9.7 Siena e i francesi

L’ARRIVO DEI FRANCESI: L’ALBERO DELLA LIBERTÀ IN PIAZZA DEL CAMPO

Negli ultimi anni del Settecento anche la Toscana dei Lorena viene risucchiata nel vortice di guerra che si è scatenato come reazione all’instaurazione della Repubblica in Francia. Nel 1796 Napoleone Bonaparte fa il suo ingresso a Firenze, ben accolto dallo stesso granduca, tuttavia l’armoniosa convivenza dura poco: il sovrano lorenese fugge a Vienna e sulla regione, ora, sventola il tricolore repubblicano degli eserciti transalpini. Il nuovo stato di cose si riverbera anche a Siena e sulle Contrade. Il 29 marzo del 1799, infatti, i francesi arrivano in città tra “festeggiamenti” (spontanei?) che durano giorni. Il 7 aprile culminano con l’innalzamento dell’albero della libertà in Piazza de Campo, un ciliegio rubato dagli studenti nel giardino del nobile Donosdeo Malavolti. Questa festa, considerata importante per educare il popolo ai nuovi principi democratici, viene preparata con cura; inizia con un corteo a cui prendono parte le autorità politiche, quelle istituzionali, religiose e le Contrade alle quali viene imposto di partecipare presentandosi con due bandiere da sventolare “in atto di ossequio e di giuramento”, nel corpo di un apparato che prevede la presenza di tamburi e trombe, della banda musicale di Palazzo Pubblico, delle autorità civili e religiose (compreso il rabbino). Sono particolarmente acclamate le Contrade dell’Oca e della Pantera che rappresentano i colori delle repubbliche cisalpina e francese. L’allocuzione viene pronunciata dal sacerdote Francesco Lenzini, canonico della Collegiata di Santa Maria in Provenzano che, dopo aver esaltato i veri democratici d’Oltralpe, fautori di libertà e uguaglianza, indirizza pesanti strali contro “l’imbecille scettrato e i suoi visiri”, cioè il granduca Ferdinando III di Lorena e i suoi ministri, rei, dice, insieme a molti uomini di Chiesa, di troppe prepotenze e oppressioni. La storia ben presto dimostrerà quanto Lenzini si sbagliasse. Se il popolo è già diffidente in questo mese di aprile, il mese successivo lo sarà ancor di più prendendo in antipatia la Francia e i suoi rappresentanti per quello che imporranno in previsione del mese di luglio.

Piazza del Campo- credit Bernd Thaller

LA TRAGICA NOTTE DEL “VIVA MARIA”

A luglio addirittura non si arriva perché la sera del 28 giugno entrano a Siena le bande armate del “Viva Maria”, il movimento popolare antifrancese che si era formato ad Arezzo, soprattutto in area clericale. Il Capitano Giovanni Natti dirige le operazioni coadiuvato da don Antonio Massi e dal Capitano don Giuseppe Romanelli, insieme a una ventina di cavalieri. Giunti inaspettatamente nei pressi delle mura cittadine si dividono in due drappelli e attaccano Porta Romana e Porta Tufi. I custodi si affrettarono a chiudere le porte ma alcuni popolani, insieme ai soldati della Truppa Nazionale che erano di guardia, le riaprono. Da qui la storia diventa cruenta. I fatti ci raccontano che oltre a dare la caccia ai francesi, asserragliati nella Fortezza Medicea, viene assaltato con ferocia il ghetto degli Ebrei, considerati amici delle truppe d’Oltralpe, e viene saccheggiata la sinagoga. I francesi caduti negli scontri furono una trentina, alcuni ebrei furono trucidati in vari luoghi della città: in Piazza del Campo o sul sagrato di Provenzano; oppure sulle scale della chiesa di San Martino (strada che accede a Piazza del Campo).

Oggetto delle attenzioni delle truppe del “Viva Maria” furono anche intellettuali e famiglie senesi di fede giacobina. Le cronache ricordano l’aggressione a Paolo Mascagni ma anche al palazzo Bernardi. Le bande aretine provarono a colpi d’ascia a sfondare il portone che, fortunatamente, resistette. Negli anni seguenti, la famiglia si rifiutò di sostituire la porta danneggiata che reca ancor oggi visibili i segni dell’aggressione (in via Camollia civico 109).

Ricordo del “Viva Maria”

A massacro finito, fu portata in processione la Madonna del Conforto, protettrice di Arezzo, e sul rogo ormai spento fu innalzata una croce. Negli anni i revisionisti, soprattutto gli storici aretini, hanno cercato di dimostrare come questa tragedia, che in modo non premeditato prese una piega antisemita e di fatto offuscò le vere motivazioni della rivolta civile toscana antifrancese, non sia da imputare alle truppe di Arezzo (viste solo come liberatrici di Siena dal francese oppressore), ma sia stata attuata da fazioni “criminose” di senesi. Certo è che di esempi di episodi antiebraici a carico delle bande del “Viva Maria” ce ne sono altri oltre a quello senese: a Monte San Savino, ad esempio, viene bruciata la sinagoga, mentre a Pitigliano la guardia cittadina allertata dai notabili locali blocca sul nascere il sacco della parte ebraica della città.

LA MADONNA DEL CONFORTO, IMMAGINE “SORELLA” DELLA MADONNA DI PROVENZANO

Nel febbraio del 1796 Arezzo e il territorio furono interessati da un corposo sciame sismico che seminò comprensibile paura in tutta la popolazione. Il pomeriggio del 15 febbraio, in seguito all’ennesima scossa, quattro devoti, in un’umile cantina di proprietà dei monaci camaldolesi, si strinsero in preghiera davanti a una piccola immagine in terracotta della Madonna di Provenzano, proveniente probabilmente dal territorio senese e posta su un muro vicino a una stufa, annerita e deturpata dal tempo e dal fumo. Improvvisamente l’immagine rifulse di un singolare candore: l’evento fu interpretato come un segno di benevolenza da parte della Madre di Dio nei confronti della popolazione in preda alla paura. Di fatto, in quel 15 febbraio, dopo ben due settimane, le scosse cessarono: l’immagine fu portata pochi giorni dopo nella Cattedrale aretina e venerata col titolo di “Madonna del Conforto”, a ragione di quanto il prodigio aveva operato nel popolo atterrito.

LA SINAGOGA DI SIENA E LA STRAGE DEGLI EBREI

Scendendo da Piazza del Campo, lungo via di Salicotto, dopo pochi metri, si apre sulla sinistra un arco con delle scale. Salitele e in vicolo delle Scotte, al civico 1, si trova la sinagoga ebraica. Le bande del Viva Maria erano composte da persone di differente cultura ed estrazione sociale. Ma chi fu responsabile delle violenze che si scatenarono a Siena? Tra il 28 e il 29 giugno, infatti, furono saccheggiate le case di coloro “ritenuti” amici delle truppe francesi. Poi qualcuno si diresse verso il ghetto in Salicotto (come detto c’è chi ha ipotizzato che ad essi si unirono anche cittadini senesi criminali e antisemiti) e le violenze esplosero. Le truppe della Rivoluzione, intanto, e più che dei francesi si deve parlare dei soldati polacchi (che combattevano assieme ai transalpini perché sognavano di ottenere la libertà anche per il loro Paese), si asserragliarono nella Fortezza Medicea dopo essere stati sopraffatti dalle bande aretine. La giornata di violenze del 28 giugno 1799, data della presa di Siena e della fuga dei francesi, terminò con un grande e terribile rogo in Piazza del Campo. L’albero della libertà venne tagliato e poi gettato sopra le fiamme. La stessa sorte toccò a un soldato francese che era rimasto ferito alle gambe e non era così riuscito a ripararsi in Fortezza e poi ai corpi di 13 ebrei in precedenza massacrai dagli insorgenti. Al termine delle violenze, in tarda serata, venne portata in trionfo la statua della Madonna del Conforto, a cui fu fatto fare un giro della Piazza prima di sistemarla nella Cappella. Poco dopo arrivò Karl (ribattezzato Carlo) Schneider, ufficiale austriaco ritenuto capo degli aretini. L’ufficiale arrivò nel ghetto e ordinò agli ebrei il pagamento di 50mila lire entro le successive due ore, altrimenti avrebbe dato fuoco a tutte le loro case. Dopo le disperate richieste della comunità ebraica, la somma fu dimezzata e le ore per racimolare il denaro e consegnarlo divennero ventiquattro. Le prime 10mila, però, avrebbero dovuto essere pagate entro un’ora, pena l’incatenamento di tutti gli ebrei e il loro trasporto ad Arezzo. La cifra fu pagata e Schneider, comandante del “Viva Maria”, se ne tornò con il bottino ad Arezzo. Alla fine di quest’epoca storica, con la Restaurazione e il ritorno dei Lorena, Ferdinando III restituì la cifra di 25mila lire agli ebrei senesi.

Sinagoga di Siena, interno

Una lapide sulla sinagoga ricorda la strage degli ebrei

Sulla facciata, ai lati della sinagoga, sono apposte due lapidi. La più antica recita: «Vittime della reazione antigiacobina e dell’odio antiebraico, tredici cittadini ebrei furono arsi il 28 giugno 1799 dai fanatici del “Viva Maria” che avevano devastato l’antico ghetto». Dopo duecento anni, il 28 giugno del 1999, il Comune di Siena volle ricordare quei tragici fatti non solo per la comunità ebraica, ma per l’intera città, apponendo questa epigrafe insieme alla pubblicazione di un inedito poema in versi dal titolo “I pesti riconquistati”, dedicato alla storia di queste vicende, scritto dal celebre architetto Agostino Fantastici (1872-1845) che, da libero pensatore e poeta in vernacolo, volle lasciare traccia tangibile degli eventi dei quali fu giovane testimone. Se andate a vedere la lapide murata sulla facciata della sinagoga, sopra ne vedrete una seconda che riporta i nomi dei deportati che trovarono la morte nel lager nazista di Auschwitz durante la Seconda Guerra Mondiale.

Lapide in ricordo dell’ Olocausto, Sinagoga di Siena

UNO DEI PERSEGUITATI FAMOSI: PAOLO MASCAGNI

Non furono soltanto gli ebrei a essere perseguitati, anche i “liberi pensatori” come Paolo Mascagni (1755-1815), celebre anatomista che tanto ha dato nel campo della ricerca medica. Laureato in Filosofia e Medicina, avendo intrapreso una carriera accademica a Siena (una lapide nel Casato dove ha vissuto lo ricorda), nel 1798, viene eletto presidente dell’Accademia dei Fisiocritici. In quanto illuminista e ammiratore della rivoluzione francese fu oggetto di violenze durante la rivolta sanfedista del “Viva Maria”; venne incarcerato per vari mesi con l’accusa di aver aderito alla Municipalità, governo a carattere giacobino-repubblicano. A causa delle travagliate vicende politiche, il 1° gennaio 1800, alla riapertura dell’Ateneo senese, Mascagni non viene richiamato ma, nel 1801, per volontà del Re di Etruria, viene nominato Professore di Anatomia a Pisa, con l’obbligo di leggere le proprie lezioni due volte alla settimana nell’Arcispedale fiorentino di Santa Maria Nuova. Solo dopo la morte di Re Ludovico I di Borbone, la vedova, Regina Reggente, dispone che Mascagni, diventi professore di anatomia a Firenze nel 1803. Paolo Mascagni sarà un uomo che precorrerà sempre i tempi: lo farà come anatomista, legando il suo nome alla scoperta e allo studio dei vasi linfatici; come convinto liberale, giocando un ruolo di primo piano nel movimento giacobino toscano. La fama scientifica di Paolo Mascagni è legata in particolare agli studi volti alla dimostrazione del funzionamento del sistema linfatico, a cui seguono, fra l’altro, i due Atlanti, opere postume, pensati dal Mascagni quale sussidio fondamentale per lo studio dell’Anatomia per gli studenti delle Belle Arti e di Medicina. Negli anni di insegnamento fiorentino collabora, come consulente scientifico, alla scuola ceroplastica del Museo di Storia Naturale. A Mascagni è inoltre dedicata una Sala presso l’Accademia delle Scienze dei Fisiocritici, nella quale sono conservati i suoi preparati anatomici, le opere note per le splendide tavole didattiche, la biblioteca e l’archivio della sua famiglia.

ACCADEMIA DEI FISIOCRITICI

L’Accademia dei Fisiocritici (Piazzetta Silvio Gigli n. 2) – cioè “studiosi della natura” – è nata a Siena nel 1691 ed è una delle più antiche istituzioni scientifiche d’Italia. Ha per scopo: divulgare scienza, supportare didattica e ricerca, educare al rispetto ambientale. La sua sede è in un antico monastero camaldolese nel centro storico di Siena e comprende un Museo di Storia Naturale di rilevanza nazionale, una biblioteca e un archivio storico formatisi nel tempo con l’attività dei soci. Realizza molteplici iniziative per ogni età e interesse. Il Museo è visitabile a offerta libera. Uno dei suoi reperti più famosi è lo scheletro di balenottera comune esposto nella corte interna. Il Museo, che mantiene il fascino di un allestimento ottocentesco, è costituito da 4 sezioni: geologica, zoologica, botanica, anatomica ma sono presenti anche strumenti di misura, reperti archeologici e “mirabilia”, curiosità quali la pioggia rossa e la mezza noce di cocco usata come bicchiere da Napoleone. Da non perdere: le famose “Terre di Siena” usate in passato come coloranti naturali, minerali di ogni colore e importanti marmi antichi, denti di megalodonte, zanne di mammuth e fossili di ogni epoca, la meteorite caduta vicino a Siena nel 1794, una collezione di acque minerali, animali imbalsamati di tutto il mondo, scheletri di grandi mammiferi, oltre 3000 uccelli fra cui anche specie estinte; e ancora pesci, rettili, anfibi, insetti, una rara collezione di funghi in terracotta dipinta. Il primo atlante anatomico umano a grandezza reale, parti anatomiche pietrificate, malformazioni zoologiche fra cui i vitelli siamesi e l’agnello a due teste. In un suggestivo percorso sotterraneo si trovano anche una riproduzione del Sistema Solare e strumenti astronomici.

Monumento a Paolo Mascagni, Accademia dei fisiocritici

1799: I FRANCESI ABBANDONANO LA FORTEZZA MEDICEA

Dalla Fortezza Medicea, il 5 luglio 1799, nella tarda serata, i pochi soldati francesi rimasti in città fuggirono senza opporre resistenza. Il generale francese Ballet aveva chiesto, e ottenuto, una tregua di trentasei ore al fine di lasciare frettolosamente la città e prendere la strada di Lucca. Un periodo terribile per Siena, con la cittadinanza che sta faticosamente cercando di riprendersi dopo il terremoto dell’anno precedente (nel 1798 si verifica il più potente sisma vissuto dalla città). E così, come peraltro era già successo nel 1798, anche il tradizionale Palio del 2 luglio non viene corso. Quel palio è evidentemente nato sotto una cattiva stella perché con gli eventi di violenza degli insorgenti sanfedisti del “Viva Maria”, a cui si unirono un misto di cittadini senesi disgustati dall’arrogante prepotenza francese, di delinquenti pronti a cogliere al volo ogni occasione per rubare e consumare vendette private e di fanatici, certo la corsa non si sarebbe svolta.

PALIO 2 LUGLIO 1799: NICCHIO

Il Palio del 2 luglio viene recuperato ad agosto (quindi il 16 agosto si disputa la Carriera di Provenzano) con le stesse Contrade che avrebbero dovuto correre il 2 luglio e viene usato anche lo stesso drappellone. Trionfa la Contrada del Nicchio con Mattia Marzi detto Mattio sul baio scuro del Mugnaini. Il Drappellone, insieme agli altri conquistati della Nobile Contrada del Nicchio, è conservato nel museo, visitabile, della Contrada stessa, insieme ad antichi cimeli, monture storiche, Masgalani (il “Masgalano” è il premio che viene dato dal Comune alla Contrada che ha effettuato in maniera più elegante il “Corteo Storico” che precede la corsa).

Per arrivare al museo della Contrada da Piazza del Campo usciamo dal Chiasso Largo (oggi via Rinaldini) giriamo a destra e percorriamo via di Pantaneto fino a incrociare via dei Pispini. Arrivati a metà troviamo il museo e, già che ci siete, entrate anche nel bell’oratorio dedicato a San Gaetano Thiene.

Parlando di Palio, vale la pena sottolineare che questi mesi di rivolte non furono indolori per le Contrade: accusati di tradimento e di capeggiare l’opposizione al ritorno di Ferdinando III, i Capitani delle Contrade finiscono tutti sotto processo. Quelli del Nicchio, del Drago, dell’Onda e della Torre vengono condannati a pene più o meno pesanti; tutti gli altri sono destituiti e per loro scatta l’interdizione dall’esercizio di funzioni dirigenziali di Contrada. Il 17 giugno 1800, tuttavia, il granduca concede l’amnistia, forse per spirito di clemenza, forse perché tre giorni prima (il 14 giugno) a Marengo, Napoleone ha sconfitto gli austriaci e ha imboccato la strada dell’Italia. Infatti nel giugno del 1800 le truppe “giacobine” rientrano nei territori che già erano stati di loro dominio: nel settembre a Firenze, a ottobre a Siena.

Accedemia dei Fisiocritici

CHIUSURA DELL’UNIVERSITÀ

Il 7 ottobre 1799 da Vienna (dove è costretto all’esilio dal mese di marzo dopo che le truppe francesi avevano occupato la Toscana) il granduca Ferdinando III d’Asburgo-Lorena sancisce la chiusura temporanea delle Università di Pisa e di Siena, considerate pericolosi focolai di idee giacobine. L’arrivo delle truppe francesi a Siena segna un momento davvero drammatico per la città dovuto ai tragici eventi legati agli insorti del “Viva Maria”. Intellettuali e docenti universitari vennero sospettati di essere “irreligiosi” e filogiacobini e arrestati (come Paolo Mascagni). Dopo la sconfitta delle truppe francesi a opera degli Austro-Russi, che segna la caduta dei governi “democratici”, la regione è di nuovo in mano al legittimo granduca ma il provveditore senese, l’arciprete Ansano Luti, in questo clima di incertezza e paura decide, appunto, di chiudere per un anno lo Studio Senese, con l’approvazione granducale. Parallelamente, per non far perdere agli studenti un anno, offre loro la possibilità di seguire lezioni private. Ma i francesi torneranno presto e dopo una vita accademica altalenante, nel 1808, lo Studio Senese venne chiuso definitivamente per riaprire i battenti solo con la Restaurazione (lo Studio si trovava in via della Sapienza dove oggi è la Biblioteca Comunale degli Intronati. Il Rettorato dell’Università degli Studi di trova nella sede attuale, in via Banchi di Sotto al civico 55, solo dal 1815. Il Cortile è di sicuro un bellissimo luogo da visitare).

IL PALIO DI FEBBRAIO

I francesi rientrano a Siena; l’8 febbraio 1801 e il comandante del contingente napoleonico, il generale Trivulzi, organizza un palio alla lunga. I palii alla lunga, che si correvano dal XIII secolo in varie occasioni importanti ma, soprattutto, ogni 15 agosto in onore della Madonna Assunta avevano un percorso ben preciso: partivano dalla chiesa di Santa Maria degli Angeli, detta popolarmente “il Santuccio” e si concludeva davanti al sagrato della Cattedrale, dopo aver percorso, in un caso, il tratto nord e, nell’altro, il tratto sud della via Francigena che attraversa l’abitato e che costituisce la più importante e simbolica strada di Siena. La “mossa” si dava stendendo il canape tra l’attuale Istituto Caselli (in via Roma) e via Valdimontone, dove una grande pietra rettangolare ricorda dove era posto il verrocchio (cioè la postazione dove trova posto il mossiere nonchè il meccanismo della mossa, e si chiama così anche oggi). Il generale Trivulzi, vuole che il palio si corra secondo un diverso percorso: vuole partire con i cavalli scossi da Piazza Tolomei e arrivare a Porta Camollia. Per fortuna Vincenzo Brogi, il Magistrato Civico, lo convince a seguire il tracciato consueto: dal Santuccio alla Cattedrale. Il premio è 15 scudi per il primo arrivato e 10 per il secondo. Si presentano sei cavalli e il posto alla mossa viene assegnato dall’estrazione fatta nell’ufficio comunitativo la stessa mattina. Vince il cavallo bajo scuro con pennacchiera bianca e celeste di Filippo Rossi; secondo è il cavallo “Corvo con pennacchio rosso del Cittadino Canosa Comandante la Piazza di questa città”. Tre giorni dopo, l’11 febbraio, giorno successivo alla pace di Luneville tra la Francia e l’Austria, Trivulzi chiede che anziché alla lunga, il Palio si faccia alla tonda, in Piazza del Campo con le Contrade. Il Magistrato Civico si spacca sulla decisione: la proposta del Gonfaloniere di non coinvolgere le Contrade viene bocciata; quella del cavalier Gori, favorevole ad accettare i voleri del generale Trivulzi, viene accolta. Per fortuna durante la notte del 10 febbraio nevica e il cancelliere della Comunità, Giovan Domenico Fineschi, fa sapere al generale che la corsa non si potrà fare causa maltempo.

Il Palio di febbraio non si farà

Nell’Archivio storico del Comune si conserva la minuta della lettera scritta al Generale dove si legge: «Sig. Generale, il magistrato civico informato con lettera del Comandante Canosa del vostro desiderio di veder correre un Palio in tondo sulla Piazza domenica prossima aderì con deliberazione del giorno stesso ai vostri desideri, ed ordinò darsi opportune disposizioni per l’effettuazione. La sopravvenuta neve per altro ci obbliga a farci osservare, che si rende impossibile adesso l’eseguirla giacché si dovrebbero fare per due giorni le Prove, ed a questo oggetto dovrebbe interrarsi tutto il giro della Piazza. Ancorché si levasse la neve per il giro e si facesse l’interro, questo diventerebbe un fango per l’acqua, che scorre dai tetti, e così si impossibiliterebbero i cavalli a correre, e non si troverebbe, chi vi corresse sopra per il pericolo di cadere. Oltre di che li spettatori non avranno luogo ove stare per la neve che vi è nel mezzo di Piazza né si possono fare gli altri preparativi necessari per i Palchi. Abbiamo creduto nostro dovere di porvi in veduta le suddette riflessioni che sembrano ragionevoli e dispensarci dall’eseguire la corsa predetta»

IL PALIO SOTTO I FRANCESI

Se delle Contrade e dei loro Capitani il deposto granduca non si fidava, nemmeno i transalpini le guardano con simpatia, sospettando che sotto la passione per simboli, bandiere, colori e cavalli possa covare un’altra rivolta antifrancese simile a quella del 1799. Così, in quello stesso 1801, alla Contrada dell’Oca viene vietato il giro di onoranze ai protettori in occasione dei festeggiamenti per la sua patrona, Santa Caterina, e le Carriere di luglio e d’agosto vengono soppresse. I cavalli torneranno in Piazza nel 1802, quando, peraltro, il Palio vive una delle date che scandiscono in maniera determinante la sua storia. In quell’anno, infatti, a luglio il drappellone (fino a questo momento esposto sotto Palazzo Sansedoni, fra Fonte Gaia e la curva di San Martino) viene innalzato “a destra della Porta della Comunità Civica”, cioè di Palazzo Pubblico in Piazza del Campo, dove viene innalzato tutt’ora, a rimarcare l’aspetto “pubblico” della festa che, dall’agosto di quell’anno, diventa un appuntamento istituzionalizzato organizzato dalla Municipalità. La novità viene celebrata nella pittura del drappellone che sotto l’immagine della Madonna Assunta presenta un vistoso stemma bianco e nero del Comune (drappellone vinto dalla Contrada Capitana dell’Onda e conservato nel suo museo in Via Duprè al civico 103: uno dei musei di Contrada più innovativi dove nella gipsoteca si possono ammirare molti modelli in gesso delle opere più importanti del grande scultore Giovanni Duprè che era proprio “ondaiolo”).

I FRANCESI MODIFICANO L’ARALDICA DEL DRAPPELLONE

La cultura politica dei nuovi signori della Toscana lascia il segno anche nell’iconografia del drappellone che viene dato in premio alla Contrada che trionfa nel Palio. L’editto napoleonico dell’aprile 1808, infatti, vieta l’uso pubblico di insegne e stemmi nobiliari, in nome della parificazione di tutti i cittadini dell’Impero. Così, fra il 1808 e il 1813, la novità viene immediatamente mandata a esecuzione: in quelli di luglio gli stemmi dei nobili deputati a organizzare la festa scompaiono, sostituiti da semplici monogrammi con l’iniziale del nome e del cognome; i drappelloni di agosto, invece, sono connotati dall’aquila napoleonica che dispiega le sue ali nel centro della decorazione. Per coglierne le differenze, non vi resta che visitare i musei delle Contrade vittoriose in quegli anni e paragonarli con quelli di altri periodi storici.

I Comuni di Terre di Siena