9.5 Baldassarre Peruzzi e la città fortificata

La città fortificata, LE DIFESE E L’INTERVENTO DI Baldassarre Peruzzi

Fu dopo la battaglia combattuta e vinta a Camollia nel 1526 che i senesi capirono quanto fosse necessario fortificare adeguatamente la città. Così la Repubblica affidò al concittadino Baldassarre Peruzzi l’incarico di rivedere e rinforzare le fortificazioni senesi, adattandole alle rinnovate esigenze militari (come, ad esempio, contrastare le armi da fuoco).

Baldassarre Peruzzi: l’epigrafe e il ritratto nella casa in cui abitò

In via Camollia al civico 168, dove abitava, ci sono una lapide e un bassorilievo che ricordano l’architetto Baldassarre Peruzzi (1481-1536). Vennero apposte, nel 1923, dal Comitato per le celebrazioni peruzziane: la scultura che lo ritrae, presa da un autoritratto, è opera dello scultore Emilio Gallori (1846-1924).

Peruzzi si formò a Siena nell’ambiente di un altro celebre pittore del tempo: Bernardino di Betto detto il Pinturicchio. Trasferitosi a Roma costruì La Farnesina e lavorò alla fabbrica di San Pietro: siamo nel 1532. Dopo il sacco di Roma del 1527, tornò a Siena dove prestò la sua arte a molte famiglie signorili e dove venne insignito della nomina di “Architetto della Repubblica Senese”. Peruzzi ricoprì l’incarico fino al 1535, nonostante i pagamenti in suo favore cominciassero a rarefarsi già da tre anni prima. Vasari, nelle sue cronache di Firenze, scrive che Peruzzi (inviato dalla Repubblica di Siena – che stava dalla parte dei Medici nell’assedio che questi posero a Firenze fra il 1529 e il 1530 – a dar consigli su come bombardare al meglio la città dell’Arno) si limitò a dare qualche indicazione generica, non sentendosi in accordo con la politica senese. Per la verità, l’architerro rimase nel campo mediceo per il tempo strettamente necessario, ma non per motivi ideali, bensì perché pressato da altri impegni di lavoro. Una bella descrizione romantica, quella vasariana, ma non suffragata da alcuna prova concreta.

La sua ultima grande opera lo vedrà di nuovo a Roma e sarà il palazzo Massimo alle Colonne (1532) dall’originale facciata curva.

Le Fortificazioni Peruzziane: mura e fortini

Per apprezzare il genio militare peruzziano bisogna osservare anche le “belle testimonianze civili” come la costruzione di palazzi cittadini, alcune chiese (l’intervento più evidente fu l’incarico di secondo architetto della fabbrica del duomo), gli oratori di Contrada, molte ville e castelli nel territorio senese (il castello di Belcaro, villa Chigi a Vicobello, Celsa a Sovicille, La Suvera a Casole d’Elsa, L’Apparita a Siena, Montepò a Scansano).

All’interno della città, seguiremo invece il percorso dedicato al sistema fortificato di Siena, evidenziandone i cambiamenti in base alle vicende belliche che hanno coinvolto la città nel corso dei secoli. In questa passeggiata delle mura cittadine spesso incontreremo spesso la mano del genio architettonico peruzziano.

Peruzzi aveva ben compreso che i modi di combattere erano cambiati e che si dovevano modernizzare le fortificazioni medievali del tutto inadeguate ad affrontare l’artiglieria moderna: le mura e le torri erano troppo alte diventando così facili bersagli sotto i colpi dell’attacco nemico. Pragmaticamente lo scopo principale del programma di interventi del suo progetto fu quello di sfruttare il sistema difensivo già esistente, aggiornando le vecchie fortificazioni e integrandole con i nuovi apparati architettonico-militari, costruiti in posizioni prestabilite.

Ideò la costruzione di ben otto “torrazzi” posti lungo la cinta muraria, di cui oggi ne restano tre: uno fuori Porta Laterina; uno dentro Porta Pispini e il cosiddetto “Fortino delle donne”, fuori Porta Camollia. Il progetto di difesa imitava le nuove opere all’essenziale, cercando il miglior compromesso tra efficacia, rapidità ed economia. Scelse di non costruire una nuova cinta; individuò i punti critici, fortificò le porte, difese le strade d’accesso, si concentrò sui lati più esposti. Di fatto Peruzzi volle edificare bastioni che proteggessero le mura da un punto di fuoco all’altro: per questo utilizzò nei suoi fortini mura stondate che risultassero meno deboli ai colpi diretti e che potessero controllare il territorio circostante a 180 gradi.

fortino della donne Senesi

Il fortino delle donne Senesi

In via Biagio di Monluc troviamo quel che resta del “Fortino delle donne”. Terminato nel 1529 questa fortificazione, a ridosso delle mura e poco distante da Porta Camollia, assunse la forma di un’autentica macchina da guerra, ben attrezzata per il fuoco di fucileria. La sua popolare denominazione gli deriva sia dalla tradizione, sia  da quanto scritto nei “Commentaires” da Blaise de Monluc, l’ufficiale francese nominato governatore della città durante l’assedio del 1554 – 1555, cui è stata intitolata la strada antistante al fortino. Nelle sue memorie, pubblicate postume nel 1592, il maresciallo transalpino afferma che, se avesse potuto scegliere, avrebbe preferito difendere Roma con le donne senesi piuttosto che con i soldati romani. Ricorda, infatti, il coraggio dimostrato durante quei terribili mesi di nobildonne quali Fausta Piccolomini, Laudomia Forteguerri e Livia Fausti che, racconta, organizzarono tre nutrite compagnie tutte al femminile combattendo valorosamente al fianco degli uomini. La tradizione le ha mandate in scena (per così dire) proprio su questo particolare palcoscenico che, da loro, avrebbe dunque avuto il nome.

Per la verità, la denominazione di “Fortino delle Donne senesi” è piuttosto recente e non compare in alcun documento antico, risalendo con ogni probabilità al 1928, anno in cui la società degli “Amici dei Monumenti”, fondata nel 1902 e a lungo presieduta dall’allora podestà Fabio Bargagli Petrucci, appose una targa nella parete del manufatto peruzziano a perpetua memoria delle eroiche donne di Siena. A conferma di ciò, in una pianta delle fortificazioni esterne di Camollia rilevata con precisione dall’architetto militare Francesco Laparelli ai tempi dell’assedio, il fortino viene chiamato semplicemente “casamatta”; e ancora una mappa della città databile ai primi dell’Ottocento lo identifica con la significativa dicitura di “rovine della Castellaccia”.

Scorrendo i registri della contabilità della Repubblica di Siena, invece, potrebbe sorgere l’ipotesi che la postazione militare abbia assunto questo nome forse per una ragione più pratica che “mitica”: la costruzione venne finanziata con i proventi derivanti dalle tasse che pagavano, per esercitare il loro mestiere, le “donne di partito”, cioè le tasse regolari delle meretrici. Il dilemma appare chiaro: come potevano i senesi chiamarlo “Fortino delle prostitute?”. Suonava davvero male ed ecco che “Fortino delle donne” sembrò il compromesso più adeguato.

Oggi rimangono solo alcuni resti ed è difficile stabilire se i danni furono inferti dai cannoneggiamenti subiti durante la Guerra di Siena o se furono i fiorentini a decidere, dopo l’assedio, di demolire parzialmente le strutture rimaste: o ancora se questa si sia ridotta a un rudere per il suo secolare abbandono. Non c’è dubbio, infatti, che, essendo a ridosso delle mura, il forte sia stato oggetto di attacchi durante i mesi convulsi. Però è anche vero che nei diversi resoconti dell’assedio non si parla mai di bombardamenti contro questo fortino più devastanti di altri, senza contare che nella pianta della città redatta “a veduta d’uccello” da Francesco Vanni (1595-1604) s’intravede ancora in buone condizioni. Alla luce di ciò, la terza ipotesi sembra la più attendibile.

PORTA CAMOLLIA E L’AREA DI DIFESA A NORD DI SIENA

La Porta Camollia risale alla seconda metà del 1100 ed è stata ricostruita agli inizi del XVII dopo essere stata semidistrutta durante la guerra del 1555. Essa ha perduto il suo aspetto originario di porta difensiva e presenta una forma monumentale. I due passaggi laterali risalgono al 1931 e furono voluti dall’allora podestà di Siena Fabio Bargagli Petrucci per rendere agevole il passaggio delle persone: la porta era, infatti, transitata dai vari mezzi di locomozione dell’epoca. Per realizzare quello dalla parte di viale Don Minzoni, il Comune demolì un casotto adibito a ricovero per i dazieri, tra l’altro notevolmente deturpante. Guardando le mura sulla sinistra, dalla parte esterna della cinta muraria, si vede un primitivo arco di apertura, successivamente tamponato che risale con molta probabilità all’originaria costruzione; si può notare sulla destra anche qualche traccia di una torretta oramai perduta. Il tutto costituiva la Castellaccia. Tra queste fortificazioni e l’Antiporto vi era il cosiddetto Torrazzo di Mezzo che non esiste più e, infine, l’Antiporto, imponente e affrescato in parte, adesso isolato senza tutto l’apparato cinquecentesco collegato al sistema difensivo da contrafforti e recinzioni murarie. L’assetto della struttura è chiaramente visibile ne “La vittoria di Porta Camollia a Siena del 1526”, conservata nel Museo delle Biccherne nell’Archivio di Stato di Siena.

DA PORTA CAMOLLIA A PORTA OVILE

Lungo le mura che collegano Porta Camollia a Porta Ovile, si vedono, passando da viale Don Minzoni, sono visibili due archi tamponati, evidenti residui di due porte: l’antica Porta di Monte Guaitano, che pare avesse un rivellino e fosse stata chiusa e riaperta più volte a seconda delle necessità (non è visibile alcuna traccia dell’ulteriore struttura difensiva interna che completava l’apertura, in quanto inglobata negli edifici dell’attuale Istituto Campansi) e Porta Campansi, tamponata a filo delle mura, oggi privata, a uso dell’omonimo Convento di San Girolamo.

Sempre in alto sulla scarpata scendendo verso Ovile è visibile l’imponente torrione di guardia che porta il nome dell’area: Torre Campansi. La struttura della torre, ancora ben conservata, si presenta come un grosso manufatto liscio: è molto interessante la parte interna corredata da una scala per raggiungere la sommità che si può ammirare entrando nella struttura del Campansi o nel giardino di Villa Rubini.

Proseguendo ancora fino alla fine del viale Don Minzoni, si raggiunge il sito dell’antica Porta San Lorenzo, demolita nel 1850 per creare un comodo collegamento stradale in occasione della nascita della Stazione Ferroviaria.

Da Porta Ovile a Follonica

Porta d’Ovile comprende un massiccio rivellino e, grazie a un’operazione di pulizia contro erbacce e vegetazione varia effettuata dall’Associazione di volontariato “le Mura”, alcune feritoie, posizionate troppo in basso rispetto a quello di uso normale, fatto che attesta quindi un innalzamento del piano della strada. La porta appare abbellita da archetti e merli, in omaggio all’antica consuetudine e all’orgoglio cittadino che volevano che i varchi di accesso avessero un impatto elegante oltre che funzionale, concetto che veniva applicato a ogni opera muraria adibita alla difesa di Siena.

L’interno di Porta Ovile, nella parte di mura sottostante via del Comune (una delle strade che conduce verso il centro della città), racconta il già citato comandante Biagio di Monluc, nel 1555, fu interessata da un intenso bombardamento. Nella sua cronaca puntuale dei mesi di battaglia e assedio ci dice che dal Colle di Ravacciano, posto di fronte, erano stati puntati i cannoni che spararono palle di ferro sulle mura della zona. La parte di territorio interno alla cinta muraria, avendo abitazioni a schiera, non aveva consentito di allestirvi terrapieni, fossi, carbonaie. Per questo, come vogliono la sua narrazione e la tradizione, gli stessi abitanti e, con loro, le schiere delle tre donne già ricordate, in una nottata buttarono giù tutte le case. Monluc ebbe parole di encomio e ammirazione per loro. La battaglia fu poi risolta in favore della città quando lo stesso comandante fece posizionare a Porta Camollia un grosso cannone con un “cecchino” che neutralizzò l’offensiva dei cannoni nemici, come detto posizionati a Ravacciano. A parziale conferma di quanto riportato da Monluc, sono ancora visibili le tracce delle cannonate sulle mura a sinistra di Porta Ovile. Inoltre, sul terreno sottostante, sono state trovate quattro palle di cannone di ferro, esattamente come egli raccontava. I reperti, affidati alla Soprintendenza alle Belle Arti, sono stati restaurati e datati.

LA VALLE DI FOLLONICA

La cinta muraria si estende sotto il rione della Contrada del Bruco, prosegue lungo via Peruzzi e costeggia la parte esterna della bella e importante Valle di Follonica a cui si accede passando dal giardino della Contrada del Leocorno (l’ingresso è da Piazzetta Virgilio Grassi: bisogna attraversare l’arco a destra dell’oratorio di San Giovannino e poi il cancello sulla sinistra). La bellezza della Valle è unica per vegetazione, esposizione, panorama della città. Inoltre è arricchita dalla presenza della Fonte di Follonica, utilizzata anticamente anche per la follatura della lana (da cui il nome “follonica” che non c’entra niente con la popolare località balneare della costa maremmana), e dei torrioni di guardia inseriti a intervalli regolari nel circuito murario. I numerosi torrioni sono conservati abbastanza bene, impreziositi con ornamenti di pietra su mattone e hanno scale interne che permetterebbero, in condizioni di sicurezza, di raggiungere gli spalti delle mura che sono, tra l’altro, abbastanza larghi da essere percorribili. Lungo la struttura muraria vi sono, poi, archetti doppi che servivano proprio per ottenere un camminamento ancora più ampio del muro stesso. Può essere affascinante risalire il pendio, costeggiare il torrentello sulla destra e scoprire un inimmaginabile bosco di bambù, formatisi nei secoli perché la nobile famiglia Piccolomini, che abitava sopra la valle nell’800, fece costruire un giardino esotico e i semi di bambù “invasero” l’area sottostante.

Il fortino di Porta Pispini: capolavoro militare del Rinascimento

A pochi metri da porta Pispini, all’interno dell’ex Distretto Militare, troviamo il torrazzo (o fortino), meglio conservato tra quelli realizzati da Baldassarre Peruzzi. Edificato in mattoni, ha una forma allungata con un lieve cuneo al centro ed estremità arrotondate; la base è a scarpa ornata da un cordone e la copertura a cupola a cui si accede dal camminamento di ronda. Sui fianchi si aprono le cannoniere su due piani.

Fortino di Porta Pispini 

All’interno si distinguono tre grandi ambienti sovrapposti ognuno con una sua specificità d’uso. Il più basso, seminterrato, era utilizzato come deposito, coperto da una semi cupola e privo di aperture verso l’esterno delle mura. L’ambiente intermedio aveva due cannoniere posizionate per proteggere Porta Pispini e la cinta adiacente ed era collegato tramite una scala a una torretta e al piano sottostante. La cupola del piano superiore conteneva delle cannoniere rivolte all’esterno e altre posizionate come quelle del piano sottostante; altre due cannoniere erano poste in modo da proteggere le mura del fortino stesso. Un foro circolare caratterizza la sommità della cupola, creata con ogni probabilità per dare sfogo al fumo delle batterie.

PORTA PISPINI

Porta Pispini ha la forma di Torrione e possiede un rivellino. Dalla Porta si vede il tratto di mura che arriva a Porta Romana e si capisce come le mura fossero ben controllate dalle difese allestite sulle porte e lungo la struttura muraria. L’interno contiene un locale di guardia, anche se oggi, non essendoci più le scale, non è accessibile.

PORTA ROMANA

Porta Romana è caratterizzata, anch’essa, dall’avere forma di grande torrione a base quadrata. L’interno contiene locali piuttosto ampi, praticabili e muniti di scale che conducono sul tetto dell’edificio. Esiste ancora il locale in cui alloggiavano le guardie del dazio, presenti fino al 1930. Sia Porta Pispini che Porta Romana in origine erano affrescate. Porta Romana era ornata con lupe in pietra, aveva un grosso rivellino e veniva considerata la più bella porta mai costruita, anche per le notevoli dimensioni: nel punto più alto raggiunge i trenta metri di altezza. Le due porte suddette furono collegate alle mura solo dopo essere state costruite.

L’ORTO DE’ PECCI E PORTA GIUSTIZIA

Da Porta Romana si scende all’Orto de’ Pecci da dove le mura risalgono fino a Porta Tufi. L’Orto de’ Pecci è una vallata ricca di corsi d’acqua che trovano il loro sfogo grazie a passaggi costruiti con volte e pavimenti in mattoni a coltellato, chiusi con grate di ferro. Le mura dalla parte di Porta Tufi presentano una scarpata poco praticabile per la sua verticalità. La valle verde dell’Orto de’ Pecci (il cui nome è attestato dal 1547) era conosciuta anche come Valle di Porta Giustizia poiché i condannati a morte, dalle prigioni che nel XIII secolo si trovavano all’interno di Palazzo Pubblico, percorrevano questa strada fino all’antica Porta Giustizia per arrivare alle forche della Coroncina.

I lavori per la costruzione di Porta Giustizia iniziarono nel 1323. Oggi la porta non esiste più, ne restano solo i segni dell’arco tamponato sull’esterno delle mura.

L’unica fonte iconografica che ce la attesta è la veduta di fine Cinquecento realizzata da Francesco Vanni: si nota una sorta di rivellino, forse interpretabile come la massiccia torre merlata detta Tempio della Giustizia. Il baluardo e la porta, come ci racconta Alessandro Sozzini ne il “Diario delle cose avvenute in Siena dal 20 luglio 1550 al 28 giugno 1555”, subirono alcuni danni durante i mesi dell’assedio e, comunque, all’inizio del ‘600 la porta viene smantellata. Lo stradario del 1789 ne dà conferma sostenendo che Porta Giustizia è “da lungo tempo serrata”. Dal lato dell’Orto de’ Pecci non si notano oggi segni che attestino l’antica Porta.

DA PORTA ROMANA A PORTA TUFI

Porta Tufi ha forma di torrione non massiccio con un interno non accessibile perché la porticina di accesso è al di sopra del piano stradale. Possedeva un rivellino: se ne vedono le tracce dell’innesto nella struttura della porta. Sulla porta è stata apposta dalla contrada della Tartuca una lapide che ricorda che, nel luglio del 1552, Enea Piccolomini e Giovanni Benedetti entrarono da quella porta con un esercito di fuorusciti per sostenere i senesi che si erano organizzati contro la dominazione spagnola della città.

PORTA SAN MARCO

Da Porta Tufi, attraverso via delle Sperandie, arriviamo a Porta San Marco. Dove la strada piega ad angolo troviamo un muretto che offre un panorama vastissimo che giunge fino al Monte Amiata: è quanto rimane delle mura antiche che furono abbattute dai tedeschi in ritirata durante la Seconda Guerra Mondiale. Un brandello del muro originale lo troviamo all’altezza dell’inserimento sulla Porta sull’angolo della strada. Dopo la fine della guerra, tra le due soluzioni di ricostruire le mura com’erano oppure lasciare visibile il panorama conservando il ricordo della distruzione, prevalse la seconda idea.

Porta San Marco, in origine, era molto più grande di come si presenta oggi: ha una struttura a torrione a pianta rettangolare caratterizzata da un rivellino di cui, sulla parte sinistra dall’esterno sono visibili gli inserimenti.

Come molte porte della cinta muraria senese, anche questa viene pensata e costruita come ingresso prima di essere inglobata e collegata alle porte limitrofe da mura di collegamento. In precedenza, infatti, anch’essa era “semplicemente” dentro un sistema di castellacce, terrapieni, fossati, carbonaie che proteggevano la città. Del resto le opere pubbliche erano onerose per le casse dello Stato ed è dunque comprensibile che i senesi, fatta la porta, sfruttassero la morfologia del sito come difesa naturale. Citata per la prima volta nel libro di Biccherna del 1253 tra le porte dove un ufficiale del Comune doveva pesare la biada e il grano che entravano a Siena, essa era ancora definita “nuova” nel 1257, e risulta terminata solo alla fine del Duecento.

Per renderla più sicura, nei primi decenni del Cinquecento, Baldassarre Peruzzi vi costruì davanti un antiporto a ulteriore protezione del luogo, ma durante l’assedio del 1554-55 la struttura subì forti danneggiamenti tanto che nella già citata veduta di Siena di Francesco Vanni, elaborata tra il 1595 e il 1604, viene raffigurato solo qualche resto di muraglia sul lato destro della porta e un arco che lasciava passare la ripida discesa del Giuggiolo.

PORTA LATERINA E IL SUO BASTIONE

Il baluardo di Porta Laterina ci consente di approfondire l’opera militare di Peruzzi. Si trova uscendo dalla porta, sulla destra, e si presenta in buone condizioni con due facce diritte riunite ad angolo retto.

Porta Laterina

Il muro è a scarpa. Questo tipo di struttura era più efficace nella difesa e riusciva a deviare meglio i colpi di cannone. Inoltre era dotata di bocche da fuoco su tutti i lati. I baluardi erano posizionati in modo che da ognuno si potesse controllare il precedente e il successivo, compreso il tratto di mura che li univa e le vallate con le strade di accesso alla città. Anche esternamente a Porta San Marco, Peruzzi costruì un bastione quadrangolare, ormai perduto, collegato visivamente al questo di Porta Laterina e alle Castellacce di Porta Tufi. Quando la vegetazione lo consente, si vedono le mura scendere prima a precipizio, poi più leggere fino alla Porta Fontebranda ora modesta e piatta, ma anticamente dotata di torrione e rivellino. Quindi dal baluardo di Laterina si potevano controllare le mura e la vallata fino alla detta Porta di Fontebranda e alle mura fino a San Domenico

PORTA LATERINA

Tra quelle ancora in funzione, Porta Laterina si caratterizza per il prospetto essenziale, anche se in origine era rinforzato da un antemurale merlato. Attestata già alla fine del Duecento, spesso veniva indicata con il nome di “Porta Stalloreggi nuova”, avendo “sostituito” l’antica Porta di Stalloreggi, oggi nota popolarmente come le “Due Porte”. Nel 1554, durante la Guerra di Siena, al suo esterno fu scavato un ampio fossato per timore che gli assedianti potessero scalare le mura piuttosto basse in quel punto; per oltrepassarlo venne costruito un ponte in muratura. Di questo restano due arcate in parte tamponate ben visibili nell’oliveta sottostante. La porta, invece, fu addirittura murata ed è rimasta tamponata fino alla fine del Settecento quando, sul prospiciente poggio Rosaio, fu realizzato il camposanto comunale del Laterino. Qui Peruzzi, a ulteriore difesa, volle un torrazzo di notevoli dimensioni.

LA FORTEZZA MEDICEA E I RESTI DELLA FORTEZZA SPAGNOLA

La Fortezza Medicea si presenta isolata rispetto alle mura anche a causa della loro distruzione, avvenuta negli anni Venti del Novecento, quando venne edificato il quartiere di San Prospero. La Fortezza possiede al suo interno ampi vani e scale che scendono nei sotterranei verso i quattro ambienti corrispondenti ai quattro bastioni, muniti di troniere che si aprono all’esterno, e in parte rovinate. Sul muro esterno, un grande stemma della famiglia Medici.

Fortezza Medicea

Superata la Fortezza Medicea, si ritrovano interessanti tracce di mura sotto il tribunale: sono i resti dell’antica Fortezza Spagnola. Per vederli, occorre salire la strada che dall’arco di Fontegiusta costeggia il muro alla sua destra fino a raggiungere il parcheggio interno del tribunale. Si vede la parte bassa di un grosso muro a pianta quadrata dalla cui larghezza si intuisce la vastità e la lunghezza della struttura. Il fianco sinistro del rudere è ancora rivestito delle pietre che ricoprivano l’esterno. Notizie storiche interessanti riferiscono dell’organizzazione e della gestione relative alla distruzione dell’odiata fortezza avvenuta per opera dalla popolazione senese. Sull’antico sito una lapide ricorda proprio il luogo in cui sorgeva l’antica Cittadella voluta dagli spagnoli venne apposta nel 1952, in occasione dei 400 anni dalla distruzione della Cittadella stessa avvenuta il 4 agosto 1552. L’episodio è ricordato nella copertina di una Biccherna dipinta da Giorgio di Giovanni (da vedere nel Museo delle Biccherne, presso l’Archivio di Stato di Siena a Palazzo Piccolomini in via Banchi di Sotto).

 

DA PORTA PESCAIA A CAMOLLIA

Poco dopo la Fortezza Spagnola, accanto all’Arco di Fontegiusta, sono visibili i resti della Porta di Pescaia (o di Fontegiusta). La porta aveva forma di torrione e anche oggi, benché il manufatto non esista più, se ne legge l’antica struttura. È visibile un arco in parte affrescato e restaurato di recente. Il torrione che si individua presenta numerosi rimaneggiamenti e funge da abside della chiesa di Santa Maria in Portico costruita nella prima metà del 1480 per celebrare la vittoria di Poggio Imperiale contro i fiorentini.

La cinta muraria è visibile, a tratti, dietro le case di via Biagio di Montluc, mentre dalla Chiesa della Magione torna a essere distinguibile anche internamente poiché costeggia via Malta fino alla Porta Camollia. Qua e là si vedono varie piccole aperture tamponate tra cui la Porta di Bartolomeo Guerra, una porta privata che come tutti gli accessi urbani simili veniva chiusa o riaperta a seconda delle esigenze. In occasione della “Battaglia di Camollia” sembra, infatti, che fosse stata riaperta di nascosto per permettere la sortita notturna dei cittadini senesi che si sarebbero ricongiunti con quelli usciti da Porta Fontebranda (come si è detto in un altro percorso) contro le truppe nemiche che assediavano la città.

 L’ASSOCIAZIONE “LE MURA”

L’antica cinta muraria di Siena completata attorno al 1500 è quasi completamente integra e misura circa 6 km. Attraversa luoghi di grande interesse storico e paesaggistico, spesso poco noti persino ai senesi. La lunghezza e la posizione delle mura hanno reso difficile fare la dovuta manutenzione, e un po’ alla volta la vegetazione ha preso il sopravvento.

All’inizio del 2014, un gruppo di amici (senesi e non), particolarmente sensibili alla valorizzazione della cinta muraria, ha creato l’Associazione “Le Mura” con l’intento di fermare il degrado del monumento, segnalarne le criticità e valorizzarlo attraverso l’uso delle mura stesse e degli spazi circostanti. L’attività dell’associazione si è concretizzata in un’opera costruttiva di sensibilizzazione della cittadinanza e delle Istituzioni, per sollecitare interventi di recupero e di manutenzione; ha poi effettuato interventi concreti per riportare a uno stato godibile tratti di mura nascosti dalla vegetazione.

In questi anni, sono stati fatti oltre 100 interventi, quasi sempre con la collaborazione di altre associazioni di volontariato, delle scuole e delle Contrade che hanno raccolto l’invito a lavorare insieme per il recupero delle mura cittadine. Gli interventi hanno consentito di riportare in vista manufatti coperti dalla vegetazione da molti anni come finestre, feritoie e targhe. La ripulitura delle zone sotto le mura ha consentito di organizzare passeggiate guidate dall’Associazione (e organizzate spesso dalle Contrade) che hanno permesso così di riscoprire angoli della città molto suggestivi e di avviare percorsi di fruizione delle aree verdi attorno alle mura che via via ha convolto sempre più cittadini.

Testi di Maura Martellucci e Donatella Coli

I Comuni di Terre di Siena