9.4 I luoghi della battaglia di Camollia (25 luglio 1526)

La battaglia di Camollia

Dopo Montaperti (4 settembre 1260) e dopo le tante battaglie che si sono succedute nel tempo, i governanti di Siena decisero di rinforzare e fortificare l’area fuori Porta Camollia (lato Nord della città) da dove, in pratica, arrivavano gli attacchi più duri, in particolare quelli del nemico per eccellenza: Firenze.

Sono interventi importanti: l’Antiporto, il Torrazzo di Mezzo, che oggi non esiste più e che si chiamava “di Mezzo” proprio perché era la fortificazione presente tra Porta Camollia e l’Antiporto; l’edificazione di mura e baluardi che crearono un’area difensiva detta la “Castellaccia di Camollia”, la quale rappresentò, per secoli, un apparato difensivo molto scomodo da assaltare, al cui interno e nelle immediate vicinanze si sviluppò un borgo suburbano popoloso, situato proprio lungo la Francigena, ricco quindi di osterie, alberghi, monasteri, chiese e ospedali.

La situazione, però, cominciò a cambiare nel Cinquecento con l’avvento delle armi da fuoco e dell’artiglieria pesante. I senesi ebbero modo di constatarlo già nel 1526 quando si ritrovarono le milizie fiorentine, spalleggiate dalle truppe pontificie di Clemente VII, nuovamente alle porte della città, intenzionate a infliggere una dura lezione alla fedele alleata dell’Imperatore Carlo V.

I circa 8.000 fanti avversari, dotati per di più di armi all’avanguardia, s’impossessarono subito dell’Antiporto, ma la resistenza garantita dal Torrazzo risultò determinante perché impedì loro di attaccare la Porta di Camollia e le difese più prossime alle mura della città.

Il Torrazzo fu bombardato intensamente per più giorni, tanto che alla fine rimase diroccato, ma comunque resse finché il 25 luglio i senesi uscirono allo scoperto e attaccarono ai fianchi l’esercito nemico, il quale, colto di sorpresa, fu respinto. Siena ottenne così una vittoria insperata, passata alla storia come la “Battaglia di Camollia”. Per celebrare questo successo, l’anno successivo, fu commissionata la pittura della copertina del libro di “Gabella” (registro dove si annotavano gli importi delle tasse sulle merci in entrata e uscita della città) a Giovanni di Lorenzo

Cini. L’artista rappresenta lo scontro con dovizia di dettagli, fornendo così una preziosa testimonianza iconografica. Lo stesso pittore affrescò, ancora una volta con ricchi particolari, una parete della chiesa di San Martino effigiando la Madonna che protegge Siena durante le fasi della battaglia.

ANTIPORTO DI CAMOLLIA: la fortificazione dell’area esterna alle mura

Il cosiddetto Antiporto di Camollia, fuori dell’omonima Porta, nell’attuale viale Vittorio Emanuele II, venne costruito tra il 1259 e il 1262. Questo ingresso fortificato, il primo che si incontra venendo da Nord, in origine era di dimensioni modeste, ma dal 1270 fu consolidato e rifatto con pietre e mattoni, molte delle quali provenivano dalle case della famiglia ghibellina dei Salvani, distrutte dalla fazione guelfa dopo la battaglia di Colle Val d’Elsa. L’Antiporto venne popolarmente chiamato “porta Goltapalazi”, ma anche “portone”, “portone dipinto” o “della Vergine” per il nome dell’affresco posto sul frontespizio che rappresenta la Madonna: splendida accoglienza per chi arriva dalla via Francigena.

Antiporto di Camollia

In un racconto quattrocentesco di Lorenzo Ghiberti, esso viene spesso attribuito a Simone Martini, ipotesi non confermata perché l’opera andò subito perduta o, più verosimilmente, non completata, tanto che già nel 1360 circa vi intervenne Bartolomeo Bulgarini (1300-1378). Del tutto rinnovato da Alessandro Casolani (1552-1607), tra il 1585 e il 1588, venne sostituito quasi subito tra il 1676 e il 1682 quando, alla vecchia porta fortificata, fu aggiunto un antemurale, un portico che congiungeva, con un’ampia volta a crociera, la porta antica con quella moderna. L’incarico fu affidato a Giuseppe Nicola Nasini (1657-1736) che dipinse una Gloria della Madonna dell’Antiporto di Camollia sul frontone del manufatto antico al posto dell’affresco del Casolani e nel sottarco del nuovo portico gli emblemi delle diciassette Contrade in ricordo del contributo finanziario offerto da queste per i lavori. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’affresco principale andò perduto e riaffiorarono, tra l’altro, i resti di quello cinquecentesco, mentre gli stemmi delle Contrade, danneggiati dalle infiltrazioni d’acqua, vennero recuperati grazie a un recente restauro.

PORTA CAMOLLIA

Nella odierna Porta Camollia, della struttura medievale non restano tracce, ma solo testimonianze iconografiche. La più nitida è proprio sulla copertina di Gabella dove è ben visibile con il suo antemurale e con gli stemmi della Balzana e del Popolo in facciata. Semidistrutta dall’assedio del 1554-55, alla fine del XVI secolo, Francesco Vanni (1563-1610), nella sua veduta assonometrica di Siena, la rappresenta chiusa, diroccata nella parte alta e con travi o piloni che ne ostruivano l’ingresso, tanto che per entrare in città si doveva passare attraverso un arco provvisorio aperto a destra della porta stessa, le cui tracce sono ancora oggi visibili. La ricostruzione di questa porta era assolutamente necessaria e i lavori si effettuarono all’inizio del Seicento, come provano sia l’epigrafe sul lato interno che riporta il 1604 come anno di esecuzione, sia la pietra dedicatoria dall’altra parte, la quale, accompagnata dalla Balzana, dall’arme del Popolo e dallo stemma mediceo, inneggia all’allora granduca di Toscana Ferdinando I.

Porta Camollia

Il progetto viene unanimemente attribuito ad Alessandro Casolani, mentre la realizzazione degli apparati marmorei sarebbe opera dello scultore fiorentino, all’epoca stabilmente a Siena, Domenico Cafaggi detto Capo. La storiografia classica vuole che la nuova porta con il suo celebre motto “Cor magis tibi Sena pandit”, scolpito sull’arco esterno, sia stata inaugurata proprio nel 1604 in occasione dell’ingresso in città proprio di Ferdinando I e, dunque, sarebbe una specie di omaggio, magari a denti stretti, che la cittadinanza volle riservare al suo nuovo “padrone”. Studi recenti hanno dimostrato, però, l’infondatezza di tale conclusione: il granduca, infatti, venne in visita a Siena il 29 maggio 1602, ben due anni prima che fosse costruita la nuova porta, e non risulta che sia tornato nel 1604. Alla luce di ciò l’iscrizione potrebbe essere interpretata come un’espressione di accoglienza per chiunque giungesse a Siena e non come un atto di omaggio politico verso i Medici. Le immagini della porta realizzate dopo il 1604, dalla veduta di Siena di Rutilio Manetti (1610) ai rilievi a penna effettuati dal Macchi (inizio XVIII secolo) e da Ettore Romagnoli (1830), mostrano, secondo il progetto del Casolani, che da entrambi i lati dell’arco esterno, partissero due muretti in fondo ai quali si innalzavano delle colonne con sopra le lupe, simbolo della città. Tutto questo venne demolito verso la fine dell’Ottocento quando fu tracciata la strada che collegava la vecchia stazione ferroviaria alla porta, l’attuale viale Don Minzoni. Come raffigurato in tutte le vedute cittadine anteriori alla cinquecentesca Guerra di Siena, Porta Camollia era protetta da due alte torri che si elevavano ai suoi lati dalla parte interna e, secondo una consolidata tradizione erudita, si sarebbero chiamate dei Mangoni e dei Seramolli. Queste torri erano documentate già all’inizio del Duecento, prima genericamente come “torri di Camollia”: entrambe custodite dal Comune, erano spesso usate come prigioni finché queste non vennero costruite dietro Palazzo Pubblico. Ambedue furono abbattute dagli spagnoli tra il 14 e il 15 aprile 1554 con un cannoneggiamento iniziato a febbraio che costò agli imperiali ben mille colpi di artiglieria.

LA BATTAGLIA DI CAMOLLIA E LA LEGGENDA DI PALAZZO DIAVOLI

Palazzo Diavoli si trova tra viale Cavour e via Fiorentina. La storia e la tradizione ci tramandano una suggestiva visione della sconfitta di Firenze: il 25 luglio 1526 l’esercito inviato contro Siena da Papa Clemente VII e dai fiorentini viene disperso nella battaglia di Camollia dai soldati della Repubblica Senese, lasciando sul campo carriaggi e artiglierie. La fuga viene definita “vigliacca” dagli stessi fiorentini e l’episodio è ricordato in una lettera scritta da Francesco Vettori il 5 agosto a Niccolò Macchiavelli: “Voi sapete che io mal volentieri mi accordo a creder cosa alcuna soprannaturale; ma questa volta mi pare stata tanto straordinaria, non voglio dire miracolosa, quanto cosa che sia seguita in guerra dal 1494 in qua; e mi pare simile a certe istorie che ho lette nella Bibbia, quando entrava una paura negli uomini che fuggivano, e non sapevano da chi. Di Siena non uscirono più che 400 fanti che ve ne era il quarto del dominio nostro banditi e confinati, e 50 cavalli leggeri, e fecero fuggire insino alla Castellina 5000 fanti e 300 cavalli, che se pure si mettevano insieme dopo la prima fuga mille fanti e cento cavalli, ripigliavano l’artiglieria in capo a otto ore; ma senza esser seguiti più d’un miglio, ne fuggirono dieci. Io ho udito più volte dire che il timore è il maggior signore che si trovi, e in questo mi pare di averne visto l’esperienza cortissima”.

 

Palazzo Diavoli

Nel luogo dello scontro, si trova un edifico particolare che dalle visioni “demoniache” delle truppe fiorentine, secondo alcune leggende, ha preso il nome: Palazzo Diavoli. L’edificio, in laterizi, ha oggi una forma singolare. La parte più antica della struttura risale al XIV secolo, poi venne sopraelevata e munita di una torre cilindrica. La cappella, ora oratorio di Santa Maria degli Angeli, risale ai primi decenni del XVI secolo e fu eretta per volere della famiglia Turchi, alla quale si deve l’ampliamento del palazzo. L’attribuzione della progettazione della cappella è dubbia e oscilla tra Francesco di Giorgio Martini e Antonio Federighi, ma la critica di recente si orienta verso maestranze locali guidate da un disegno dell’altrettanto celebre architetto dell’epoca: Baldassarre Peruzzi (1481-1536).

SANTA PETRONILLA. Nel 1526 dedicata all’Immacolata Concezione che favorì la vittoria senese

La chiesa di Santa Petronilla, nell’attuale viale Cavour, sorge nel luogo dell’antica chiesa dell’Immacolata Concezione, distrutta da un incendio nell’agosto del 1869. La chiesa, come le costruzioni circostanti, è stata più volte smantellata e ricostruita. L’aspetto attuale di “finto romanico”, com’è stato definito, deriva da questo rifacimento di fine Ottocento che, di fatto, venne completato nel 1940 circa. All’interno sono presenti significative opere di pittori senesi del ‘600. Dove oggi è Santa Petronilla, fino alla metà del XVI secolo, sorgeva il monastero delle Clarisse intitolato alla santa martire romana Petronilla. Anche il monastero venne distrutto durante l’assedio di Siena trovandosi, peraltro, quasi nel centro del campo degli assedianti. All’inizio del Seicento si inizia a ricostruire l’intera area e al posto del monastero viene edificato il convento dei Cappuccini. I lavori cominciati nel 1622 (fu lo stesso granduca di Toscana a porre la prima pietra) si protrassero per un decennio e terminarono nell’ottobre del 1632, quando l’edificio religioso venne inaugurato dall’Arcivescovo di Siena Ascanio Piccolomini d’Aragona.

Al convento era annessa una chiesa, la cui struttura corrisponde a grandi linee all’attuale, e fu officiata sotto il titolo dell’Immacolata Concezione perché alcuni attribuivano alla Vergine Immacolata (quindi altra versione rispetto a quella “immaginifica” di Palazzo Diavoli) il successo dello scontro. Soppresso il convento tra Sette e Ottocento e destinata a usi profani persino la chiesa, essa fu riconsacrata nel 1895 e poco dopo acquisì l’odierna intitolazione a Santa Petronilla (che nulla ha a che vedere con l’antico monastero di Santa Petronilla). I locali del convento attiguo alla chiesa, ampio e disposto su più piani, esistono tuttora. Si possono così vedere le strutture originali, anche se internamente è stato trasformato e oggi ospita una residenza del Comune per persone con disabilità o bisognose.

CHIESA DI SAN PIETRO ALLA MAGIONE: il luogo del tradimento

In via Camollia si trova la chiesa di San Pietro alla Magione (per i senesi La Magione, come spiegato anche nel percorso dedicato agli Ordini Cavallereschi).

La chiesa è attestata dalla fine del X secolo e i frati benedettini di San Miniato al Monte, che l’avevano ricevuta dall’episcopio fiorentino, la tennero fino alla metà del XIII secolo insieme allo xenodochio annesso e menzionato già nel 1109. San Pietro diverrà sede dei Templari intorno al 1247 e, non a caso, un diploma del vescovo fiorentino del 1246 non la elenca già più tra i possedimenti dei benedettini di San Miniato. Dopo le note vicende che portarono alla persecuzione e soppressione dei Templari da parte di papa Clemente V, nel 1312 anche la Magione del Tempio in Camollia passò all’Ordine del Sacro Ospedale di San Giovanni in Gerusalemme, presente a Siena sin dal 1173. L’edificio odierno de “La Magione” presenta vari caratteri del romanico senese, tanto da far pensare che sia il frutto di una costruzione avvenuta nella seconda metà del XII secolo; ovviamente non resta nulla di quello più antico, con interventi databili fino alla metà del Trecento. Nel XVI secolo fu aggiunta la cappella laterale, dedicata alla Presentazione al Tempio, mentre in occasione dei restauri di inizio Novecento la facciata venne sopraelevata di quasi un metro. Sul retro della chiesa, un edificio con un portico a piano terreno, quello destinato in origine al ruolo di ospedale, con sopra le abitazioni dei frati.

 

Chiesa di San Pietro alla Magione

E proprio in questa chiesa, mentre Siena è sotto assedio nell’estate del 1526 si consumò il tentativo di tradimento di Lucio Aringhieri, cavaliere gerosolimitano e, addirittura, precettore de La Magione.

Secondo i racconti degli eruditi, in quegli anni di lotte intestine all’interno della città tra fazioni rivali, Lucio Aringhieri parteggiava per gli alleati dei Medici e del Papa e, dopo un viaggio a Roma, venne istigato a sovvertire il governo senese. Così scavò un pozzo all’interno de La Magione di San Pietro dove risiedeva, da collegare a un tunnel sotterraneo che passava sotto le vicine mura cittadine, con l’obiettivo di far transitare di notte l’esercito nemico. Per completare il lavoro occorreva, però, una lunga scala di legno che l’Aringhieri commissionò a un falegname (Benedetto, noto come Betto) il quale, sospettoso, avvisò il governo e lo fece catturare. All’Aringhieri fu mozzata la testa davanti a Palazzo Pubblico e, nell’occasione, fu impiccato anche il parroco di San Pietro, tal Fabio di Cosma, in quanto “non poteva non sapere”. All’interno de la Magione di San Pietro esiste ancora il “famigerato” pozzo tutt’oggi chiamato “il pozzo dell’Aringhieri”.

PORTA DI FONTEBRANDA: da dove parte l’offensiva senese

Era la notte del 25 luglio 1526 quando i senesi organizzarono una sortita contro il campo dei fiorentini. Così, mentre una schiera armata si ammassava all’interno di Porta Camollia, una seconda, al comando di Alessandro Politi, uscì dalla Porta di Fontebranda, risalì le mura dall’esterno e arrivò fino a Camollia. Ivi, al segnale convenuto – lo scampanio della campana grossa di Palazzo Pubblico, l’antenata dell’attuale campana posta sulla Torre e denominata dai senesi “Sunto” a cui si unirono, all’unisono, tutte le campane della città – il popolo senese si armò, gettando nello sgomento il campo fiorentino-mediceo che ancora addormentato non seppe reagire. Secondo le cronache, infatti, il popolo si riversava furioso fuori dalle mura, mettendo in fuga il nemico.

MUSEO DELLE BICCHERNE: a Palazzo Piccolomini il ricordo iconocografico dello scontro

Palazzo Piccolomini, sede dell’Archivio di Stato di Siena, ospita il Museo delle Biccherne.

Delle 105 opere esposte a noi interessa la n. 49, la già citata tavoletta di Gabella de “La vittoria di Porta Camollia a Siena del 1526”, realizzata da Giovanni di Lorenzo Cini (Siena 1487?-1562) che “fotografa” il momento in cui i senesi vittoriosi si impadroniscono delle artigliere nemiche che poi portano dentro le mura come bottino di guerra.

Secondo quanto scrive Alessandro Sozzini (1508-1541) nel suo “Diario”, la tavola fu commissionata dal camarlengo di Gabella di quel 1526: Niccolò di Amerigo Amerighi. La dedicazione originaria è andata perduta e oggi, nella parte inferiore della tavola, si legge la glorificazione della vittoria di Camollia e il nome di Lorenzo Rosi “cesellatore”, il quale nel giugno 1758 donava la tavola al comune di Siena. A che titolo il Rosi ne fosse in possesso non lo sappiamo.

 

Museo delle Biccherne

L’opera mostra con grande precisione la struttura e gli edifici presenti nell’area a nord di Siena: si vede sul muro dell’Antiporto il grande tabernacolo con la Madonna; più avanti, dopo il Prato di Camollia, si nota il Torrazzo rovinato dalle cannonate nemiche; Porta Camollia, merlata e aggettante, nella forma ancora medievale, con la Balzana e il Leone del Popolo in facciata e con due vessilli che svettano, portanti l’uno l’aquila imperiale e l’altro, più grande, l’immagine dell’Immacolata Concezione (quest’ultima dipinta da Giovanni di Lorenzo). Dietro la veduta della città: la cinta muraria alta e inattaccabile, il fitto ammasso delle case e le tante torri altissime, quasi tutte demolite nel Settecento.

LA BATTAGLIA DI CAMOLLIA, SAN GIACOMO E L’ORATORIO DELLA CONTRADA DELLA TORRE

In via di Salicotto troviamo l’oratorio della Contrada della Torre. Il 25 luglio, giorno della vittoria di Camollia, è la festa di San Giacomo Maggiore e di San Cristoforo. Nel mese di giugno, i governanti avevano affidato all’artista Giovanni di Lorenzo la realizzazione del gonfalone con la Vergine Immacolata che venne portato in solenne processione a Porta Camollia il 18 luglio e posto sulla porta a protezione della città. Nell’agosto del 1531, dopo approvazione delle autorità, in Salicotto, inizia la costruzione della chiesa intitolata ai Santi Giacomo Maggiore e Cristoforo proprio in memoria di questa vittoria: i padri leccetani della parrocchia di San Martino concedono agli abitanti il permesso di edificare un edificio religioso mentre la Balìa dona agli abitanti calcina, denari, nonché i materiali del diroccato Torrazzo e del distrutto monastero di San Prospero. Per finanziare il progetto, gli uomini di Salicotto che avevano preso parte in prima persona alla battaglia contribuiscono con offerte in denaro e prestando il loro lavoro materiale e organizzativo. Tra i primi operai della chiesa c’è il maestro Giovanni di Lorenzo che dal 1526 abitava in quella via, il quale si impegna fortemente per l’edificazione dell’oratorio, gratuitamente e compiendo un gesto generoso: nell’agosto del 1531 destina a favore della chiesa il compenso di 12 lire che gli spettava “da deta chontrada per dipentura di una bandiera de’ Liofante, fata più tenpo fa”.

 

Oratorio della Contrada della Torre

I Comuni di Terre di Siena