9.8 Siena nel Risorgimento

 In pochi decenni l’Italia si era trasformata da “espressione geografica” a Nazione. Per renderla tale c’erano volute ben tre guerre d’indipendenza e altri eventi di grande portata. Una pagina di Storia che doveva entrare nella memoria collettiva del vissuto quotidiano dei suoi cittadini, operazione realizzata attraverso l’intitolazione delle strade a battaglie, sovrani, eroi che avevano “fatto” l’Italia.

Siena non fu immune da questo cambiamento epocale. Nomi di personaggi ed episodi “nuovi” cancellarono il funzionalismo che aveva contraddistinto fino ad allora l’odonomastica. Le vie del centro persero le storiche denominazioni per intitolarsi a martiri, eroi e battaglie; liti furibonde si accesero in Consiglio Comunale per dedicare o meno una strada a qualche personaggio. Si ebbero trasformazioni, ripensamenti, riscritture della memoria urbana in una ridda di targhe e nomi che, per decenni, andavano e venivano.

Il Risorgimento e l’Unità, insomma, lasciarono la loro traccia più nello stradario urbano senese che nei monumenti e nell’arte: un cambiamento del nome delle vie che si propone, seguendo queste vicende, come straordinario documento della dialettica politica e delle manifestazioni culturali di un’intera città. Ogni passo che farete in questo percorso corrisponde a un pezzettino di storia. L’esempio più classico? Piazza del Campo che prese il nome di Piazza Vittorio Emanuele II fino al 1931: un trauma per i senesi, anche per i più patriottici!

LA GUARDIA UNIVERSITARIA SENESE: UNA PAGINA DI STORIA D’ITALIA CHE RISUONA OGGI NE “IL PASSO DELLA DIANA”

Il 15 novembre 1847 la “Guardia Universitaria”, formata da studenti e capitanata da professori, di fatto un corpo separato della Guardia Civica, si diresse, ordinata militarmente, al Palazzo del Governatore per ringraziarlo di aver loro accordato proprio il privilegio di costituirsi. A dirigerla fu chiamato il professore di Fisiologia Alessandro Corticelli. Secondo la ricostruzione del pistoiese Gherardo Nerucci, che ventenne partecipò alla battaglia di Curtatone inquadrato nel Battaglione Universitario di Pisa, dei 140 studenti iscritti all’Ateneo Senese nell’anno accademico 1847-1848, ben 139 aderirono alla “Guardia”, compresi quelli del corso di Teologia, e nonostante fosse vietato dal Regolamento. Quest’ultimo stabiliva a chiare lettere che il corpo doveva limitarsi a “conservare l’ordine e la disciplina interna degli stabilimenti universitari”, ma i giovani volontari che si erano arruolati erano tutti pronti e decisi a combattere l’odiato nemico austriaco sul campo di battaglia. Pur “armati” delle migliori intenzioni, però, erano privi di qualunque esperienza militare e così due soldati di professione vennero incaricati del loro addestramento, che si svolgeva di sera a conclusione delle lezioni, nei corridoi del Rettorato di San Vigilio. Poi i fatti precipitano e nel febbraio del 1848 le notizie provenienti dal fronte lombardo causarono “grande agitazione” anche a Siena. Il 18 marzo era scoppiata la rivolta antiaustriaca, le “cinque giornate di Milano”, che portò alla liberazione della città quando Carlo Alberto, già più volte “evocato” durante l’insurrezione meneghina, decise per l’intervento sabaudo nel Lombardo-Veneto avviando la Prima Guerra d’Indipendenza. L’enorme “desiderio nella gioventù e nella scolaresca di marciare contro gli Austriaci” divenne insopprimibile. Il 22 marzo la deputazione guidata dal professor Francesco Corbani, dal collega Leopoldo Pio Ceccarelli e da Ferdinando Bonichi aveva raggiunto Firenze per rendere nota questa volontà a Leopoldo II, che il giorno prima aveva disposto l’invio del proprio esercito in supporto al Regno di Sardegna. Nonostante il ministro dell’Interno Cosimo Ridolfi ritenesse “ormai superflua ogni nuova sebbene apparecchiata partenza”, mostrandosi apertamente contrario alla partecipazione degli studenti, questi non desisterono e il 24 marzo promossero in tutta fretta una dimostrazione popolare che, muovendo dall’Ateneo al grido di “Armi! Armi! Vogliamo partire”, si diresse fin sotto al Palazzo del Governatore. Nel giro di poche ore, gli studenti costrinsero il gonfaloniere, il comandante della Guardia Civica il tenente colonnello Saracini, e della Guardia Universitaria il maggiore Corticelli, a pubblicare due notificazioni con cui per le due di quel pomeriggio adunavano alla Fortezza tutti coloro che volevano aggregarsi alle truppe piemontesi come volontari.

Il 29 maggio 1848, nel corso della prima guerra d’Indipendenza, 55 goliardi e 5 docenti dell’Ateneo senese parteciparono, insieme con altri giovani senesi e pisani, allo scontro di Curtatone e Montanara dove l’opera di questi inesperti combattenti consentì, comunque, lo sganciamento delle truppe sabaude. Della Quarta Compagnia, quella senese, persero la vita gli studenti Gioacchino Biagiotti e Ottavio Pizzetti, mentre altri due vennero fatti prigionieri. La grande emozione che le notizie dal fronte lombardo suscitarono a Siena provocò la sospensione del Palio del 2 luglio e il conseguente dono ai militi delle 420 lire destinate come premio al vincitore. Il ricordo della battaglia e dei suoi protagonisti rimase vivo dopo l’Unità d’Italia tanto che, lunedì 29 maggio 1893, nell’anniversario della battaglia, davanti a una folla di studenti, alle rappresentanze di altre Università del Regno, oltre alle autorità cittadine, venne inaugurato il monumento ai Caduti che vediamo ancora oggi nel cortile del Rettorato dell’Università di Siena (in via Banchi di Sotto, 55).

Alla base del cippo scolpito da Raffaello Romanelli si legge la frase tratta dal IV libro dell’Eneide di Virgilio: “Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor” (Che sorga un giorno dalle nostre ceneri un vendicatore) con un’urna che contiene la terra del campo di battaglia dove combatterono i goliardi senesi. Goliardi perché vuole la vulgata che gli studenti combattevano indossando i loro cappelli tradizionali: i goliardi. E si narra che, per meglio prendere la mira, furono costretti a tagliare la punta del cappello (il goliardo appunto).  La storia è una leggenda metropolitana, ma nelle congreghe universitarie nazionali è, tuttavia, ancora  tradizione che solo gli studenti di Pisa e di Siena possano, in memoria di quei fatti, esibire ancora oggi la punta del cappello tagliata.

Ogni anno si ripete il rito dell’omaggio a questi valorosi uomini che, nel 1848, sotto il comando del professor Giuseppe Montanelli dell’Università pisana, avevano “il goliardo in testa, il fucile in mano e l’Italia nel cuore”.

IL TRICOLORE DELLA GUARDIA UNIVERSITARIA

Il Tricolore con lo stemma granducale è l’insegna sotto la quale si radunarono, nel 1848, gli studenti e i professori universitari volontari che presero parte alla prima guerra d’Indipendenza, in particolare alla battaglia di Curtatone e Montanara. La bandiera della Guardia Universitaria fu realizzata da tre protagonisti del mondo artistico e artigiano cittadino: il pittore Alessandro Maffei, uno dei più apprezzati interpreti senesi del Romanticismo, Antonio Rossi e Pasquale Franci maestri intagliatori e fabbri di altissimo livello. Sembra che il Tricolore non sia mai arrivato in Lombardia, dimenticato dai giovani in partenza per i campi di battaglia. Si dice poi che alla vigilia dell’annessione della Toscana al Regno di Sardegna, la bandiera sia stata “mutilata per ridurla a bandiera dell’Ateneo” e, in seguito, concessa al Museo delle bandiere allestito nel convento fiorentino di San Marco dal quale l’Università la ritirò nel 1888.

SULLE ORME DI GARIBALDI

Accademia dei Rozzi

L’11 agosto 1867 alle 10 Giuseppe Garibaldi arriva a Siena in treno. Entra in città circondato da oltre 400 volontari, seguito da una moltitudine di popolo (le cronache cittadine parlano di 25.000 persone). Indossa la divisa dei Mille ed è accompagnato dalla figlia Teresita e dal genero Stefano Canzio. Scendono all’albergo Aquila Nera che si trovava nell’attuale Galleria Odeon in via Banchi di Sotto perché gli è stata negata l’ospitalità nel Palazzo della Provincia (il Governo della città non vuole compromettersi con Napoleone III, schieratosi con il papa, dopo che il generale ha dichiarato di voler conquistare Roma). La folla lo acclama tanto che Garibaldi deve affacciarsi varie volte al balcone. Il 12 agosto si tiene un banchetto in suo onore offerto dall’Accademia dei Rozzi in Piazza Indipendenza, a cui partecipa anche Giovanni Caselli (1815-1891), inventore del pantelegrafo. Durante il convito, in risposta a chi chiede notizie sui tempi dell’azione per liberare Roma, il generale risponde che sarà pronto a partire “alla rinfrescata”, cioè verso l’autunno, che diviene, da quel giorno, parola d’ordine segreta dei Garibaldini (anche se i fatti ci dicono che Garibaldi non riuscì a compiere l’impresa: venne, infatti, arrestato a Sinalunga nel settembre di quello stesso anno e rimandato a Caprera). Il 15 agosto dal Casin de’ Nobili, posto alle Logge della Mercanzia, con affaccio su Piazza del Campo, assiste al Palio (alla tonda), che viene anticipato di un giorno in suo onore. Durante la sfilata del corteo storico, giunta sotto la terrazza dove è affacciato Garibaldi, la banda si ferma e suona il suo inno. Vince la Contrada della Lupa con il fantino Mario Bernini detto Bachicche. A fine corsa, Bachicche, insieme ad altri rappresentanti della Contrada, si reca a rendere omaggio a Garibaldi e riceve in dono una fotografia su cui il Generale appone una dedica: “A Mario Bernini, campione della Lupa vittoriosa, augurio della vittoria di Roma”. Nel 1896, Bachicche,  in condizioni di povertà, in cambio di 219 lire, vende alla Contrada della Lupa la foto autografata che è tuttora visibile nella Sala delle Vittorie assieme al drappellone, in una preziosa bacheca lignea sulla quale corre la didascalia: “Perché il patriottico augurio / onde l’eroe popolare / il decimo sesto d’agosto del MDCCCLXVII / rispondendo all’entusiasmo della contrada / elevò il pensiero al vicino trionfo di Roma / non andasse oblato / per lontananza di tempo”.

LAPIDI E UNA STRADA DEDICATA A GARIBALDI

A Siena ci sono molte lapidi e una strada a lui dedicata che ricordano la venuta di Garibaldi in città. Il giorno dopo il suo arrivo, 12 agosto, egli venne invitato dal più importante fotografo del tempo, Paolo Lombardi, a farsi ritrarre nella “terrazza di posa” alla Costarella, una delle strade attraverso le quali si entra in Piazza del Campo. Lo studio si trovava all’ultimo piano di un antico palazzo e Garibaldi, affetto da una fastidiosa artrite, fu accompagnato su una sorta di portantina realizzata al momento dai suoi seguaci con una poltrona fissata a pali da tenda: superati i 110 ripidi scalini, egli fu immortalato in una delle sue immagini più note. Austero e affascinante nella sua ampia camicia rossa, cucita con cura e ornata da bottoncini dorati, con il fazzoletto nero attorno al collo, Garibaldi, nonostante lo sguardo vivace, mostra i segni dei suoi sessant’anni vissuti con intensità: la folta barba brizzolata, i capelli più radi, le mani affusolate che poggiano su un bastone. Lo studio era di proprietà del sacerdote Niccolò Guerrini che, colpito da tanto onore e per lasciare un ricordo, volle porre la targa all’interno del palazzo in via di Città al civico 46.

C’è anche l’epigrafe posta in Banchi di Sopra tra i civici 27/29 che riporta la celebre frase pronunciata da Garibaldi al popolo: “O Roma viene all’Italia, o l’Italia va a Roma”. L’epigrafe è posta nel punto in cui si trovava il balcone dell’albergo “Aquila nera”, in cui il generale venne ospitato con i familiari, e dal quale si affacciò per parlare ai senesi.

Garibaldi si trattenne a Siena cinque giorni ospite della Società Operaia e della Fratellanza Militare tenendo discorsi in varie sedi come ricorda la lapide posta in via Camollia n. 5 e quella in via Valdimontone n. 1, dove fu ospite della famiglia Cantucci. Il pretesto per il viaggio a Siena erano le cure da fare presso le Terme di Rapolano poiché Garibaldi soffriva a causa della ferita riportata in Aspromonte. In realtà, il generale stava cercando appoggi per il suo piano di conquista di Roma.

BALDOVINA VESTRI: UNA DONNA A SERVIZO DEL POPOLO

Il 5 dicembre 1931, a quasi 92 anni, muore Baldovina Vestri all’ospizio dei cronici dove è ricoverata. Dei suoi funerali si fa carico la stessa Amministrazione Comunale e tutta Siena vi partecipa. Come espressamente richiesto dalla stessa Baldovina, la salma viene sepolta nel “Quadrilatero dei garibaldini” posto al cimitero del Laterino, un cimitero monumentale con molte opere di artisti di fama e dove sono sepolti personaggi che hanno fatto la Storia, insieme alla camicia rossa che le aveva regalato Garibaldi in persona.

Giuseppe Garibaldi

Baldovina Vestri nasce a Siena il 24 febbraio 1840 e il suo vero nome è Argea Clotilde, figlia di Giovanni e Maria Tognazzi, cucitrice di professione. Baldovina cresce nella dimora di famiglia, nota oggi come palazzo Vestri, in via di Salicotto 108: è la famosa “casa senza scale. Si appassiona alla Contrada della Torre, ma soprattutto a quegli ideali patriottici, mazziniani e garibaldini che sin da bambina respira tra le mura domestiche.

Da adolescente combatte nelle fila garibaldine a fianco dei fratelli maggiori Archimede e Ademaro, e partecipa come volontaria alla battaglia di Mentana. A sedici anni conosce Garibaldi e diventa amica personale di Teresita, figlia del Generale. Proprio a Mentana, per il valore e la dedizione della ragazza, Garibaldi le dona la camicia rossa che Baldovina non abbandonerà mai più.

Rientrata a Siena si dedica all’assistenza dei sofferenti e dei poveri. Attiva nei comitati di assistenza agli orfani e alle vedove di guerra, è socia della Pubblica Assistenza, alla quale viene ammessa solo il 1° febbraio 1895, ed è una delle prime donne iscritte.

Alla soglia dei novanta anni, Baldovina si converte e il 29 luglio 1929 consegna al parroco di San Martino le sue ultime volontà, in cui chiede di non essere cremata, ma di avere “il trasporto religioso ed essere tumulata nel reparto Garibaldini”.

Un’ultima curiosità legata alla figura di Baldovina riguarda l’affresco “l’Incontro di Teano” dipinto da Pietro Aldi nella Sala del Risorgimento di Palazzo Pubblico: dietro il muricciolo sulla sinistra, il pittore la ritrae insieme al fratello Archimede e a Luciano Raveggi (il bozzetto a matita di quest’ultimo è conservato al Museo Civico).

Il 28 novembre del 1959 il Comune di Siena ha dedicato a Baldovina Vestri una strada con inizio da via Mentana e, più recentemente, l’asilo di via Vivaldi.

Palazzo Vestri, interno

PALAZZO VESTRI IN VIA SALICOTTO

Palazzo Vestri, edificio databile alla fine del Settecento, fu la dimora di Pietro Vestri, accanito garibaldino, padre di Baldovina che, seguendo le orme paterne, divenne fervida sostenitrice del Generale e amica della figlia Teresita. Le due ragazze parteciparono a vari episodi delle gesta di Garibaldi. Il palazzo (oggi privato) ha al suo interno una particolare scala elicoidale che ha l’unicità di non avere gradini: la scala è stata probabilmente pensata e realizzata così per favorire gli spostamenti di qualche persona inferma del palazzo, costretta a muoversi con una portantina. All’interno, vi è il busto in marmo di Pietro Vestri e uno degli appartamenti privati è noto come “il lavandino di Garibaldi” (per un lavandino in travertino che era nei locali della casa del Vestri, frequentati più volte da Generale: piace ipotizzare che Garibaldi si fosse lavato le mani in quella dimora).

SALA VITTORIO EMANUELE II: OVVERO LA SALA DEL RISORGIMENTO

Posta a Palazzo Pubblico, in Piazza del Campo, si può dire che la cosiddetta Sala del Risorgimento, affrescata dai più noti artisti del tempo, è un unicum nel suo genere.

La sala Vittorio Emanuele (questa la sua intitolazione) fa parte del circuito museale di Palazzo Pubblico.

Il forte legame tra il sovrano e Siena venne confermato al momento della sua morte, avvenuta prematuramente il 9 gennaio 1878 dopo una breve malattia, causata dall’aver passato una notte al freddo in riva al lago della tenuta di caccia laziale.

Dopo dodici giorni, il Consiglio municipale decise di consacrare al nome e alle gesta del Re liberatore Vittorio Emanuele” una sala del Palazzo Pubblico, oltre a contribuire alla realizzazione di un grande monumento a Roma mediante il versamento di duemila lire, una forma di commemorazione decisamente più altisonante rispetto a quella percorsa da altre città italiane, molte delle quali scelsero di erigere un più classico monumento nella pubblica via o in una piazza.

La scelta è dovuta al sindaco Luciano Banchi, esperto di storia locale e di arte, anche se non fu solo meramente artistica. Nelle sue intenzioni, infatti, affidare a pittori senesi un’opera del genere significava richiamarsi alla gloriosa tradizione della città, basti pensare ai cicli figurativi di stampo politico e civile presenti all’interno del Palazzo Comunale sin dal Trecento, e rilanciare il suo splendore entro i perimetri del nuovo stato unitario.

Tutto questo anche perché, con la proclamazione del Regno d’Italia, Siena non era più un semplice e modesto centro del granducato,  ma tornava ad acquisire una sua autonomia e una dignità di città con un proprio territorio provinciale, nobilitata per di più da un illustre passato di Repubblica.

Un’apposita commissione scelse i migliori pittori senesi di fine Ottocento: Amos Cassioli, Pietro Aldi, Cesare Maccari, Alessandro Franchi, Antonio Ridolfi, Gaetano Marinelli e Ricciardo Meacci.

Perfino l’individuazione dei soggetti da raffigurare non fu scontata, tanto da scatenare discussioni e contrasti, ma alla fine la scelta cadde su L’incontro del Re con il generale Radetzky (dipinto da Aldi), La battaglia di Palestro (Cassioli), La battaglia di San Martino (Cassioli), L’incontro di Teano (Aldi), Il plebiscito di Roma (Maccari), I funerali del Re al Pantheon (Maccari).

Le pitture furono iniziate nel 1886 e vennero completate nel 1888. A quel punto mancava soltanto l’allestimento della nuova sala.

Finalmente il 16 agosto 1890 la sala dedicata a Vittorio Emanuele II venne inaugurata e la decisione di far coincidere l’apertura del nuovo ambiente con il giorno del Palio non fu casuale. Venne scelto agosto quando, alle molte manifestazioni popolari che si tenevano oltre al Palio, l’inaugurazione avrebbe aggiunto ulteriori vantaggi come ad esempio un probabile prolungamento della permanenza dei forestieri che, più numerosi del solito, avrebbero così potuto prendere parte a tutte le “feste”, cosa impossibile se si fosse anticipata l’inaugurazione a giugno.

Per l’intera giornata il programma dei festeggiamenti fu intenso: la sala un successo e, per la cronaca, il Palio venne vinto dal Drago con Francesco Ceppatelli, detto Tabarre, su Farfallina. La contrada del Drago realizzò un bel cappotto avendo trionfato anche a luglio. Alla Carriera assistette anche il duca d’Aosta il quale, a fine corsa, ricevette una rappresentanza della Contrada vittoriosa, che l’aveva già salutato al suo arrivo, essendo sceso all’Hotel Continentale (come si chiamava allora), posto all’interno del loro “territorio”: Emanuele Filiberto acconsentì perfino a inserire il proprio nome tra i protettori del Drago. Il museo della Contrada, per chi volesse visitarlo, si trova in piazza Matteotti (“piazza della Posta” per noi i senesi!).

QUANDO PIAZZA SAN PELLEGRINO INIZIÒ A DIVENTARE PIAZZA INDIPENDENZA

Il 19 gennaio 1794 inizia la trasformazione di Piazza Indipendenza, anticamente detta piazza San Pellegrino, (così nello stradario del 1861 e del 1871). Fino ai primi dell’Ottocento, vi sorgeva l’antica chiesa dedicata a questo Santo, citata già nel secolo XI e sede di vari uffici comunali prima della costruzione di Palazzo Pubblico, tra cui l’Ufficio della Biccherna. L’edificio sacro fu definitivamente abbattuto nel 1812 per creare uno spazio più ampio di fronte al Teatro dei Rozzi, considerando che la chiesa occupava buona parte della piazza odierna. Uno schizzo di Girolamo Macchi la ritrae a inizio Settecento con una semplice facciata munita di rosone centrale e copertura a capanna. Il sagrato, posto al di sotto di una scalinata di accesso, era delimitato da un basso muretto che, nell’angolo a destra, terminava con una colonna su cui era posata una lupa, forse trecentesca, dove l’Arte della Lana innalzava il suo vessillo. Sul lato sinistro della chiesa sorgeva la cappella del Santissimo Corpo di Gesù, meglio nota come dei Lanaioli perché officiata da tale corporazione. Nel 1777 la cappella dei Lanaioli fu abbattuta e sei anni dopo San Pellegrino perse il titolo parrocchiale, trasferito presso Santa Maria della Sapienza. Una volta demolita l’antica chiesa, venne a crearsi una piazza ben più ampia che l’Amministrazione Comunale individuò come luogo ideale per ospitare il “Monumento ai caduti per l’Indipendenza italiana” appartenente alla Provincia di Siena, ultimato dal Sarrocchi. Fu allora che il Comitato promotore del monumento, composto per lo più da reduci, indirizzò una lettera alla Giunta con la quale, in ragione di ciò, rivolgeva istanza affinché fosse variato il nome di piazza San Pellegrino con uno nuovo che avesse più attinenza con la presenza della statua. Il suggerimento fu approvato il 1° agosto 1879.

UN SENESE FRA I PRIMI A ENTRARE A ROMA IL 20 SETTEMBRE 1870

In via Roma al civico 9, da pochi anni, è stata posta una targa per ricordare la figura di Niccolò Scatoli.

Trovatello nativo di Chiusdino (fu abbandonato in una scatola di fronte alla Chiesa del paese, da qui il cognome) ma vissuto fin da piccolo a Siena, esattamente nella casa dove si trova la targa, Niccolò provò fin da quattordicenne ad arruolarsi per combattere nella II guerra di indipendenza italiana. Fu ovviamente respinto per la giovane età.

Tornò alla carica nel 1864, a 19 anni, e fu arruolato nei bersaglieri.

Scatoli, divenuto trombettiere, faceva parte del drappello che agli ordini del Maggiore Giacomo Pagliari, morto in quegli eventi, suonò la tromba per incitare i fanti piumati all’attacco.

Il trombettiere nei bersaglieri è sempre a fianco del comandante e pertanto è legittimo ipotizzare che se non fu il primo a varcare la breccia aperta dai cannoni sabaudi a Porta Pia, fu comunque fra i primissimi. Appena varcata la breccia venne colpito a una gamba e la ferita costrinse i chirurghi all’amputazione.

Niccolò tornò a Siena a lavorare all’Archivio di Stato, divenendo una figura di riferimento e di esempio per tutti i senesi. A lungo, il locale dell’Archivio di Stato dove era conservata la storica tromba di Scatoli è stata definito la “Stanza del trombone”.

Nell’abitazione dove visse per molti decenni, e dove morì a novanta anni nel 1935, ancora oggi vivono membri della sua famiglia.

Chi passa a Roma da Piazzale di Porta Pia può ammirare il Monumento al Bersagliere posto nel 1932, un Bersagliere che impugna la tromba oltre al moschetto, e a noi piace pensare che si tratti del nostro Niccolò che si lancia dentro la breccia per l’Unità d’Italia.

I Comuni di Terre di Siena