nazionale di patronato e mutuo soccorso per le giovani operaie, iniziative che avevano l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita del popolo nella concordia tra le classi. Morto prematuramente il fratello, Bianca decise di proseguirne l’opera con progetti a sostegno dei più poveri e in particolare delle madri nubili con figli. Nel 1907 aprì così un laboratorio di ricamo e cucito in cui curò anche la formazione cristiana delle operaie attraverso una vera e propria scuola di religione. Divenuto Società anonima industria maglieria, ne trasferì la sede nel palazzo di famiglia posto in via Banchi di Sotto, poco distante da Piazza del Campo, e in quel periodo cominciò ad accarezzare l’idea di creare una congregazione di donne che fosse legata all’attività del laboratorio e svolgesse opera di evangelizzazione verso le giovani, senza tuttavia abbandonare l’abito secolare. La vita delle operaie venne così scandita da letture spirituali durante il lavoro, preghiere in comune e riunione eucaristica mensile. Fu proprio in quel periodo che Bianca venne a conoscenza della Compagnia di Sant’Orsola, detta anche delle Orsoline o delle Figlie di Sant’Angela Merici, dal nome della bresciana fondatrice di quell’istituto, in cui si consentiva di vivere in famiglia alle donne che ne entravano a far parte. Qualche tempo dopo, ella decise finalmente di fondare il primo nucleo senese di quella Congregazione, le cui costituzioni, ufficialmente approvate venti anni più tardi, prevedevano una declinazione particolare del carisma mericiano, in base alla quale, accanto alle Figlie che continuavano la vita in famiglia secondo il modello originario, era consentito che un gruppo di esse facesse vita in comune, emettendo il voto di castità e perseveranza nell’Istituto. La stessa madre di Bianca, dopo l’iniziale opposizione, chiese di entrare nella Compagnia, mettendo a disposizione Villa Santa Regina, poco fuori Siena, come casa di formazione. A partire dal 1950 si avviò la creazione della Federazione delle Compagnie orsoline italiane, alla quale la famiglia senese aderì fin da subito, pur portando avanti la propria peculiarità. Nel 1957, ormai inferma e ridotta a cecità, Bianca chiese di potersi dimettere dalla guida dell’Istituto; morì a Siena due anni dopo, nel 1959; nel 1995 la Chiesa cattolica la dichiarava serva di Dio e pochi anni fa, nel 2016, papa Francesco l’ha proclamata venerabile, riconoscendone le virtù eroiche.
La Compagnia delle Figlie di Sant’Angela Merici ha tuttora sede nel bellissimo Palazzo Piccolomini di via Banchi di Sotto, di impianto tardo trecentesco ma rinnovato nell’Ottocento e donato da Bianca all’Istituto qualche anno prima della sua morte.